Château Palmer: una storia che si degusta bene9 min read

Château Palmer assunse questo nome quando fu acquistato, nel 1814, dal generale Charles Palmer, aiuto di campo del principe di Galles, che partecipò con il duca di Wellington alla guerra vittoriosa contro Napoleone Bonaparte.

L’acquisto fu concluso durante un viaggio in carrozza da Bordeaux a Parigi, nel corso del quale ebbe l’occasione di incontrarne la proprietaria, Maria Brunte de Ferriere, giovane vedova di Blaise Jean Charles Alexandre de Gasq.

Lo château si chiamava  allora Château de Gasq dal nome della famiglia che lo possedeva, fin da quando le sue vigne furono separate da quelle dello Château d’Issan, di cui faceva parte e col quale oggi confina. Palmer fu convinto dalla giovane vedova, che gli assicurò che nelle sue vigne si produceva un vino altrettanto buono di quello di Lafitte, sicché  l’affare fu concluso rapidamente per la somma 100.000 franchi.

Lo Château Palmer rimase di proprietà del generale solo per 29 anni: nel 1843, infatti, egli vendette ciò che restava dei suoi possedimenti a Bordeaux a François-Marie Bergerac. Lo Château passò poi nel 1844 alla Caisse Hypothécaire de Paris e trovò i suoi nuovi proprietari nel 1853 nei fratelli Émile e Isaac Pereire, dei  banchieri ebrei portoghesi, rivali dei Rotschild, che lo pagarono 413.000 franchi.

Lo Château non cambiò più nome, nonostante a quel tempo fosse consuetudine cambiare nome alle proprietà vinicole con quello dei nuovi proprietari. Quando, nel 1855, Palmer ottenne la classificazione di 3ème cru di Margaux, non apparve più conveniente cambiare il nome che lo aveva portato alla fama. I Pereire costruirono allora il maestoso castello che si ammira ancora oggi con le sue quattro torri e il villaggio circostante. Era il 1856, e Palmer non avrebbe più cambiato proprietari fino al 1938, allorquando fu acquistato da un consorzio di quattro famiglie di famose maison de négoce di Bordeaux, unitisi nella  Societé civile de Palmer: Ginestet, Miailhe, Mahler-Besse e Sichel.  La ultime due sono oggi  proprietarie di maggioranza con la compartecipazione di una ventina di altri soggetti, dopo che i Ginestet (nel 1950) e Miailhe ebbero ceduto le loro quote.

Le vigne

Se il nome è rimasto lo stesso dall’epoca del generale Palmer, le vigne che facevano parte dello Château sono cambiate moltissimo nel corso del tempo: un destino, questo, di quasi tutti i grandi cru classé di Bordeaux, che non hanno più la stessa fisionomia che avevano al momento del classement napoleonico del 1855.

Quando il generale Palmer lo acquistò, tra il 1816 e il 1831, incrementò considerevolmente- praticamente triplicandola- la superficie delle vigne  portandola a 80 ettari, a cui si aggiungevano altri 80 ettari di boschi. Le nuove terre si trovavano nei migliori siti di Cantenac, Issan e Margaux. Durante il periodo della proprietà Pereire, la superficie delle vigne aumentò ulteriormente: nel 1870, infatti, gli ettari di vigna erano ormai 109 su 177 complessivi. Nel 1938, al momento della vendita al gruppo di quattro famiglie unitesi nella Société civile de Palmer, le vigne ammontavano però ad appena 38 ettari. Nel frattempo c’erano stati l’oidio, la fillossera, una guerra mondiale e un’altra stava per cominciare.

Oggi le vigne di Palmer ammontano a 55 ettari. Per il 47% esse sono costituite da cabernet sauvignon e altrettanto di merlot, una percentuale inusuale nella Riva sinistra, in larga misura piantato dai Miailhe nel 1945. Diversamente da  altri châteaux nei quali il merlot si trova su suoli argillosi, a Palmer è piantato su suoli ricchi di graves come i cabernet, ciò che , secondo Duroux, contribuisce fortemente alla tipicità di Palmer. Il resto è petit verdot, mentre è praticamente sparito il cabernet franc  (il grande desaparecido della Rive Gauche a causa dell’innalzamento delle temperature, a cui è particolarmente sensibile), espiantato. Nel blend della storica annata 1961 era ancora  il 5%.

L’età media delle vigne è di 38 anni, ma vi sono parcelle di 70 anni.

Posizione, suoli, vinificazione

Palmer è situato nell’area compresa tra i villaggi di Cantenac e Margaux , nel  cuore dell’appellation, in cui sono situati tutti i migliori crus. Si tratta di un plateau suddiviso  in piccole croupes modellate  dall’erosione idroeolica che guarda verso l’estuario. Qui il drenaggio è reso perfetto dalla vicinanza dell’estuario e dal finissimo reticolo di ruscelli che lo circondano a est (Hontigue  e Parise, a sfociare nella palude  di Labarde) e a ovest (attraverso i ruscelli de  Les Sables e de Louise).

La croupe di Palmer si erge, come i cru vicini di Issan e Rauzan-Ségla , fino ad un’altezza di 18 metri. Lo Château Margaux , come Lascombes e Durfort-Vivens, si trova  un po’ più a nord:  la sua croupe è  di un soffio  più bassa, a 15 metri, dietro le costruzioni dello château, appena all’uscita dal villaggio di Margaux andando verso Pauillac, dove sono le parcelle più qualitative.

A Palmer I suoli sono diversissimi. Alla fine degli anni ’90 il régisseur che precedette Duroux, Bertrand Bouteiller, aveva già effettuato una dettagliata analisi dei suoli per identificare i vari blocchi  per la vinificazione. Poi Duroux e la Pernet l’hanno ulteriormente perfezionata.

Il mosaico Palmer comprende almeno 18 suoli distinti, secondo le diverse percentuali di ghiaia, argilla e sabbia,  suddivisi in  106 diverse parcelle. Il magico plateau detto delle Brauzes è una terrazza di graves pirenaiche günziane, ricca di depositi lasciati dalla Garonna e dalla Dordogna. In superficie è ricoperto da uno strato di graves sabbiose, al di sotto del quale ce n’é uno di graves argillose, entrambi  di una trentina di centimetri, poggiante a sua volta su un ulteriore  strato di graves sabbiose. Un suolo poverissimo che dà vini di grande eleganza.

Nel settore che guarda a Cantenac, detto La Croix de Fer, invece c’è più argilla con  graves più profonde: il vino che vi si produce è più “esuberante”, anche se il tempo e il nuovo metodo di  conduzione lo hanno reso più fine. Il blend, che incorpora, dal 2012 anche  la parcella un tempo appartenente allo  Château Saint Vincent,  compie la sintesi tra i due territori  dando luogo ad un vino potente ma anche con l’ eleganza e la profondità che hanno reso celebre lo Chateau Palmer.

I vini di Palmer

Le uve, separate per varietà e parcella di provenienza,  compiono la fermentazione alcolica nei grandi vasi vinari in acciaio, mentre la malolattica è effettuata in barrique, così come l’affinamento : quest’ultimo avviene in barriques nuove di quercia francese, in una misura variabile dal 50 al 70% per lo Château Palmer, dal 25 al 40% per l’Alter Ego. La durata dell’affinamento in barrique è tra i 18 e i 20 mesi secondo annata per il grand vin e 16-18 per l’Alter Ego.

Oltre al grand vin a Palmer si produce, dal 1998, un altro vino, l’Alter Ego de Palmer, che però non costituisce un second vin nel senso della tradizione bordolese.  Esso, oltre a differire in misura importante nel blend (in prevalenza merlot), è prodotto a partire da un proprio parcellario, ed è stato fin dall’inizio concepito come un altro vino con caratteristiche proprie. In altri termini, non è un vino prodotto con ciò che semplicemente non entra nell’assemblage dello Château Palmer, ma con un progetto a sé.

Alter Ego adotta una proporzione differente delle  diverse varietà concorrenti: la percentuale di merlot e petit verdot vi è infatti di norma più alta che nello Château Palmer. Ne risulta un vino più arrotondato, che si può apprezzare più presto del grand vin, ma capace ugualmente di resistere bene nel tempo. Non è  semplicemente un vino piacione fatto per andare incontro ai consumatori meno smaliziati: al contrario è un signor vino  che sarebbe in grado di affrontare ad armi pari i migliori quatrième cru della sua appellation.

Nel 2004, l’anno dell’arrivo di Duroux, lo Château Palmer ha prodotto e commercializzato, un insolito blend  di vino di Château Palmer (40-45% circa di Cabernet Sauvignon e Merlot)  e un 10-15% di Syrah del Rodano settentrionale: come vin de table, non potendo utilizzare l’AOC Margaux e neppure quella di Bordeaux per la presenza di vino di altra regione. Riprendeva così una tradizione antica, risalente al XIX secolo, del clairet “hermitagé”. Il nome di questa cuvée è  “Historical XIX Century Wine”.  Nella vendemmia 2004 ne sono state prodotte solo 100 casse . L’esperimento è stato poi ripetuto negli anni successivi, con quantitativi sempre molto limitati. Recentemente è stata rilasciata la vendemmia 2016. In tutti questi casi, però, il millesimo non può essere citato e i vini sono identificati come lotto L20.04, L 20.07 e così via.

Praticamente da sempre a Palmer si produceva, dai primi anni del ‘900, anche una limitata quantità di vino bianco per la proprietà, normalmente non commercializzata.  La sua produzione fu interrotta negli anni ’30, per riprendere solo nel 2007 con un assemblage del tutto particolare: in maggioranza muscadelle (50%), il 15% di sauvignon gris (una varietà un tempo assai più diffusa nelle Graves), ma soprattutto, con una percentuale importante (il restante 35%) di loset, una varietà tipica del sudovest, speziata e dotata di una buona acidità. Vi è anche un progetto di un vino dolce 100% merlot blanc, del quale per il momento si sa poco.

I vini assaggiati

Allo Château abbiamo assaggiato l’annata 2014 di Alter Ego, la prima al  100% biodinamica,  e l’annata 2008 dello Château Palmer, un’annata che ha davanti a sé ancora una lunga vita, ma che è oggi abbastanza approcciabile e adatta a percepire l’identità del vino. Forse un po’ sottostimata all’inizio, perché oscurata dalla fama di 2009 e 2010, ma che col tempo ha mostrato il suo valore.

L’Alter Ego mi ha sinceramente conquistato. Fresco, croccante, con tannini finissimi, una speziatura elegante. Un vino già molto piacevole, ma che promette di essere premiato  da un’ulteriore attesa di alcuni anni.

Il primo vino senza solfiti di Palmer, dopo due anni di sperimentazione di riduzione della quantità di zolfo, e i risultati si riflettono in una grande purezza olfattivo-gustativa. L’annata  aveva avuto inizio con un inverno abbastanza piovoso, che ha consentito di rinnovare le riserve d’acqua della vigna. La fioritura si è svolta in condizioni molto favorevoli e tutto sembrava procedere per il meglio, ma un mese di luglio molto instabile ha rischiato di rovinare tutto. Un settembre radioso ha finalmente permesso una perfetta maturazione zuccherina e fenolica delle uve, sicché la vendemmia ha potuto aver corso senza difficoltà e senza minacce di botrytis a partire dall’ultima settimana di settembre a metà ottobre.52% merlot, 35% cabernet sauvignon, 13% petit verdot.

Affascinante  lo Château Palmer  2008:  colore purpureo , al naso frutti maturi, note affumicate  e d’ incenso, sul palato colpisce una grande freschezza acida, l’impatto è  di grande intensità, con una struttura tannica potente, ma non rude, lunga persistenza. Un Margaux vigoroso ma molto elegante. La 2008 è stata una di quelle annate nelle quali tutto sembra difficile sin dall’inizio: un inverno mite e  molto secco, poi freddo a partire da metà marzo, la ripresa dell’attività vegetativa ritardata, un  maggio piovoso, l’aggiunta delle  ferite inferte dalla grandinata che ha colpito le zone più meridionali del Médoc.  A giugno ancora temperature fresche e pioggia, un invito a nozze per coulure e  mildiou, poi, finalmente, un luglio salvifico, che ha permesso la sintesi dei polifenoli. Vendemmia tardiva sotto l’assillo costante dello stato sanitario dell’uva. 51% merlot, 41% cabernet sauvignon, 8% petit verdot

*Un ringraziamento a Melodie Strauss, che ci ha accompagnato nella visita

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Pianta del comune di Margaux di thewinedoctor.com, che ringraziamo.

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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