Coming out enoico di metà agosto7 min read

Fernando Pardini, degustatore e giornalista tra i più seri, raffinati e attenti, nonché amico di vecchia data, ha scritto un bellissimo post su Fb dal titolo La trappola del Sassicaia e che riporto integralmente alla fine di questo articolo. Il tema è (cito ancora Fernando) “Certe abitudini fuorvianti nell’affrontare una degustazione (bendata), dove si trova un vino che nella mente preconcetta del degustatore di turno deve essere onorato per forza dal suo giudizio. Questa attenzione preconcetta porta fuori asse nella valutazione di tutto il contesto, magari non di quel vino, ma di tutto il resto”.

In altre parole, se assaggi trenta Bolgheri Superiore e sai che dentro c’è anche il Sassicaia ( o L’Ornellaia) il rischio è quello di tenere sempre alti i voti (e quindi portare fuori asse i risultati finali) per evitare di dare un voto basso al vino iperblasonato e che tu hai sempre considerato di altissimo livello. Un tema per noi degustatori itineranti/seriali/professionisti per niente trascurabile, anzi.
Prendendo però spunto dal titolo del post e avendo come pretesto/discolpa il caldo belluino di questi giorni mi è venuta voglia di togliermi qualche innocuo sassolino enoico dalle infradito e cioè del mio (in un caso del nostro, cioè di Winesurf) rapporto conflittuale con alcuni vini iperblasonati.

A questo punto ci potrebbe stare tranquillamente un gigantesco “esticazzi”, e quindi chi avrà voglia e coraggio di andare avanti è da me ringraziato sin da ora.

In questo mio outing enoico metto le mani avanti solo per dire che il giudizio su un determinato vino non coinvolge minimamente il valore umano e la bravura professionale del produttore, che proprio perché è arrivato a livelli importantissimi ha tutta la mia incondizionata stima.

Partiamo dal vino  che ha dato il titolo al post di Fernando, il Sassicaia. Mi capita di degustarlo sono in degustazioni ufficiali, in particolare in quelle bendate per la nostra guida, degustazioni a cui partecipano 3-4 altri degustatori: quasi sempre ottiene voti molto bassi. A sua e nostra discolpa adduciamo la giovinezza e la storica ritrosia del vino ad esprimersi in tempi brevi: sta di fatto che prendendo in esame le valutazioni dei componenti la commissione certe volte ci vien il dubbio se pubblicare o meno il risultato, perché sembra proprio di voler dare un voto basso per attirare l’attenzione. In effetti dopo la pubblicazione dei risultati, qualche volta mi hanno chiamato dei colleghi chiedendomi bonariamente spiegazioni, non accettando e/o dubitando di quella più logica e cioè che in degustazione bendata ha preso quel punteggio, stop! Devo però ringraziare i Marchesi Incisa della Rocchetta perché, nonostante brillino raramente nei nostri assaggi, continuano a mandarci i vini: molti altri produttori invece, dopo un voto per loro non positivo, non ci mandano più i vini. Liberissimi di farlo, come siamo liberi noi di valutare con il nostro metro.

Adesso passiamo alla seconda categoria di vini, quelli che, avendoli bevuti (non assaggiati) più volte non mi hanno mai convinto, rimanendo sempre in limbo di incertezza. Naturalmente assaggi di annate diverse, spesso pagati fior di quattrini a ristorante.

Qui parlo da semplice consumatore, magari con un minimo di esperienza, che può rimanere più o meno soddisfatto da alcuni vini: lasciamo quindi da parte assaggi professionali, qui parla “la pancia”.

In questa categoria parto dal Trebbiano d’Abruzzo di Valentini che io trovo, immancabilmente, più o meno ossidato. Ammetto che spesso ha corpo, potenza, ma un naso che mi parte su una vena ossidativa che copre regolarmente altri aromi, a me non riesce ad andare giù.

Per lo stesso motivo evito di prendere a ristorante il Trebbiano d’Abruzzo di Emidio Pepe, che ogni volta che l’ho bevuto aveva, anche, note ossidative veramente molto importanti.

Passo a i rossi e, pur ammettendo di averne degustate 4 o 5 bottiglie al massimo, non sono mai riuscito a farmi piacere il Barbacarlo di Lino Maga, un vino che ho sempre definito “stanco”, con aromi poco ampi e tannicità un po’ troppo ruvida.

All’opposto del ruvido ci sono i vini di un grande dell’enologia italiana, Angelo Gaia. Mi riferisco solo a Barbaresco e Barolo: ogni volta che li assaggio li trovo ottimi ma fin troppo levigati, rotondi, insomma internazionali. Niente di male in questo ma se devo bere nebbiolo preferisco qualcosa di più “hard”.

Dall’eleganza all’estrema potenza e concentrazione: da Gaia all’ Amarone di Dal Forno, indubbiamente un vino fatto con mille attenzioni e con una viticoltura rigorosa ma che, tutte le volte che l’ho bevuto, mi ha dato la sensazione di essere un monolite con una  concentrazione che rende la beva difficile.

La stessa cosa , scendendo  più a sud me la fa venire in mente il Kurni, di cui ho apprezzato solo l’annata 2002, fredda e piovosa. Le altre che ho bevuto mi sono sempre sembrate molto, troppo concentrate e poco piacevoli.

Una piccola deviazione su un grande vino che però non ho mai potuto apprezzare appieno perché ha sempre avuto problemi di tappo. Il Monprivato di Giuseppe Mascarello, di cui ne ho comprate diverse bottiglie, anche direttamente, non mi ha mai permesso di trovarlo perfetto ma sempre con tappi più o meno evidenti. Il bello è che se glielo dici negano e si rifiutano di cambiare la bottiglia che, per inciso, non costa due euro.

Parlando un po’ di bollicine ho sempre avuto qualche problema con l’Annamaria Clementi di Ca’ del Bosco, cantina di cui preferisco regolarmente altre etichette, molto meno costose dell’iperblasonata bottiglia, diverse volte trovata un po’ spenta( anche nella versione Rosé).

Mi fermo qui perché a questo punto mi sono fatto già troppi nemici.

Buone ferie

Fernando Pardini

LA TRAPPOLA DEL SASSICAIA

Dopo anni di degustazioni seriali, e dopo anni di osservazione del comportamento umanoide in tali ambiti, mi sono accorto che quasi ogni degustatore, professionale e non, parvenu o “attempato” che sia, raramente sfugge alla trappola del Sassicaia.

Io la chiamo così per rendere evidente l’asserto, ma potrebbe trattarsi di un Biondi Santi, di un Monfortino o di qualunque altra etichetta “tònante” nell’ambito di una determinata tipologia di vini.

Il senso è questo: che tal degustatore si ritrova a sparare le più immense cazzate ( cit. Alex Drastico) nell’ambito della sessione di assaggio, e questo perché all’origine è macchiata dal peccato originale: la preoccupazione unica e sola di indovinare il Sassicaia, di riconoscerlo, e quindi sentenziare circa la sua grande bontà ( tesi peraltro facilmente avvalorata), autoproclamandosi nel contempo – senza bisogno di dirlo, basta coglierne lo sguardo – un grande conoscitore del territorio, passando tacitamente in cavalleria la circostanza secondo cui gli altri dieci presunti Sassicaia da lui inevitabilmente riconosciuti come tali per il timore di non beccare quello giusto, gli han fatto perdere la trebisonda dell’indagine critica, che non ha più un suo asse, o una sua misura. Che non ha più direzione.

So che tutto questo porterebbe di nuovo all’annosa (noiosa?) diatriba sulla degustazione scoperta o alla cieca, se sia cioé meglio l’una o l’altra, o nessuna delle due, in una ricognizione di merito.

Fatto sta che anni di osservazione comportamentale portano dritti alla esondazione del preconcetto, nell’ambito della categoria degustatoria.

Un preconcetto sostanzialmente motivato dal timore di perdere la reputazione nel caso in cui il giudizio di merito emesso alla cieca e portato alla conoscenza di altri ( acc, che iattura!) sentenziasse qualcosa di diverso dal pensiero precostituito che quel degustatore ha già nella sua testa, e che vorrebbe soltanto confermare, senza troppe distrazioni, per far dormire sonni tranquilli alla sua candida, claudicante autorevolezza.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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