Oggi non voglio parlarvi delle cose che tutti sanno su Lorenzo Accomasso, venuto a mancare ieri 8 agosto 2025 all’età di 92 anni. Pioniere di Langa, classe 1934, occhi di ghiaccio, sguardo lucido e testa ancor di più, capello canuto spettinato e l’immancabile cappellino sportivo da baseball a sdrammatizzare l’austerità della cravatta che era solito vestire quando riceveva ospiti nella sua abitazione. Settant’anni di vendemmie sulle spalle, prima annata 1958.
Barolo prodotti con indicazione di vigna quando ancora nessuno lo faceva (MGA ante litteram), vent’anni alla presidenza della Cantina Comunale di La Morra…

Non voglio neppure scrivere di Elena, la sorella maggiore, tipetto tutto nervi e ossa, tante rughe e pochi denti, che vedendola ci si chiedeva da dove prendesse l’energia. Carta e penna, calcoli a mano e totale da pagare scritto di pugno. Né voglio tantomeno raccontarvi dei grandi vini del Commendatore, anche se nei suoi Dolcetto, nella “Pochi Filagn” – una barbera emozionante e viscerale -, nei Barolo “Le Mie Vigne”, “Rocche” e “Rocchette” c’era tutta la purezza di un Langa rustica e tradizionale, sempre meno frequente da incontrare.
Quello di cui voglio parlare oggi è di come un incontro di due ore possa cambiare la prospettiva con cui guardi il mondo. Di come la visita a uno sconosciuto possa diventare uno spartiacque nella vita, nel lavoro, nel modo di sentire, e di come quelle due ore, vissute con una persona amata e rivissute negli anni scrutando nei suoi occhi, possano ricordarti quale sia la forza più grande dell’universo.
Non solo per me ma anche per la mia compagna, che negli anni mi ha accompagnato in innumerevoli visite in cantina, ha assaggiato con me bottiglie di diverse epoche e provenienza, ascoltato le storie di vignaioli, toccato con mano il legame che unisce un vino alla sua terra. Lei non lavora nel vino, non viene da questo mondo, ci è entrata per amore: prima il mio, almeno credo, poi quello per il prodotto, per i luoghi e, soprattutto, per le persone di valore che stanno dietro alle etichette. Tra tutte le visite fatte insieme, quella alla corte di Lorenzo Accomasso è rimasta, per entrambi, tra le tre più intense e indimenticabili.

Lui aveva 84 anni allora, eppure la lucidità era quella di un ragazzo, e l’approccio proiettato al futuro. Ricordava nomi, date, avvenimenti, animali, persone, con una precisione che trasformava le parole in fotografie. Ci raccontò della sua vigna Rocchette e della quercia che la vegliava. Quel luogo, era per lui uno Smultronställe (termine svedese intraducibile in italiano, che indica un luogo speciale nel quale ti senti felice e nel quale ti rifugi per ritrovare te stesso, o semplicemente per tirarti su di morale).
Eppure, dietro la forza, si percepiva una vena di malinconia: lui e la sorella erano rimasti soli, senza eredi a cui affidare vigne e saperi. Un patrimonio vitato di valore immenso, ma soprattutto un’eredità umana, che allora sembrava destinata a non avere eredi, ma oggi è solo un pericolo che sembra scampato”
Parlò a lungo di Elena, presenza discreta e costante, pilastro della cantina, e del suo gatto, grande amore degli ultimi anni. Quando ci raccontò del piccolo Romeo, un tigrato rosso e bianco dagli occhi vispi, i suoi stessi occhi azzurri brillarono come un cielo d’inverno al sole. Rimanemmo in silenzio per venti minuti, rapiti dalla sua voce pacata ma mai doma, mentre descriveva la leggerezza che un gatto può portare nella vita di un uomo.
Poi, improvvisa, arrivò la domanda: «E voi… non volete un gattino?».
Quando gli raccontammo del nostro volontariato, della colonia di tredici (all’epoca) randagi che accudiamo, e delle nostre gatte, il suo volto si illuminò ancora di più. Fu un momento di connessione pura, quasi commovente, come se in quell’istante avessimo superato la barriera tra ospite e ospitante, diventando semplicemente persone che si riconoscono.

Penso spesso a Lorenzo Accomasso come a un grande artista del vino. Così come Matisse, Klimt, Klee, Picasso, Kandinskij: tutti grandi pittori e grandi amanti dei gatti, così anche lui con il suo piccolo peloso.
La visita si concluse con l’acquisto di tre bottiglie di Barbera, e con un dono: un Barolo Rocchette Riserva 2012 (annata in anteprima), con dedica “da bere alla mia salute e a quella del gatto”. Ci salutammo con l’auspicio di rivederci.
Ecco la verità: incontri come questo ti ricordano che il tempo è la vera moneta della vita. Non parlo del tempo misurato dall’orologio, ma di quello che si dilata e si incide nella memoria. Due ore possono sembrare poche, eppure contengono la possibilità di una vita intera, se vissute nella pienezza dell’ascolto.
Certe persone hanno la capacità di rallentare il ritmo del mondo attorno a te. Ti obbligano a restare nel presente. Non lo fanno con sermoni o frasi altisonanti, ma con la coerenza di una vita vissuta secondo i propri valori, con la pacata forza di chi conosce il valore dell’anima.
Lorenzo era così: un uomo saldo, radicato, eppure capace di sorrisi, battute spensierate e leggerezza. Un testimone di un’epoca in cui il lavoro era dedizione e la dedizione diventava poesia.
Parlava di vigne e di gatti con la stessa cura, come se entrambe le cose appartenessero alla stessa costellazione di affetti che danno senso all’esistenza, e di questo ne sono convinto da sempre.
Ed è forse questa la lezione più preziosa che ci ha lasciato: nella vita, ciò che conta davvero non è separare il lavoro dal sentimento, ma intrecciarli, fino a ottenere un equilibrio pacato in grado di connetterti al resto del mondo con tatto e misura.
Ieri sera, quando ho saputo della sua scomparsa, ho guardato la mia compagna e con la voce rotta le ho detto: «Ti devo dare una brutta notizia».
«No… è triste?»
«È morto Lorenzino.»

Le nostre voci si sono spezzate insieme. Ci siamo stretti forte, ricordando quel fantastico primo incontro e l’amore che ci aveva trasmesso. Per tutti era il Cavaliere, poi Commendatore, per noi semplicemente Lorenzino: un nome dolce, tenero, affettuoso, che si addiceva a quell’uomo dagli occhi di ghiaccio e dal cuore di fuoco. Un vecchio saggio da ascoltare per ore, prima ancora che un mitico produttore di Barolo.
E ogni volta che abbiamo aperto una bottiglia di Accomasso, siamo tornati là, in quella stanza, a quel giorno. Abbiamo rivolto un pensiero positivo a lui, con il cuore gonfio di gratitudine. Continueremo a farlo, pensando a quanto sarà felice di essersi ricongiunto a Elena e a Romeo.
E allora, Lorenzino, quando stapperemo ancora una tua bottiglia, sarà come bussare alla tua porta un’altra volta. Ti immagineremo lì, con il cappellino leggermente storto, la cravatta sotto al maglione, il sorriso contenuto di chi sa di aver già detto tutto ma vuole parlare e ascoltare ancora.
Brinderemo alla tua salute e a quella del gatto, proprio come ci hai chiesto.
Perché certi incontri non finiscono: restano sospesi, come un vino che continua a evolvere in bottiglia. E quando lo si stappa, il ricordo si ossigena e torna presente, più vivo di prima. E noi saremo lì, sognandoti nel tuo Smultronställe, anche senza esserci mai mossi.