Chateau la Dauphine: una “Delfina” a Fronsac su cui puntare, visti anche i prezzi.8 min read

Avevo “scoperto” questo vino in un bel ristorante di Bordeaux  in una mite serata di ottobre di qualche anno fa, mentre gustavamo un’ottima sella d’agnello di fronte alla splendida piazza illuminata de la Comédie . Si trattava di un rosso di una appellation ingiustamente oggi considerata “minore” del Libournais, Fronsac. Situata tra i meandri della Dordogne e dell’Isle,  consta di  appena  834 ettari di vigna, ai quali si aggiungono i 299 della vicina, più piccola, Canon-Fronsac.

Il vino in questione era lo Château La Dauphine dell’annata 2012: in principio non una delle annate “stellari” del bordolese, come la 2010 e la 2009, ma risultata nel tempo di buon valore per diversi Châteaux.

Mi era piaciuto molto, nonostante in generale abbia una preferenza   per i vini della riva sinistra, e mi aveva stupito che vi fosse una simile differenza di prezzo (per la verità molto appiattita nella carta del ristorante) con quello dei vini delle appellations-guida del Libournais. Sì, perché oggi un Fronsac di qualità costa mediamente poco più di un Bordeaux supérieur o di un Castillon-Côtes de Bordeaux.

Non è stato sempre così.  Nel XVIII secolo e fino al flagello della fillossera  i vini di Fronsac erano tra i più reputati di Francia. Merito anche del cardinal Richelieu, che aveva acquisito il ducato di quel territorio nel 1634. Il titolo  di duca era stato poi trasmesso al bisnipote, tal Louis-François Armand de Vignerot du Plessis: un libertino grande frequentatore della corte di Versailles. Grazie a lui i vini di Fronsac arrivarono sulla tavola del re, e certo non potevano trovare un biglietto da visita migliore.

Il nome dello Château La Dauphine (il delfino era il principe designato alla successione al re di Francia) viene dalla “delfina”, ossia la moglie del designato: la bella Marie-Josèphe de Saxe. Era tedesca, nativa di Dresda, e non divenne mai regina di Francia, perché il marito Louis-Ferdinand, figlio di Luigi XV, morì giovane di tubercolosi, ma fu madre di ben tre re di Francia, tra cui Luigi XVI.

Allo Château che oggi porta il suo nome, la “Dauphine” arrivò nel 1750, quando vi fu invitata dal proprietario dell’epoca. La Delfina  vi sostò solo qualche giorno, ma tanto bastò, perché si fissasse così , per sempre, il ricordo  del suo soggiorno.

La storia più recente comincia con l’acquisto della proprietà da parte della famiglia Moueix (per intenderci: Pétrus, Trotanoy ed altro) nel 1985 , ma la vera svolta avvenne con il suo passaggio a Jean Halley, la cui famiglia era tra i fondatori della grande catena Carrefour. Da allora l’ascesa, qualitativa e d’immagine, dello Château La Dauphine è stata inarrestabile, conseguenza dell’impegno e degli  investimenti effettuati dagli Halley, nelle vigne e negli impianti di vinificazione. Le ambizioni di questo Domaine sono  del resto visibili anche dai nomi dei consulenti di cui  si è avvalso : Denis Dubourdieu e poi , dal 2012, Michel Rolland. Nel 2015, infine, gli Halley (scomparso Jean aveva ereditato  Guillaume) , cedettero , anche un po’ inaspettatamente, la proprietà ai Labrune, proprietari fondatori della CEGEDIM (una grossa società leader nelle tecnologie e nei servizi alla salute) ma la corsa non si arrestò. Rolland è sempre il superconsulente enologo,  con Bruno Lacoste (fino alla vendemmia 2016) e poi Julien Viaud enologi. Direttrice dell’azienda è Stéphanie Barousse.

Intanto  La Dauphine ha  conquistato un posto di primo piano, per la sua innovatività e per la qualità dei suoi vini, nel territorio di Fronsac. Tanto che, quando acquistò lo Château Canon de Brem, la proprietà scelse incorporarlo nello Château La Dauphine rinunciando all’appellation Canon Fronsac, alla quale avrebbe avuto pieno diritto: ormai il marchio La Dauphine aveva una notorietà  e attrattività superiore a quelle dell’appellation.

Dopo quella sera al Comptoir de Cuisine di Bordeaux, ho  riassaggiato più volte quel 2012, e di nuovo  qualche settimana fa in occasione di una  visita allo Château. Il vino era ancora esuberante di energia  e di frutto, e il tenore (non proprio basso, visti i 15°) alcolico del vino non infrangeva però un’impressione complessiva di equilibrio. Color porpora, frutti neri, molto maturi ma freschi, è denso, senza essere sovraestratto: davvero un vino gourmand, con davanti almeno altri 5 anni di vita.

Nella miniverticale che ci è stata proposta nell’elegantissimo salotto della batisse (non sono tanto frequenti le degustazioni fatte in ambienti così belli), la 2012 era stata preceduta dal vino del 2009, un’annata sulla carta sicuramente  superiore. E il vino, che mi è parso ormai giunto al suo apogeo,  è infatti di ottimo livello, ha buona intensità, frutto maturo, tannini  fini, sul palato è morbido e piacevolmente caldo. Nella 2012 si avverte però un cambio di marcia. E’ anche il primo anno di conversione al biologico, anche se sarebbe ovviamente azzardato imputarlo ad essa.

I vini delle due annate non provengono esattamente dalle stesse vigne, perché, il blend  dell’annata 2012 (la proporzione 90% merlot e 10% cabernet franc è costante) si è basato sulle uve, in aggiunta ai 31 ha. precedenti, di altri 6 aggiunti successivamente su suoli argilloso-calcarei. Anche le rese sono significativamente differenti: 45 hl/ha nel 2009, annata generosa,  e solo 30 nel 2012. La vendemmia del 2012 è stata anche leggermente più tardiva (di un paio di settimane), così come quella del 2014.

Con l’annata 2014, assaggiata successivamente, si conclude il triennio di conversione (la 2015 sarà la prima a ottenere la certificazione di agricoltura biologica). Un’annata un po’ di transizione, prima delle due grandi annate 2015 e 2016. Al  naso risulta esuberante di giovinezza, frutti neri maturi,  note leggermente boisé. Sul palato esibisce    intensità e concentrazione, una tessitura tannica di buona finezza. Appare già abbastanza pronto, anche se naturalmente potrà affinarsi ulteriormente e resistere senza difficoltà alcuni altri anni. La Dauphine è un vino che può essere apprezzato giovane, a 3-5 anni dalla vendemmia, ma capace di buona resistenza (10-12 anni secondo annata).Con il vino dell’annata 2012, la 2014 è  al momento la più godibile, in attesa delle annate 2015 e 2016, che hanno bisogno di maggior tempo per esprimere pienamente il proprio potenziale.

Di queste ultime annate si può innanzitutto dire che confermano appieno il trend positivo precedente e insieme il valore intrinseco delle annate. Più generoso, come quello del 2009, il vino dell’annata 2015 (45 hl /ha. per entrambe) ha colore cupo, profondo, esibisce un frutto maturo, molto seduttivo, nel quale emergono i frutti neri (ciliegia scura, mora e prugna) insieme con sentori piacevolmente terrosi. Sul palato è succoso, sottilmente minerale, ha freschezza, finezza tannica, persistenza. Un ottimo Fronsac, ma che potrà durare a lungo nel tempo.

Il vino dell’ annata 2016 è  soave, senza l’opulenza di quello dell’annata precedente. La resa, a causa del difficile andamento climatico , è stata più bassa (31 Hl./ha., più o meno come nel 2012), ma la qualità ha ripagato. Di colore scuro, profondo, all’olfatto è intenso, ha aroma complesso, nel quale, oltre ai frutti neri si associano note floreali, molto fini, sul palato ha freschezza, succosità, una trama tannica di grande finezza. Spezie dolci e note di agrume rendono questo 2016 voluttuoso. Sarà pronto forse un po’ prima del vino del 2015, ma migliorerà ancora nei prossimi due anni.

Oggi lo Château La Dauphine consta di 53 ettari di vigna:  una sorta di anfiteatro naturale , con esposizione a sud. I suoli sono molto differenti tra loro  (ce ne sono almeno 14 diversi), a seconda della loro altezza: il dislivello tra le parcelle più basse e quelle più in alto è di una sessantina di metri.  Quello sul plateau è argilloso-calcareo su uno strato di calcare ad asterie, quello intermedio poggia sulle tipiche molasses del Fronsadais poco profonde; più in basso, i suoli sono costituiti da argille, limo e sabbie su fondo argilloso. Le vigne hanno una densità di circa 6.300 piedi per ettaro e un’età media di 33 anni.

La percentuale di merlot è ampiamente prevalente (90%), il resto è cabernet franc. La conversione alla conduzione biologica delle vigne è iniziata nel 2012 e si è conclusa nel 2014, ottenendo la certificazione AB nel 2015. E’ poi stata avviata la conversione alla biodinamica, dapprima su una parcella di tre ettari. Non si utilizzano fertilizzanti chimici né altri prodotti di sintesi, ma solo  letame e preparazioni vegetali e minerali naturali, secondo il calendario lunare. Nel 2018 lo Château ha ottenuto la certificazione HVE (Haute Valeur Enviromentale) di livello 3 (il più alto)  e del Système Mangement Environmentale. I consumi d’acqua ed energia sono regolati razionalmente evitando sprechi. Insomma è chiaramente percepibile  un impegno deciso e coerente verso la conservazione ambientale.

La cantina è tra quelle più moderne e tecnologicamente evolute della regione. Impressionante la cuverie circolare, con un braccio mobile rotativo , unico nel suo genere, per il riempimento delle cuves dall’alto  per gravità. Le uve sono sottoposte ad una doppia tavola di tri e poi controllate otticamente. Vi sono 26 cuves in cemento e 16 in acciaio inox da 50 hl. per permettere la vinificazione per varietà e parcelle. Nel 2017 sono state aggiunte 6 nuove cuves in cemento  a forma di tulipano, con sistema di termoregolazione integrata nelle pareti.

Nello chai, vi sono 600 barriques di legno francese (l’élevage della cuvée principale, lo Château La Dauphine, è di circa 12 mesi in barriques per il 30% nuove. Sono state poi aggiunte recentemente (nel 2017) alcune anfore in argilla e altre in grès per sperimentare forme di affinamento alternative al legno che assicurino la massima freschezza del frutto.

Allo  Château La Dauphine  si produce un secondo vino, Delphis de la Dauphine , 100% merlot , affinato in cuves di cemento, da bere più giovane , un terzo vino rosso, lo Château Bellevue,  prodotto dalle vigne più in basso nel coteau (10 ettari) per un piacere più immediato, tutti  a denominazione Fronsac, e un Bordeaux rosé di pressurage  (7000 bottiglie), 80% merlot e 20% cabernet sauvignon. Una bottiglia del grand vin costa 20-25 euro, meno della metà (sui 10-11 euro) il Delphis, e lo Ch. Bellevue, 14 euro il rosé.

Château de La Dauphine-SASU Château de La Dauphine,Rue Poitevine, 33126 Fronsac,

https://www.chateau-dauphine.com/

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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