Colli Fiorentini, cioè il vino di Firenze. Finalmente!3 min read

Era ora! Il Chianti Colli Fiorentini è riuscito a presentarsi finalmente come “il vino di Firenze”, forse un’ovvietà ma di fatto una mossa promozionale, anche se in ritardo di decenni.

Questa sottozona del Chianti era prevista fin dal primo disciplinare ante litteram del cosiddetto Decreto Dalmasso. Era il 1932, sono poi arrivate la DOC e la DOCG, infine nel 1994 è stato fondato il Consorzio, Il quale si è dimostrato piuttosto lento nel marketing di gruppo, visto che la prima manifestazione che è riuscita a legare direttamente il vino al capoluogo toscano si è svolta il primo dicembre scorso.

“Colli fiorentini” è stata per troppo tempo un’espressione non troppo sexy, con quella parola “colle” che può evocare forse i versi di Carducci o di Leopardi, ma che nell’italiano del terzo millennio leghiamo più che altro alle ultime notizie dal Quirinale. Bene dunque l’aggiunta della scritta “vino di Firenze” in un amichevole corsivo sotto il logo, che  da parte sua riporta l’immagine del leone rampante della banderuola in cima alla torre di Palazzo Vecchio.

E in effetti è proprio nella Sala d’Arme pochi metri più sotto che è stato piazzato il biglietto da visita consortile. L’ambiente era di grande suggestione, con immagini di vigne proiettate sulle altissime volte del salone, anche se ho sentito la mancanza di un po’ più di luce durante la degustazione tecnica, svoltasi in mattinata per gli addetti ai lavori. A partire dalle 14 invece un pubblico di cinquecento persone ha girato col calice fra i banchi dei produttori.

La lista dei vini la mattina era scoperta, con un totale di trentasei vini di cui ben sedici Riserva; le annate, evidentemente a discrezione dei produttori, spalmate fra il 2016 e il 2021. Cercando di sintetizzare sembra che il profilo di questi vini vada lentamente trovando una discreta coerenza. Lo scrivo sia relativamente alla diversità territoriali, perché il vigneto iscritto supera di poco i 600 ettari, ma su un territorio esteso e ramificato; sia relativamente al passare del tempo, dato che seguo questa denominazione da un bel po’ per ragione di cittadinanza e una necessaria, minima coerenza di gusto mi è sembrata a lungo latitante.

Le aziende presenti a Palazzo Vecchio erano diciotto, su ventotto che risultano iscritte al Consorzio (il quale, a sua volta, è lontano dal comprendere una maggioranza solida dei produttori). Al di là della degustazione tecnica hanno potuto presentare al pubblico anche tutto quanto non è Chianti Colli Fiorentini, che non è poco e che può servire a preservare le loro peculiarità oltre la denominazione-bandiera. Negli ultimi anni, ad esempio, sono emerse qua e là delle buone espressioni di Canaiolo, mentre gli assaggi di Vin Santo ai banchi, conditi con le chiacchere di rito, valevano da soli la visita alla Sala d’Arme.

C’è da scommettere che il lancio dell’identità “di Firenze” di questa sottozona chiantigiana darà i suoi frutti, e porterà a una ricaduta positiva sui vini stessi a cui seguirà magari pure un certo fiorire di stelle. Perché capita che il marketing abbia effetti positivi sulla qualità dei prodotti stessi: l’ insegna proprio la storia dei rossi toscani, risultato certamente di un grande territorio ma anche della promozione di qualche secolo attraverso l’oculatezza commerciale dei mercanti fiorentini.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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