Cervello umano: dopo l’umami hanno scoperto il sesto gusto, il Grasso4 min read

Ovvero, cosa accade nel nostro cervello quando assaggiamo del cibo.

Tutto nasce quando il marito della dottoressa Camilla Arndal Andersen decide, dimenticandosi momentaneamente di essere sposato con un neuroscienzato specializzato in scienze dell’alimentazione, di acquistare una gustosa – e costosa – miscela di caffè africano, biologico, monorigine, magari coltivato ad altitudini particolarmente elevate, ecc.

Un po’ di scetticismo sulla reale differenza di gusto rispetto al caffè normalmente usato, ma soprattutto la preoccupazione per il bilancio familiare, ha portato Camilla a fare un piccolo – e classico – esperimento. Una volta bendato, ha servito al marito in successione due tazze di caffè, chiedendogli di riconoscere il caffè africano appena acquistato. Ovviamente l’ha subito riconosciuto esaltandone la qualità e la differenza rispetto a quello finora usato (ignaro del fatto che gli erano state servite due tazze dello stesso caffè, naturalmente quello che beveva da tempo tutte le mattine).

Una volta salvato il bilancio familiare e ridimensionate le ambizioni da gourmet del marito, è chiaro che agli occhi di un neuroscienzato questo piccolo esperimento è andato ad assumere una dimensione diversa, è scattata la voglia di indagare, di capire il perché di una valutazione così diversa dello stesso alimento, approfondire quindi i meccanismi di percezione degli alimenti.

Curiosità che sicuramente solletica anche chi come noi si diletta ad assaggiare e valutare vini. Ricordo bene in proposito come in due diverse degustazioni, una “alla cieca” e l’altra ad etichette scoperte, lo stesso vino – blasonato – abbia avuto valutazioni completamente diverse.

Ma torniamo alla nostra scienziata, la quale ci spiega che quando beviamo una tazza di caffè (o un bicchiere di vino n.d.r.), il liquido viene rilevato dai recettori del nostro corpo, acquisendo informazioni che vengono poi trasformate in neuroni attivati nel nostro cervello. Più in particolare le molecole del liquido vengono rilevate dai recettori della nostra bocca e classificate, in base anche alle nostre conoscenze, all’interno dei cinque gusti base: salato, acido, amaro, dolce e il più recente umami. Prima ancora, le molecole nell’aria vengono rilevate dai recettori del naso e convertite in odori, le lunghezze d’onda in colori e così via.

Una prima riflessione è che ci sono molte fasi dell’interpretazione neurale tra l’oggetto fisico (il liquido) e l’esperienza cosciente di ognuno di noi. E’ da tenere presente che alcuni stimoli fisici possono essere così deboli che non riescono a rompere quella barriera per entrare nella nostra mente cosciente, mentre altre informazioni acquisite possono essere distorte dai nostri pregiudizi nascosti. E questo è un punto molto importante. Perché le persone hanno molti pregiudizi derivanti dal contesto socio-culturale in cui agiscono. Un pregiudizio tipico è il cosiddetto “pregiudizio di cortesia”, ovvero diamo un giudizio considerato socialmente accettabile anche se magari non è proprio la nostra opinione. Così, se partecipiamo ad un evento organizzato da una casa vinicola e il vino non ci entusiasma, dispensiamo un giudizio di cortesia nei confronti dell’azienda ospitante: “interessante, probabilmente ha bisogno di maturare ancora, mi piacerebbe riassaggiarlo tra un paio d’anni”. Altri pregiudizi coscienti che possono distorcere il giudizio dipendono da fattori esterni come la pubblicità, la conoscenza diretta del produttore, il contesto, i giudizi di altri ecc.

Allora, come aggirare questo problema? Secondo la nostra ricercatrice, la chiave sta nel rimuovere la barriera della mente cosciente e indirizzare direttamente le informazioni al cervello. E’ infatti il nostro cervello che riceve costantemente informazioni sensoriali da tutto il nostro corpo, e tra queste, le informazioni sul gusto. E sarà il nostro cervello a modificare – a nostra insaputa – il nostro comportamento quando troviamo qualcosa che ci piace davvero.

Nasce quindi l’esigenza per gli scienziati di misurare e valutare attraverso le scansioni cerebrali le informazioni pervenute al cervello. La tecnica usata dalla dottoressa Arndal Andersen è quella dell’elettroencefalografia o EEG (ma qui l’argomento diventa troppo tecnico e per l’approfondimento si rimanda alla conferenza ascoltabile – in inglese – su www.ted.com), una tecnica che ha consentito intravedere nuove prospettive, aprire nuove porte per rimuovere la barriera della mente cosciente, quella dei pregiudizi, e studiare il gusto a livello subconscio.  E’ possibile cioè misurare la prima risposta all’assaggio di un determinato alimento prima che la persona possa razionalizzare il motivo per cui gli piace o no, quindi una risposta “ripulita” da tutte le possibili influenze legate alla conoscenza, alla cultura e all’esperienza e altri fattori esterni.

A proposito di gusto, l’uso della tecnica dell’elettroencefalografia ha fatto nascere nei ricercatori il sospetto che oltre ai cinque gusti base ce ne possano essere altri.

Primo fra tutti il grasso, che oltre ad essere percepito per la sua consistenza e per il suo odore, ha anche un sapore. Questo significherebbe che il grasso, dopo umami, potrebbe essere non solo un portatore di colesterolo ma diventare il sesto gusto di base.

Ma anche questa, per noi che ci dilettiamo ad assaggiare e valutare vini, non è certo una novità ma una conferma.

Sembra di capire in conclusione che queste tecniche, viste in prospettiva e potenzialmente al  servizio dell’industria alimentare, possano svilupparsi nella ricerca di cibi più sani (es. con meno zucchero) e combattere la cattiva alimentazione senza comprometterne il gusto.

Le prospettive di questo filone di ricerca sono senz’altro interessanti, alcuni paesi guarderanno con maggiore attenzione agli sviluppi Non si direbbe un’emergenza italiana per cui per adesso restiamo a guardare con moderato interesse e misurato distacco, poi si vedrà.

Fabrizio Calastri

Nomen omen: mi occupo di vino per rispetto delle tradizioni di famiglia. La calastra è infatti la trave di sostegno per la fila delle botti o anche il tavolone che si mette sopra la vinaccia nel torchio o nella pressa e su cui preme la vite. E per mantener fede al nome che si sono guadagnato i miei antenati, nei miei oltre sessant’anni di vita più di quaranta (salvo qualche intervallo per far respirare il fegato) li ho passati prestando particolare attenzione al mondo del vino e dell’enogastronomia, anche se dal punto di vista professionale mi occupo di tutt’altro. Dopo qualche sodalizio enoico post-adolescenziale, nel 1988 ho dato vita alla Condotta Arcigola Slow Food di Volterra della quale sono stato il fiduciario per circa vent’anni. L’approdo a winesurf è stato assolutamente indolore.


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