Come creare visibilità per i piccoli marchi4 min read

Che cosa accomuna il Reboro al Buttafuoco Storico?  Ben poco se li compariamo dal punto di vista organolettico o dallo stile di vinificazione, ma se valutiamo le loro caratteristiche si trovano delle grandi concordanze per quanto riguarda la “tipicità” e la loro “identità”.

 L’opportunità di metterli a confronto mi è stata data dall’evento “Reboro Territorio e Passione”, che nella sua 5° edizione ha creato la possibilità di un dialogo tra i territori dell’Oltrepo’ Pavese, con il loro Buttafuoco Storico, e la Valle dei Laghi a Santa Massenza, con i suoi Reboro, Rebo e Vino Santo. Una condivisione d’intenti che grazie all’intervento di Alessandro Torcoli (direttore di Civiltà del Bere), Gianpaolo Girardi (Proposta Vini) e la Fondazione E. Mach, ha permesso di affrontare una ampia prospettiva di vedute.  

Il dialogo ha dato la possibilità di creare un confronto tra produttori delle diverse Regioni, alle prese con la necessità di creare qualità e visibilità del prodotto attraverso commissioni di assaggio e la creazione e il rispetto di certificazioni e disciplinari . Le cose diventano molto interessanti quando ci si trova a riflettere su questi aspetti che sono fondanti, soprattutto quando si parla di piccole produzioni, di vitigni poco noti, o che sono stati quasi dimenticati.

Si è convenuto sulla necessità di creare un “marchio collettivo” per poter valorizzare e comunicare la forza di fare squadra dei vignaioli,  puntando essenzialmente sul valore dato dalla tipicità del prodotto. Questo serve a riconoscere l’identità del produttore ed il suo stile, e sulla base di questo creare dei nuovi disciplinari con finalità di edonismo ed affermazione sul mercato. Mercato nel quale è difficile poter emergere a causa della quantità di prodotti che lo caratterizzano. Per questo motivo è molto importante focalizzarsi sul tipo di comunicazione che porta il prodotto alla conoscenza. Fondamentale inoltre è la variabile “tempo”, perché spesso gli obiettivi si raggiungono grazie alla perseveranza, a volte con risultati difficili da prevedere in ordine temporale.

I fattori che potrebbero determinare il successo di queste tipologie di progetti sono:

– “nome” del prodotto, che può essere anche di fantasia, ma meglio se ricorda l’orografia del territorio, che aiuta a delinearne una zona ben determinata e caratterizzante;

– “tipicità” come senso di appartenenza o legame storico;

– ”unicità”, non essere la copia di nessuno, è importante non cedere alla “trappola” della comparazione standardizzata di un vino con un altro vino, cosa che capita spesso ai produttori o agli analisti quando valutano il valore di un determinato prodotto. Così facendo infatti si ottiene esattamente il contrario, rischiando di allontanarlo dalla propria identità e tipicità che lo dovrebbero invece far identificare come un prodotto di nicchia, frutto del proprio “terroir”. Grandi numeri devono poter coesistere con limitati prodotti di nicchia. Non per niente anche a livello mondiale sono i Cru che hanno delimitato e identificato territorio e qualità.

Importanti poi sono i “canali di formazione”, ancora oggi penalizzati da una grave carenza nella formazione degli operatori della scuola alberghiera e degli addetti alla mescita. La conoscenza enologica in questi ambiti è ancora molto distante dalla possibilità e potenzialità di poter comunicare e promuovere il vino come prodotto territoriale e di qualità. Gli operatori alberghieri sono l’ultimo anello della filiera enologica, congiunzione tra il produttore e il consumatore, una grande possibilità che purtroppo non viene adeguatamente sfruttata

Valle dei laghi

Stesso scollegamento avviene nei centri di formazione agraria, dove si percepisce la necessità di integrare ciò che si studia e pratica nei laboratori, con il prodotto enologico finito e tutte le sue caratteristiche (ad esempio, capita che gli studenti di enologia arrivino agli stage in cantina senza aver assaggiato il vino nel percorso della loro formazione).

Nonostante l’applicazione di tutti i coefficienti che sulla carta sembrerebbero vincenti, a volte i prodotti ottengono grandi riconoscimenti, mentre altre volte alcuni progetti stentano a partire e ad essere riconosciuti. La variabile incognita del risultato va sempre tenuta in considerazione, tuttavia la creazione di un “marchio collettivo” getta le basi per un progetto di qualità che potrebbe dare visibilità  alle realtà del territorio che lo rappresentano.

Letizia Simeoni

Beata la consapevole ignoranza enologica. Finchè c’è ti dà la possibilità di approcciarsi alla conoscenza! Prosit.


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