Cesanese con un buon piglio ma…5 min read

Ci tenevo alla rassegna del Cesanese, che si tiene ad Anagni da qualche anno, e quest’anno ci sono andato.

Il Cesanese del Piglio lo incontro volentieri nelle trattorie romane e mi sta simpatico. Ce l’ho in mente come un vino morbido, ma asciutto e fresco, con un colore intenso, granato tendente al viola, con un gusto e un profumo in cui prevale il frutto . Da tutto pasto, di beva spensierata .

I vini che sono stati proposti per la degustazione cieca sono un po’ più complicati .

Il Cesanese non è più solo “del Piglio”, hanno rivendicato la loro denominazione anche Affile e Olevano Romano.

Il vitigno, mi dicono i patriarchi del Cesanese, ha qualche problema di identità ampelografica . E’ vero che in zona la vite si coltiva dal tempo dei Romani, ma quella che si coltiva oggi non è certo la stessa . I vitigni sono arrivati nel corso dei secoli, si sono insediati, meticciati e sono stati battezzati con un nome toponimo, denominazione geografica ante litteram . Nelle zone il vitigno è abbastanza variabile.

Il terreno è calcareo, ma non c’è solo calcare, nei diversi territori. I paesi che danno il nome alle Doc sono abbarbicati a mezza costa su balze bianche, che furono una scogliera tropicale .

Sono stati proposti vini di tre annate : 2010, 2011, 2012 .

Il 2010 è un’annata eccellente per il cesanese, mi sono piaciuti molto quasi tutti.
Il 2011 è un’annata da dimenticare , mi sono dispiaciuti quasi tutti .
Il 2012 è un’annata intermedia, non priva di vini interessanti .

Nel 2011 c’è un’eccezione, il “Jo’ Waco” dell’ azienda Le Cerquette di Olevano Romano . Vino per certi versi enigmatico, a cominciare dal nome . Un altro vino, rispetto al 2011, rispetto a tutti i vini assaggiati, rispetto all’ altro vino della stessa azienda . Diverso ( udite udite ! ) nel senso dell’ eleganza : all’ occhio, al naso e in bocca . Mi ricorda certi sangiovesi da noi prediletti.

Era l’ assaggio n. 23, proprio accanto al 24 ( chi l’ avrebbe detto ), ovvero “L’onda”, il cesanese  canonic , secondo me. Il contrasto era spettacolare.

Comunque un vino eccellente , il Jo’ Waco , anche se deviante rispetto alla norma.

Un altro vino del 2011 che sale sopra il livello dell’annata è il “Vigne nuove”, Cesanese del Piglio dell’ azienda Berucci . L’ azienda è storica, il signor Manfredi Berucci è l’ inventore del moderno Cesanese del Piglio, fondatore della Cantina Sociale ( bipartisan, ovvero, a quell’epoca, nell’alveo del Compromesso Storico). Gentiluomo di antico stampo, quando è in campagna si veste rigorosamente da gentiluomo da campagna . Il nome Vigne Nuove si riferisce a vigne  che erano nuove molti anni fa . E’ un vino morbido , che cresce negli assaggi successivi . Non gli nuocerebbe un po’ di acidità in più, ma per un 2011  è un ottimo risultato.
Dalla stessa azienda  viene “l’Onda”, che citavo come modello ideale del Cesanese , a cominciare dal colore, intenso e limpido, per trionfare in bocca, pieno , ampio e di lunga persistenza.

“L’onda” forse mi ha colpito perché è stato presentato per primo nella serie dei 2010 , segnando uno stacco netto rispetto al 2011 . Perché poi altri vini di qusta annata mi sono sembrati  pregevoli e rappresentativi della tipologia.

Come “Othello” dell’azienda Casale Verde Luna , dove abbiamo anche felicemente pranzato .

Come “Elcini” della Cantina Sociale del Piglio , che dimostra  di saper fare sul serio .
Con il “Trasmondo” dell’ azienda Rapillo , località Serrrone, si manifesta una variante che mi ha spiazzato :  un Cesanese tannico, anzi un po’ ruvido , con acidità spigolosa ,  che ugualmente ho gradito.

E le sorprese sono continuate con il “San Magno” , dell’ azienda Corte dei Papi , di Anagni . Grande vino , forse il più unanimemente apprezzato dal panel di commentatori . Assaggiato con parsimonia, perché poco o punto ne è rimasto al produttore . Gli aromi sono intensi , il frutto prevale, il gusto è rotondo , ampio, lungo e mi è parso anche molto tipico . Quando il produttore mi ha detto quanta barrique gli infligge , ci sono rimasto male.

E qui s’ impone una riflessione.

Nel mio modello mentale il Cesanese non ha tannini , almeno non rilevanti . Inoltre , sempre nel mio pregiudizio ,non sarebbe adatto a subire la barrique.

Nei vini che abbiamo assaggiato, abbastanza spesso il tannino si fa sentire, sia pure in modo educato . Inoltre , si capisce e si viene a sapere , di barrique gliene danno eccome.

I due fatti sono connessi : il tannino, quando si fa notare , proviene più dal legno che dall’ uva .
Ma bisogna considerare l’ immagine della barrique ai giorni nostri , in questa alba del XXI secolo .
Vi sarà capitato di avere scambi di idee del seguente tenore:

Produttore : “Questo vino ha fatto 36 mesi di barrique”

Assaggiatore : “Accipicchia ! Non si direbbe proprio”

Produttore : “Ma sono barriques di quarto passaggio”

Questo comportamento ( tirare la barrique e nascondere la mano ) non è bello : alla fine la barrique c’è e non c’è , ti vedo e non ti vedo .

I vini presentati all’ assaggio erano stati severamente selezionati : 30 in tutto . Sono i Cesanesi di alta fascia, ambiziosi .Una specie di sfida : ecco cosa si può fare con il Cesanese. Molti hanno etichette sfarzose , bottiglie importanti.
Tornerò in zona e  ora che mi sono fatto un’ idea generale dedicherò più attenzione ai vini base .
Alla ricerca di un Cesanese con il seguente identikit : Fatto in acciaio ( o magari in contenitore di cemento), grado alcolico non molto  più di 13 gradi . Il fratello ben fatto del vino canaglia che bevo in via Rasella .

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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