Bianchi del Ponente Ligure 2019-2018: Pigato batte Vermentino3 min read

Nel tour fatto all’inizio di Agosto nel Ponente Ligure, di cui abbiamo parlato qui, il momento più importante è stata la degustazione bendata di oltre 50 vini, tra bianchi e rossi. Dei rossi parleremo più avanti e quindi è arrivato il momento di approfondire il discorso sui bianchi, che poi vuol dire parlare di due vitigni, pigato e vermentino.

Una buona fetta dei vini erano del 2019, ma il 2018 era ben rappresentato.

Dai nostri assaggi il Pigato è il vino che esce vincitore dal confronto: se guardiamo ai primi dieci vini il rapporto di 6 a 4 tra i due potrebbe far pensare ad un quasi pareggio, ma  i primi tre vini (due dei quali premiati) sono Pigato  e questo la dice lunga sui picchi qualitativi che possono raggiungere i due vitigni, almeno qui.

La sensazione è infatti che, almeno nella Riviera di Ponente , il Pigato abbia più frecce al suo arco, più dinamicità espressiva, più “fiducia” nei suoi mezzi. Non per niente le selezioni o i vini particolari (con più o meno legno, ma anche alcuni metodo classico degustati in cantina) che abbiamo assaggiato erano praticamente tutti dei Pigato.

Forse il Vermentino può superare in grassezza e rotondità il Pigato, ma sicuramente il Pigato ha un’acidità più decisa e un nerbo molto più evidente: qualche spigolo in più ma anche una nervosa pienezza che il vermentino non riesce a mostrare.

Una delle cose più  importanti della degustazione è che ha dimostrato come, soprattutto il Pigato, non sia vino da bere nel primo anno di vita. Non parlo di selezioni ma di vini base: i 2019 lo dimostravano sin da subito mentre i 2018 erano la prova provata.

Questa possibilità è un qualcosa su cui bisogna lavorare senza eccedere, senza voler caricare  di legno i vini o concentrare o appassire le uve: una perfetta maturazione che conserva una buona acidità è l’unica strada per fare dei vini ancor più buoni e ancor più territoriali. Un bianco in legno lo fanno ovunque, un Pigato che può andare avanti degli anni e avere caratteristiche particolari lo possono fare solo qui.

Veniamo alle cantine: dalla ventina di produttori che fanno parte dell’associazione  Vite in Riviera e di cui abbiamo degustato i vini ci aspettavamo… meno e per fortuna ci sbagliavamo. Ci aspettavamo, nel migliore dei casi, dei vini corretti e invece abbiamo trovato una voglia di trasporre il territorio nel vino, di non fermarsi assolutamente a prodotti da “turisti estivi” ma di proporsi al mercato italiano con vini di ottima qualità. Molte cantine sono di ragazzi giovani o comunque ci sono dei giovani che stanno cercando di rovesciare una certa storica apatia, un sotterraneo accontentarsi e un non volersi mai mettere in gioco fino in fondo.

Tra le cantine che abbiamo degustato ci sono nomi noti a livello nazionale e non solo, e ci dispiace che alcuni marchi importanti abbiano fatto orecchio da mercante e non ci abbiano permesso di valutare, comparandoli con gli altri, i loro vini. Oramai questa moda di evitare, se possibile, un confronta da cui non siamo sicuri di uscire vincitori è una moda dilagante ed è giunta anche qui.

Meno male c’è Vite in Riviera che cerca di unire e di proporre idee valide.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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