C’era una volta il paese dei bianchi d’annata da bere subito, l’Italia!5 min read

Quanti di voi hanno assistito alla scenetta del ristoratore che vuole “affibbiare” il bianco dell’anno precedente al cliente e questo puntualmente lo rifiuta dicendo che è troppo vecchio? Credo ognuno di noi l’abbia vissuta sia “di” che “per interposta” persona.

Sono anni e anni che sentiamo dirci da enotecari e ristoratori che i bianchi italiani, anche se potrebbero invecchiare, i clienti il 1° gennaio vogliono quelli dell’ultima annata, che comunque i bianchi italiani, al contrario dei rossi, non invecchiano bene.

Sono anni e anni che sentiamo dirci dai produttori che devono per forza fare i bianchi giovani perché il mercato li richiede, che i loro vini si esprimono benissimo subito e quindi “provano” a farli anche invecchiare ma solo una piccolissima parte, solo per provare etc.

Mi fa molto piacere affermare, dati alla mano, che tutto questo sta cambiando e piuttosto in fretta. I produttori italiani di vini bianchi, dalla Sicilia all’Alto Adige, stanno sempre più puntando su bianchi con almeno 2 anni (ma anche molti di più) di invecchiamento e soprattutto li stanno facendo, anno dopo anno, più buoni e più adatti ad essere invecchiati.

Non lo dico io ma i dati delle ultime cinque annate della guida di Winesurf https://www.winesurf.it/it/guidavini/degustazioni/

Date un’occhiata a questi dati e poi ne parliamo

Guida 2021:  Bianchi premiati 135 – bianchi d’annata 57    pari al 42.2%

Guida 2022:  Bianchi premiati 108 –  bianchi d’annata 53   pari al 49%

Guida 2023:  Bianchi premiati 108 – bianchi d’annata  47   pari al 43.5%

Guida 2024:  Bianchi premiati 82 –   bianchi d’annata  31  pari al  37.8%

Guida 2025.  Bianchi premiati 102 – bianchi d’annata  37  pari al  36.2%

Quindi da almeno quattro anni sono percentualmente sempre più i vini bianchi con due e più anni di invecchiamento rispetto ai bianchi d’annata, e comunque da almeno cinque anni i bianchi Invecchiati  sono percentualmente superiori ai bianchi d’annata.

Questo non è dovuto al fatto che i produttori presentano agli assaggi meno vini d’annata (i numeri aumentano ogni anno) ma che mettono in campo ANCHE e comunque sempre più vini con qualche anno sulle spalle. Questo vuol dire che non solo i produttori ci credono ma che esiste un mercato che, anche per denominazioni da vini giovani,  gli permette anno dopo anno di puntare sempre più su bianchi invecchiati.

Bianchi invecchiati che ormai vengono presentati da non poche cantine anche con 10 e più anni sulle spalle e ottengono grandi risultati.  

Del resto se la tecnologia di vigna e di cantina migliora anno dopo anno non si può pensare che i vini non migliorino e quindi non possano avere maggiori possibilità di invecchiare.

Detto questo, che è un dato indubbiamente positivo,  assistiamo a due fenomeni abbastanza singolari che rischiano di creare non pochi problemi e denotano che ancora non si è compreso bene, a tutti i livelli, come gestire le varie tipologie di bianchi, invecchiati o meno.

Il primo riguarda tanti produttori che puntano alla botte piena e alla moglie ubriaca, presentando vini d’annata secondo loro adatti ad invecchiare e per questo imbottiti di solforosa (magari tappati con tappi tecnici che chiudono molto ma con le stesse dosi di solforosa usate con i tappi naturali)  per durare meglio nel tempo, col risultato di assaggiare vini completamente chiusi e quindi ingiudicabili da noi e sicuramente non apprezzabili da chi li acquista.

Il secondo fenomeno riguarda tante cantine che mettono sul mercato dopo pochi mesi dei vini d’annata leggeri e poco performanti, avendo usato le migliori uve per i bianchi da invecchiamento. Un po’ la stessa cosa che accade per tanti rossi, con la differenza che questa tipologia da anni ha delle “gradualità di invecchiamento” ufficiali che tutti conoscono, mentre molte denominazioni di bianchi devono la loro fama ai vini d’annata e “alleggerirli” per puntare alle riserve dopo 2-3-4 anni non fa certo bene all’immagine della denominazione.

Detto questo però torniamo al fatto che, piano piano, il bere bianco italiano non solo prevede anche vini non d’annata, ma che questi vini sono sempre più buoni, sempre più prodotti probabilmente perché sempre più richiesti. Del resto se cambiano i gusti e i consumi è logico che chi passa dal rosso al bianco voglia anche avere delle soddisfazioni diverse, con vini che puntano ad avere corpo, struttura, aromi meno immediati ma comunque molto piacevoli.

In chiusura un’annotazione: ora che vengono prodotti buoni bianchi da invecchiamento dobbiamo capire che il merito di questo sta nella vigna, e non nelle operazioni di cantina che prevedono l’uso del legno: abbiamo perso il conto negli anni, ma sicuramente sono migliaia i bianchi oberati e sciupati da legno nuovo. Naturalmente ce ne sono molti a cui il legno dà maggiore complessità ma ormai quello che consegna un grande vigneto di uve bianche ha solo bisogno di essere vinificato e atteso.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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