Degustazione Teroldego: belle punte ma il futuro dipende dalle cooperative2 min read

Anche se il Trentino sta sempre più diventando una regione bianchista (e “bollicinista”)  con quasi il 75% di uve bianche coltivate sul totale occorre levarsi il cappello davanti a un vino/vitigno che, stando almeno ai nostri assaggi, non ha niente da invidiare a tanti rossi italiani blasonati, il Teroldego.

Occupa poco più del 6% della superficie vitata regionale, quasi tutta piantata nella  Piana Rotaliana, ma riesce a tenere ben alto il blasone rossista in Trentino.

Con poco più di 30 vini degustati i vini top sono stati ben 6, quasi il 20% dei vini testati, quando mediamente  non superiamo il 10% . Inoltre alcuni di questi vini rappresentano, per noi, il Teroldego del futuro, cioè un vino che colpisce al colore, stupisce al naso e conquista al palato. In altre parole un vino tipicamente molto colorato, dotato di grandi profumi fruttati e di un corpo importante ma equilibrato, armato di una insospettabile bevibilità.

Questa dovrebbe essere la strada da seguire, mentre quella da lasciare (ci sembra lo stiano facendo, a onor del vero) è costellata di Teroldego monumentali, legnosi, con tannini aggressivi e pesanti. I vini degustati coprivano ben cinque vendemmie con caratteristiche molto diverse  ma  ci è sembrato di capire un chiaro abbandono della tipologia “monolitica” (pur in presenza di annate calde come la 2017) a vantaggio della tipologia “dinamica”.

Se però andiamo a guardare tutti i vini degustati la situazione qualitativa cambia perché, pur avendo delle punte di grande livello, poco più del 50% dei Teroldego ha superato le tre stelle. Considerando che non esistono milioni di bottiglie di Teroldego (Rotaliano e non) in giro per il mondo bisognerebbe essere sicuri che quando uno stappa una bottiglia di questo vino si trovi di fronte a un ottimo vino, sicuramente da riprovare.

Purtroppo  non accade in un numero di casi piuttosto elevato e questo è forse uno dei problemi più grossi per il Teroldego, che ad alti livelli non può basarsi principalmente  solo sul mercato locale o su pochi appassionati e per i prodotti di altre fasce non può e non deve presentare nella GDO vini meno che buoni.

Questo secondo punto chiama in causa le grandi cooperative trentine e la loro voglia di impegnarsi su questo vino, non tanto per produrre un rosso “da esposizione” ma un ottimo vino da bere tutti i giorni.

A seconda del loro progetto, che dovrà coinvolgere giocoforza i molti conferitori e quindi i “grandi” numeri di bottiglie producibili, si saprà nei prossimi anni se il Teroldego potrà crescere come peso e fasce di mercato o sarà destinato all’estinzione (magari lenta) come il “cugino” Marzemino.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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