Dai vini naturali ai “naturalini” il passo, purtroppo, è stato breve4 min read

Ho letto con attenzione un articolo a firma Stefano Bagnacani sul tramonto del cosiddetto vino naturale e l’avvento del cosiddetto vino “naturalino”.

E’ un articolo pieno di “impeto poetico” anche discutibile, ma con molti spunti interessanti e mi spiace riassumerlo per chi non avrà tempo di leggerlo, ma fondamentalmente rivendica in primo luogo che i vini naturali, quelli con volatili alte fino al cielo, che per gente come me puzzavano erano in realtà una categoria rivoluzionaria, con produttori che si sentivano diversi, quasi “carbonari” e volevano cambiare le cose partendo dall’agricoltura e dalla vigna. Piano piano siamo però arrivati al vino naturalino, quello furbo, fighetto, di tendenza, dove chi lo produce non parla di vigna, non dice da dove arrivano le uve ma parla solo di “processi naturali” in cantina. I vini naturalini sono solo vini di tendenza e fondamentalmente non hanno niente a che vedere con i veri vini naturali: l’autore fa l’esempio dei  pet-nat  ma tutto ruota su quello che potrei definire “un fallimento e un superamento mercantile degli ideali dei vini naturali”.

Immagine dal film Resistenza naturale

L’articolo mi ha portato ad alcune riflessioni.

Prima di tutto due premesse. La prima è che il mondo del cosiddetto vino naturale è estremamente variegato, basta vedere quante associazioni  ci siano e come non riescano ad andare molto  d’accordo. La seconda è che provo un profondo rispetto per tanti produttori naturali, lo stesso rispetto che loro hanno verso la terra che lavorano, verso le piante che coltivano. Probabilmente ha ragione l’autore quando parla di una “rivoluzione” che partiva dalla vigna, da un modo diverso di approcciarsi alla terra. Ho toccato con mano terreni di produttori naturali che in confronto ai vicini sembravano (e lo erano)  paradisi terrestri,  ma purtroppo ho anche assaggiato vini prodotti su quei terreni con tutti i difetti di questo mondo (volatile, brett, etc), ma che dovevano esser buoni solo perché nati su un terreno indubbiamente più sano.

Qui stava per me l’errore, lo stesso errore che 50-60 anni fa facevano tanti  contadini che sapevano lavorare benissimo in vigna ma in cantina facevano danni irreparabili al vino. Erano bravi agricoltori ma non sempre chi lo è riesce ad essere bravo vinificatore.

Bruzzi Stefano, Contadino sull’aia

Con una fetta di produttori naturali è successa praticamente la stessa cosa: ottimi in vigna ma in molti casi pessimi in cantina, però non per ignoranza tecnica come i contadini del passato ma quasi per partito preso, per  un’idea spesso spacciata per filosofia di vita, che scambiava la pulizia enologica con il taroccamento del vino. Per carità, ci sono tantissimi produttori naturali e biodinamici che facevano e  fanno vini ottimi ma non  erano  e non sono certo la maggioranza.

Ma da quello che si capisce le cose sono cambiate, il mercato richiede sempre più vini naturali e i cataloghi dei distributori si riempiono di questa tipologia, ma i naturali della prima ora sono molto meno di moda dei naturalini, di quelli che si sono agganciati al carro e producono vini “modello naturale” utilizzando l’idea e soprattutto un mercato molto ricettivo verso vini “diversi”. Non per niente oramai le fiere di vini alternativi sbocciano come funghi e hanno grande successo e quindi ben pochi si domandano quanto di naturale o di “naturale per forza” ci sia dietro.

Quello che mi mette tristezza nel quadro rappresentato da Bagnacani è vedere come un’idea valida (messa in atto anche da tanti produttori non naturali!), quella di rispettare realmente la terra, mettendoci del proprio e rischiando il raccolto per un bene superiore, stia diventando una moda dove tanti vini prodotti senza stare molto attenti alle regole e alle tecniche di base diventino emblemi da sbandierare.

Del resto anche paladini del naturale come Sandro Sangiorgi e responsabili di associazioni di vini naturali come Paolo Vodopivec hanno dovuto tempo fa mettere dei freni ad un dilagante pressapochismo enoico, che probabilmente sdogana tanti vini naturali e soprattutto naturalini difettati dietro il cappello della naturalità.

Però, se mi permettete un’ultima riflessione, per me ormai il danno è  fatto, ormai tante giovani generazioni di appassionati di vino hanno assimilato nella categoria profumi  quelli che in realtà sono puzze, tra i pregi quelli che risultano difetti. Certo, tutto questo secondo i seguaci dei “vini industriali”, ma vorrei domandare a chi ama vini con volatili altissime e tutta una serie di puzze di contorno quale profumo si compra o regala alla sua fidanzata: “Eau de fogne”?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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