Austria, chi era costei?4 min read

Prima che questo tempo impazzito ci facesse ripiombare in un’angosciosa incertezza, ho avuto l’opportunità di quattro giorni di assaggi di vini austriaci.

Austria, chi era costei? Su 100 bottiglie prodotte nel mondo, solo una proviene dall’ex impero asburgico. Le zone produttive sono collocate nell’Est del paese, ma la relativa lontananza geografica è debole scusa per la sostanziale noncuranza dell’appassionato italiano, a fronte dell’impressionante livello qualitativo medio (anche dei rossi), all’identità definita delle varie regioni, alla presenza di vitigni autoctoni di grande interesse (Grüner Veltliner, Zweigelt, Blaüfrankisch, per tacere delle magnifiche espressioni del Riesling).[i]

L’occasione degli assaggi era l’annuale (dal 2011) anteprima della Österreichische Traditionsweingüter, (ÖTW: si pronuncia correttamente dopo due settimane di esercizi), che più o meno sta per “Aziende vinicole austriache di tradizione”. Trattasi di 67 produttori di conclamata rinomanza, associati con il lodevole scopo di stabilire regole atte a promuovere il miglioramento qualitativo generale, compresa l’individuazione dei “cru”: in accezione borgognona (cru come vigneto), ma in realtà anche bordolese (cru come identità aziendale), come si vedrà.

Di sistematizzazione c’è gran bisogno, in quanto in Austria un sistema di denominazioni sul modello delle nostre DOC o (meglio) delle AOC francesi ancora non esiste. Le diverse regioni vinicole hanno sì una perimetrazione ben precisa, ma solo alcune hanno raggiunto lo status di DAC (Districtus Austriae Controllatus), l’equivalente “ufficiale” dei nostri disciplinari di produzione. Ogni zona si è data regole proprie, volenterosamente codificate dalle aziende locali con inevitabile arbitrarietà: soprattutto per quanto attiene alla classificazione qualitativa dei vigneti, alla cui indefinitezza neppure la DAC pone rimedio.

La ÖTW ambisce a colmare questo vuoto normativo, proposito esposto in un seminario introduttivo dal presidente Michael Moosbrugger, del magnifico Schloss Gobelsburg . Moosbrugger già di suo è un bel personaggio: abbandonati gli studi di filosofia e musica quando un lutto familiare lo ha costretto ad occuparsi dell’albergo di famiglia, è stato fulminato sulla via di Damasco del vino, con esperienze in varie aziende lo hanno condotto ad essere responsabile di uno dei brands austriaci più iconici, nonché a farsi paladino e portavoce di una nuova filosofia della qualità.

Wagram

In estrema sintesi, l’individuazione dei cru è “ribaltata” rispetto alla prassi comune, ponendosi come strumento identitario di marketing per consumatori di vino evoluti, interessati a vini che esprimano caratteri specifici e irriproducibili. In altre parole, la differenziazione non dipende solo da uno studio pedoclimatico, di cui peraltro non si sottovaluta l’importanza: esso però non individua i caratteri di un vino di qualità superiore. Piuttosto, un volta definito in cosa consiste un “premium wine” sia dal punto di vista organolettico, ma anche dell’importanza storica, della continuità e della consistenza dei riconoscimenti che gli vengono attribuiti, ecc., SOLO ALLORA ciò verrà correlato agli specifici caratteri territoriali. Ovvero, una zonazione non individua le parcelle migliori, bensì può essere utile per classificare tutte quelle nelle quali è possibile produrre la tipologia di vino indicata come migliore. Indicata da chi? Dal favore del mercato, dalla storicità dei riconoscimenti, dai giudizi della critica specializzata (quindi anche i punteggi attribuiti dal sottoscritto, debitamente registrati, hanno fatto danni), etc.

N.B.: per tale processo la ÖTW si è data un tempo più che ventennale, e per sua stessa natura trattasi di un work in progress.

Pertanto, gli assaggi annuali cui ho partecipato servono a confermare uno status acquisito. Anche per questo scopo, la lista dei vini in assaggio riportava la composizione dei suoli di ogni singolo vigneto, e il sottoscritto ha giocato a degustare in sequenza (ovviamente a parità di vitigno) etichette provenienti da terroir per questo aspetto congruenti, per verificare se era effettivamente possibile ravvisare analogie (mutatis mutandis: poiché a parità di suoli potevano variare profondità dei medesimi, altitudine, esposizione, giacitura, microclima, età dei vigneti, cloni, portainnesti, affinamenti, filosofia produttiva dell’azienda, e chi più ne ha più ne metta).

Delle risultanze di questo mio viaggio alla ricerca delle differenze, zona per zona, vitigno per vitigno, darò conto in futuri articoli. Non mancheranno consigli per gli acquisti. Nel frattempo, indico un vino che il sottoscritto ha riportato a casa:

Weingut Hermann Moser, Kremstal DAC Grüner Veltliner Der Löss 2010: non avete letto male, l’annata è proprio 2010, e il vino è sempre in listino (!), tra l’altro a prezzo commovente. Il löss è un sedimento eolico che solo sulle pendici della valle (tal) del fiume Krems raggiunge lo spessore di parecchie decine di metri, obbligando le radici delle vigne del premier cru Gebling, esposte in pieno Sud, a cercarsi l’acqua in profondità. Ne scaturisce un vino saporito e polposo (alla faccia di chi sostiene che il Grüner Veltliner dà solo vini sottili), ma innervato di una pimpante acidità, perfettamente mantenuta, dove riconoscimenti di confettura di pesca noce e di mela si sposano a una distinta balsamicità, ovvero il profilo aromatico dell’evoluzione con la fragranza della gioventù. Beva rilassata, ma mai stancante.

 

[i]Per un esaustivo compendio della insospettata complessità del vino austriaco rimando alla pagina web istituzionale www.austrianwine.com (anche in inglese), che inopinatamente comprende anche un utile riassunto in italiano

Riccardo Margheri
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