Per tutti gli anni ’70 ho frequentato per lavoro e con una certa regolarità la Francia, Parigi in particolare. All’epoca avevo una fabbrica di macchine e attrezzi per l’agricoltura e l’edilizia e proprio in quel paese avevamo un nostro mercato solido e diffuso. Quindi è stato facile e meraviglioso farmi portare a spasso per Parigi dal nostro agente Daniel, parigino della mia età nato e cresciuto nel quartiere dell’Opera.
Facendo poi l’agente nei cantieri edili della capitale era “costretto” a mangiare sempre fuori e di conseguenza aveva una conoscenza di ristoranti, brasserie, bistrot come pochi al mondo.
Fu lui a farmi scoprire piano piano, con metodo e pazienza il vino francese. E siccome tutti e due pendevamo verso il bianco – forse anche a causa dei nostri menu preferiti che chiedevano soprattutto questo – fu su questa tipologia che cominciai a farmi una mia piccola cultura. Il primo, sulla strada di Damasco, fu il Sancerre, forse perché particolarmente amato da Daniel, ma mi ci volle poco ad innamorarmene anch’io. E chi mai mi avrebbe fatto scoprire, se non Daniel, che il Sancerre esiste anche nella varietà rosso e rosé? E chi che l’abbinamento perfetto con il rillet di Le Mans è proprio il Sancerre rosé? E poi il suo vicino di casa, il Pouilly-Fumé e poi il Muscadet, in particolare quello fermentato sulle fecce (sur lie).
Vini che sperimentavo soprattutto nelle mie incursioni nella zona di Pigalle dove non c’è solo il Moulin Rouge e contorno, ma anche la zona con i migliori ristoranti di coquillages e fruit de mer. Perché non è vero che esiste solo lo Champagne per questi piatti, prezzo a parte. Per me ci marcia bene un fresco Sancerre, ma ancora meglio un arzillo e atletico Muscadet. E lo Champagne? Si beveva con i clienti importanti, ma con moderazione, causa prezzi e non altro.
Ma la fortuna volle regalarmi anche questa opportunità. Ad un certo momento dovemmo trovare un partner francese per costruire in Francia una macchina a tecnologia avanzata e la trovammo a Soissons una cittadina che dalla Champagne era ad un tiro di schioppo.
Fu il titolare, Monsieur Bastien, che nelle lunghe riunioni in ufficio mi fece scoprire come da quelle parti in luogo di prendere via via un caffè era invece previsto farsi un buon bicchiere di Champagne, anche di prima mattina! Poi lui aveva una culture enciclopedica sull’argomento sia perché risedeva proprio nella zona di produzione sia per la sua ardente passione per le meravigliose bollicine. Non sto qui a raccontare quante classificazioni mi fece e quante belle cose mi raccontò. Io cercavo di bere al minimo durante la giornata perché poi dovevamo discutere di aspetti tecnici e commerciali e, insomma, dovevo cercare di restare lucido, per cui bere tutto il giorno Champagne proprio non ce la facevo. Allora cercavo di limitarmi. Finchè una bella volta mi presi una serata di libera uscita.
Mi feci indicare dall’ormai amico Bastien un buon ristorante vicino al nostro albergo per mangiare, ma sopratutto per bere buon Champagne, magari di paese.
Il “vicino” era per non dover uscire e poi rientrare in auto…… Quella volta ero con Mario, il nostro disegnatore e tecnico che collaborava con noi nonostante fosse insegnante di ruolo nelle scuole.
Mario era un tipo che mentre sceglievamo dal menu e poi aspettavamo l’arrivo della prima portata era capace di mangiarsi tutti i pacchetti di grissini che erano sul tavolo, magari zuppandoli nel vino, ma anche nell’acqua minerale se il vino non era ancora arrivato. Ma se c’era la formaggiera col parmigiano, prima bagnava il grissino e poi lo zuppava nella formaggiera. Uno che accudito a casa da mamma e moglie la mattina appena alzato si sdigiunava con un piatto di pastasciutta avanzata, a bella posta, dalla sera prima e saltata nel padellino. Questo tanto per capire chi era.
Non ricordo cosa mangiammo in particolare quella sera. Ricordo che a metà della cena ci fu servito uno stupendo sorbetto al limone che galleggiava in un bicchiere di Champagne. Ci dissero che aveva la funzione di dare una sistemata allo stomaco, cioè in pratica di stasare un po’ la via maestra.
Si cenò a Champagne, molto Champagne, ovviamente. Me ne accorsi quando ad un certo punto dovetti andare al bagno e scoprii che avevo una qualche difficoltà a tenere un tragitto rettilineo. Cioè m’accorsi che tendevo a perdere l’equilibrio e tornando lo dissi a Mario.
Assieme studiammo come fare ad uscire senza fare qualche numero da circo. Siccome il locale era arredato in modo che pareva un salotto del comandante di una nave, c’erano diversi tubi in ottone che scendevano dal soffitto, come quelli dei pompieri.
Allora dissi a Mario il mio piano. Noi paghiamo, poi uno alla volta pronti ci alziamo, prendiamo di mira uno di queste barre posizionata a destra, tra di noi e la l’uscita: quella ci avrebbe fatto da correttore di traiettoria e da lì con un paio di svelti passi si poteva guadagnare l’uscita. Lui disse “ Ok, ma vai prima te!”. Io studiai bene il tragitto, i modi, i tempi, la barra a dritta e infine mi decisi: mi alzai. Sentii subito che le gambe erano quelle che erano, ma presi di mira la mia barra a dritta e mi lanciai. Destino volle che proprio in quel momento il cameriere che così amorevolmente ci aveva assistito e consigliato per tutta la sera si trovasse a passare proprio nella mia traiettoria, al posto della barra. Allora, con la prontezza della disperazione cambiai in una frazione di secondo la tattica e invece di aggrapparmi alla barra, detti una bella pacca sulla spalla del cameriere e, in perfetto italiano, gli dissi: “Complimenti ragazzo, ci hai trattato proprio bene stasera!”
La sua spalla sostituì in maniera impeccabile la barra a dritta mancata. Non vidi la faccia che fece, tutto slanciato a guadagnare la porta, ma certo la botta che gli allentai non fu di poco conto. E questo me lo confermò Mario che usci di li a poco. Mi disse che gli avevo fatto fare un paio di strambelloni, ma non si era per niente arrabbiato, si era limitato ad un sorriso complice e comprensivo.
Siccome eravamo al limitare del paese, in pratica in piena campagna e in piena notte, ci abbandonammo alla gioia liberatoria di lasciare un piccolo ricordo in una stradina con un lucido selciato in leggera discesa. Due rivoli di ricordi si videro scorrere allegri e decisi verso il basso.

