In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Lo ammetto: avrei potuto (forse) sorprendervi sciorinando le note del Villa di Capezzana 1925 assaggiato mesi fa alla memorabile degustazione celebrativa del centenario. 1925, avete letto bene. Ma poi ho pensato che raccontare un vino che, di fatto, è imparagonabile e ormai praticamente impossibile da assaggiare da parte di chiunque avrebbe rischiato di trasformare questa rubrica in un esercizio di ostentazione gratuita.

E allora ho ripiegato, si fa per dire, su un altro vino della stessa cantina: vecchissimo anch’esso, ma forse ancora miracolosamente reperibile da qualche parte, chissà. E comunque di un’età meno clamorosa del secolo tondo.
Si tratta del Villa di Capezzana 1979 Riserva, all’epoca Carmignano doc, prodotto dal leggendario e compianto Ugo Contini Bonacossi, personalità straordinaria alla quale mi legano tanti ricordi professionali e non solo e che ha costituito, si può dirlo senza tema di smentita, una delle figure più importanti del vino italiano dal dopoguerra ad oggi.
Quando questa bottiglia nasceva, Ugo aveva 58 anni (era del 1921, ci ha lasciato nel 2012) e a Capezzana aveva seguito ben 33 vendemmie.

Dentro, spiega oggi suo figlio Filippo, ci sono Sangiovese e, forse, un po’ di Colorino e Mammolo.
Del vino colpisce subito il colore, ancora integro, ma è soprattutto il bouquet che scuote per la sua incredibile freschezza e il susseguirsi di note vivaci, pungenti e vinose, con echi di resina e un’eleganza impettita che non tradisce le 46 primavere trascorse, relegando in fondo in fondo gli accenni terziari destinati a affiorare poi, con delicatezza, al palato.

Qui, il gentile richiamo ai funghi secchi e al tartufo aleggia etereo e si disperde nella grande profondità del sorso, un insieme di eleganza e di vitalità, un che di sontuoso di cui è impossibile non compiacersi.
Per quanto mi riguarda, uno degli assaggi più memorabili di questo 2025 che si avvia alla fine. E l’ennesimo motivo per ricordare con gratitudine Ugo Contini Bonacossi.
