Una delle prime regole della matematica che ho imparato da piccolo recita che “invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia”. In viticoltura possiamo oramai dire che sostituendo il nome del vino accanto “all’addendo” fisso della vendemmia 2003, il risultato non cambia. Barbaresco, Chianti Classico, Nobile di Montepulciano, Sagrantino, tutti vini che hanno avuto grossi problemi, imputabili al clima sahariano che per quasi cinque mesi(maggio-settembre) ha flagellato il nostro paese. Ma prima di parlare dei vini degustati due righe di presentazione del vitigno. Siamo di fronte ad un uva particolarmente tannica e potente, che fino a meno di venti anni fa veniva vinificata solo passita. Se ne hanno notizie sin dall’Alto Medioevo ma solo negli ultimi 15-20 anni è stata presa in considerazione per produrre vini di grande invecchiamento. La riscoperta e la riproposizione a livello planetario di questo vitigno mette in prima fila un nome ed un cognome, quello di Marco Caprai, che è riuscito in pochi anni a fare un lavoro di immagine che ne avrebbe richiesti decine. Non è che fosse solo in zona: vi erano altri produttori, alcuni anche molto bravi che però non potevano, per vari motivi, seguire la stessa onerosa strada. Ad oggi la situazione è la seguente: dal 2000 ad oggi la superficie vitata è quintuplicata (avete letto bene: si è ampliata del 500%!!) passando da 120 a quasi 600 ettari. Indubbiamente la superficie vitata, fino a pochi anni fa era veramente minima, ma un’escalation del genere può creare vari tipi di problemi. Di pari passo sono cresciute le bottiglie, che dalle 600.000 del 2002 arriveranno ad oltre 2 milioni nel 2005.
Visti questi dati, che si innestano in un momento generale di mercato non certo radioso, bisogna dire che i produttori di Sagrantino hanno una grande fiducia nel domani. Fiducia che si capisce anche dai prezzi, non certo bassi, che girano. Girano anche altre cose a Montefalco: si parla infatti di maretta all’interno del Consorzio di Tutela nonchè tra questo ed il più grande produttore locale, che non si sogna nemmeno di entrare in pianta stabile nell’ente stesso. Scene comunque gia viste anche da altre parti, ma che sarebbe bene non esistessero.
Ma veniamo alla degustazione: Nonostante la qualità media dei vini sia molto cresciuta negli ultimi anni, riscontriamo una difficoltà di adattamento alla variabilità dell’ annata, specie per i produttori più giovani. Questo si era capito con il 2002 e risulta altrettanto palese, per opposti motivi, nel 2003. Alcune vecchie volpi con molti anni di vinificazione sul groppone(Antonelli, Perticaia, Caprai con il Collepiano, tanto per fare tre nomi) hanno capito che dovevano andarci con i guanti di velluto, che non dovevano permettere alle uve di scaricare tutta la loro esagerata e calda potenza. Chi non è riuscito in questo si è ritrovato con vini estremamente alcolici di scarsissima finezza. In alcuni casi si rasentano sensazioni marmellatose e queste in un vino, a meno che non si chiami Grange Ermitage, sono sempre negative. In alcuni casi (per fortuna pochissimi) la tannicità è esplosiva ma per niente matura, portando a sensazioni di astringenza estreme.
Per fortuna vi sono diversi vini corretti ed equilibrati, buon viatico per il futuro di questa denominazione, che qualche domanda dovrà pure farsela, prima o poi. Puntare infatti sul vino estremamente potente e poco elegante è una carta che poteva essere giocata in passato ma non adesso. Cercare di mitigare l‘uso del legno è impellente. Come è basilare capire se certi aromi e caratteristiche che ogni tanto si sentono possano ricondurre tutte al vitigno Sagrantino.
Complessivamente il voto all’annata raggiunge la completa sufficienza. Attendiamo fiduciosi il 2004, vendemmia certo più “umana” , che potrebbe portare con se anche quel concetto di finezza per ora (in alcuni casi giocoforza) poco espletato.
Nel frattempo aggiungiamo alla degustazione alcuni campioni del 2002, che regolarmente escono con un anno di ritardo.