Barbacarlo e Montebuono, i vini di Lino Maga dagli anni ’80 a oggi9 min read

Come molti sapranno, fra i tanti eventi eterei che svolazzano da un capo all’altro del sempre meno Bel Paese, ce n’è uno al quale collaboro dal lontano 2010, si chiama Terre di Vite ed è opera della geniale Barbara Brandoli, che chi ha avuto il piacere di conoscere sa bene quanto sia professionale nel suo lavoro, sia come divulgatrice enoica che come organizzatrice.

Non sto qui a lodare questa manifestazione che amo davvero per filosofia e qualità, ma non posso esimermi dal dire che sabato 6 e domenica 7 maggio sono date del tutto nuove per questa undicesima edizione, infatti l’abbiamo sempre fatta tra la fine di ottobre e la prima settimana di novembre.

Villa Cavazza

L’idea di farne una in primavera ci è venuta per una serie di motivi, uno legato sicuramente al fatto che, tempo permettendo, l’aria primaverile è sicuramente più stimolante, c’è più luce, temperatura mite, profumi di fiori e piante, un’energia diversa, che si può cogliere molto bene nella stupenda sede di Villa Cavazza a Bomporto (MO); un’altra ragione risiede nel fatto che molti produttori a fine ottobre e primi di novembre, sono ancora impegnati nel lavoro di cantina.

E infatti è andata benissimo, forse la migliore edizione di sempre, con quasi 120 aziende partecipanti e un pubblico davvero di qualità, fatto di persone di tutte le età, ho visto coppie di anziani ultra 80enni che volevano il calice, così come famiglie con bambini piccoli o con i cani, questo perché la location è strutturata in modo da accogliere sia all’aperto che al chiuso, il suo fascino è già un’attrazione e chi ci va non pensa solo a bere e mangiare, ma vuole godersi il piacere di stare seduta sotto un ombrellone negli ampi giardini della villa.

Fra le attività previste c’erano anche alcuni seminari interessanti, uno dedicato alla famiglia Maga condotto da Sandro Sangiorgi (una presenza fissa a Terre di Vite), al quale non potevo assolutamente rinunciare. E ho fatto bene, sia perché il noto giornalista di Porthos era in gran forma (tanto che la degustazione si è protratta ben oltre i limiti per via delle numerose domande poste dai partecipanti), sia perché il Barbacarlo e il Montebuono presentati dal 1989 al 2019, scegliendo delle precise annate di riferimento, era un’occasione davvero ghiotta per approfondire due vini che rappresentano davvero qualcosa di leggendario.

So che c’è una specie di contrapposizione fra chi li ama e chi no, ma a mio avviso questo dipende proprio dal fatto che non sono vini “facili” ma hanno bisogno di essere conosciuti nelle loro diverse sfaccettature ed evoluzioni. Non è un caso che proprio la 1989 sia stata l’annata che mi ha fatto davvero emozionare.

Ma scendiamo nel dettaglio: i vini presentati erano sette, che poi sono diventati otto, quindi non tantissimi, ma le intenzioni non erano quelle di fare una classica verticale, bensì di prendere a riferimento alcune annate e mettere a confronto due vini diversi ma con un’impronta comune, quella fortemente voluta da Lino Maga e oggi portata avanti dal figlio Giuseppe.

Siamo a Broni, in una zona del tutto particolare dell’Oltrepò Pavese (che nessuno del luogo scrive con l’accento sulla “o”, cosa a mio avviso più corretta visto che il nome è legato al fiume più grande d’Italia, che ne è privo, mentre stranamente il disciplinare lo prevede con l’accento, ma Lino Maga in etichetta non lo ha mai messo), le vigne si trovano su una collina dalle pendenze che metterebbero a dura prova chiunque (70% di media), dove il suolo è tufaceo-sassoso a una quota di circa 300 metri s.l.m.

Terra che un vero contadino come Lino conosceva a menadito e sapeva lavorare, accompagnato dall’inseparabile sigaretta, una costante nella sua vita. Qui risiedono croatina, uva rara e ughetta (già, come il nome della mia compianta gatta…), le rese d’uva per ettaro nelle vigne di Maga sono lontane anni luce da quelle di chiunque altro, sia per sua scelta, sia perché con quel tipo di suolo e pendenza non potrebbero che essere basse, mediamente 30-35 quintali per ettaro, meno di un terzo di quanto consente il disciplinare dell’Oltrepò Pavese. Ma tanto i suoi vini sono sempre stati piuttosto indipendenti, alcune annate sono uscite come DOC Oltrepò Pavese Rosso (e in quel caso diventavano Vigna Barbacarlo e Vigna Montebuono), altre come IGT Provincia di Pavia (senza menzione vigna).

Ma veniamo al racconto di questa degustazione.

Innanzitutto Sangiorgi ha voluto che i vini fossero coperti, perché era importante non sapere quale fosse il Barbacarlo e quale il Montebuono, né avere riferimenti sull’annata. Si sapeva solo che si partiva dai più vecchi per arrivare ai più giovani, per una ragione molto semplice: i vini recenti sono più aggressivi e tannici, mentre gli “anziani” più sottili, equilibrati, giocati su sensazioni più ampie ma sussurrate, degustarli al contrario avrebbe certamente penalizzato quest’ultimi.

Questo tipo di situazione è ben diverso dalle degustazioni in batteria, durante le quali devi leggere un vino appena versato in uno-due minuti. Qui puoi lasciarlo respirare a lungo, sentirlo e risentirlo più volte, hai davvero la possibilità di conoscerlo anche nei suoi lati più nascosti, quelli che si rivelano solo dopo decine e decine di minuti. Potessimo farlo sempre, probabilmente tante valutazioni sarebbero leggermente diverse…

  1. Oltrepo Pavese Rosso Montebuono 2019: cangiante come non mai, parte con note speziate e di erbe aromatiche, un frutto maturo che richiama l’amarena caramellizzata, ma anche la ciliegia; ferroso, ematico, scorza di arancia amara, tocchi fumé, vaghi richiami al fungo e al sottobosco. Al palato ha ancora una bella vitalità, tutto il suo carattere terragno emerge con forza, il tannino aggredisce con brevi tocchi per poi immergersi nel frutto. Un vero spettacolo per i sensi.
  2. Oltrepo Pavese Rosso Barbacarlo 1989: va detto che nella storia di questi due vini, il Barbacarlo ha quasi sempre adombrato il Montebuono, a mio avviso ingiustamente, questa degustazione me lo ha chiaramente confermato. Meno disponibile nella fase iniziale, poi mostra un bouquet equilibrato ma non così ampio e variegato come il precedente, ha un bel timbro balsamico, un frutto ben espresso e non surmaturo, una speziatura più delicata, qui amarena e ciliegia si alternano in modo ritmato; l’assaggio rivela molto più sulla bellezza di questo vino, più passano i minuti e più sale, coinvolge, mostrando un equilibrio straordinario e una freschezza che mai ti farebbe pensare a un vino di 34 anni. Il tannino è perfettamente inserito nella polpa che non scalpita ma si spalma sulle pareti della bocca, rilasciando inebrianti sensazioni. Monumentale.
  3. Oltrepo Pavese Rosso Montebuono 1996: bottiglia sfortunata, nella mia fila, per fortuna ce n’è un’altra, purtroppo però ci sono molti depositi e il vino non è del tutto fruibile, peccato perché rivela comunque un bel frutto vivo e una piacevole vena balsamica. Anche al palato esprime una notevole vivacità e freschezza, i suoi 27 anni non si sentono per nulla, ha i tratti della grande annata pur non essendo una bottiglia felicissima.
  4. Oltrepo Pavese Vigna Barbacarlo 2002: un’annata micidiale un po’ in tutta Italia, salvo rare eccezioni, piovosa per lunghi periodi, con una pausa abbastanza prolungata solo dopo i primi di ottobre. Chi ha aspettato e raccolto più avanti (e Maga è uno di questi) ha ottenuto un vino certamente più esile ma di grande fascino. Tutta quella forza e spinta di cui il Barbacarlo è capace, qui trova una dimensione altra, giocata sulla freschezza e su una grande purezza di frutto con anche cenni floreali. Un vino fortemente godibile, per nulla stanco.
  5. Barbacarlo 2018 (Provincia di Pavia Rosso IGT): da qui si sente netto lo stacco con le altre annate, siamo in piena fase scalpitante, c’è maggiore materia, toni scuri sia nel colore che nella tipologia di frutto, non solo amarene ma anche prugne. Al gusto racconta il breve vissuto iniziale attraverso una spiccata vena acida e un tannino aitante, tanto frutto succoso che ne favorisce già una invitante bevibilità.
  6. Barbacarlo 2019 (Provincia di Pavia Rosso IGT): che dire, rubino cupo, un’amarena avviluppante con intarsi di mora di rovo e prugna, ciliegia nera, arancia sanguinella. Il sorso evidenzia tutta la sua energia giovanile, eppure, nonostante sia un puledro scalpitante, l’abbondanza di frutto riempie di sapore le pareti della bocca nascondendo in parte la tensione acido-tannica in un contesto di assoluto piacere.
  7. Montebuono 2019 (Provincia di Pavia Rosso IGT): impressionante esempio di quanto questo vino non sia affatto secondo al Barbacarlo, anzi, proprio con questa annata sprigiona tutta la sua bellezza, evidenziando una purezza espressiva che lascia senza parole. Tutto in divenire, certo, ma la tessitura è magistrale, perfetta, rifinita come non mai. Costi quel che costi prendetene qualche bottiglia finché siete in tempo perché vi darà enormi soddisfazioni.
  8. Montebuono 2005 (Provincia di Pavia Rosso IGT): a sorpresa e non previsto ecco un millesimo di rara bellezza, a mio avviso un’annata di quelle che molti hanno riscoperto solo dopo anni, poiché nella fase iniziale, penso soprattutto ai tanti assaggi fatti in Langa, dava vini molto essenziali, senza smancerie, diretti e molto veri, territoriali, un’annata che potremmo definire classica (oggi sempre più rara). Anche il Montebuono rientra in quest’ottica, con tutti i suoi tratti caratteristici comunicati senza strillarli ma con una notevole progressione dove vince l’eleganza rispetto alla potenza.

N.B. Chi conosce Sandro Sangiorgi sa bene che è un personaggio del tutto particolare, dalla capacità narrativa indiscutibile, ma anche amante di sperimentazioni che lo portano a spingersi ben oltre il linguaggio del vino. In questa occasione, ad esempio, ha voluto proporre ai partecipanti, di affiancare alla degustazione del tutto autonoma (35 minuti di tempo), un estratto da tre noti lavori di Mozart che, a suo avviso, ben si adattavano a questi due vini: Il Flauto Magico, magnificamente eseguito dai Berliner Philharmoniker (oggi Berliner Philharmonisches Orchester) sotto la direzione del grande Karl Böhm; un movimento dell’ultimo concerto per piano e orchestra n.27 in si bemolle maggiore K.595, e una serenata di cui purtroppo non ricordo il numero. Con me ha sfondato una porta aperta, visto il mio grande amore per musica e vino!

Roberto Giuliani

Roberto Giuliani è il direttore di Lavinium. È anche un appassionato e bravissimo fotografo.


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