Alt-cool! Ovvero cosa ti passa per la bocca se dici no all’alcool5 min read

Tempo fa sono stato invitato a un assaggio di vini de-alcolizzati e all’improvviso e un po’ drammaticamente mi sono reso conto di non averne mai provati prima…

Quindi tappa obbligata a Firenze presso il Jazz Bistrot per una serata orchestrata al femminile: le colleghe giornaliste Alessandra Biondi Bartolini, Barbara Amoroso Donatti e Nadia Fondelli con il supporto della sommelier Barbara Tedde.

Avviandomi verso questa mia “prima volta” meditavo: quello che ha decretato il clamoroso successo del vino nel corso della civiltà occidentale non è certo il gioco di un bouquet complesso o la finezza di certi tannini. Protagonista è stata l’ebrezza alcolica, moderata o meno, con i suoi effetti positivi e negativi. Fra i positivi si considera anche il contributo a un’allegra convivialità. Lo disse perfino Papa Francesco durante un’omelia del 2019:  “Immaginatevi finire una festa con il tè. Senza vino non c’è festa”. Con buona pace dei monaci buddhisti…

Se di questo fondamentale aspetto di “lubrificante sociale” non si è sentita la mancanza durante la serata in questione il merito è stato solo della conduzione delle quattro signore, professionali quanto spigliate e divertenti. I sei  vini, come sottolineato nella presentazione, erano stati selezionati fra aziende che vantano un qualche legame con la produzione agricola, giusto per evitare il peggio: il Frizero Bianco delle Cantine Fumanelli; lo Spumante Rosé di Franc Lizer; il Tralcetto Bianco e il Tralcetto Rosso della vitivinicola Zaccagnini; il Riesling “Eins-Zwei-Dry” 2023 e il Pinot Nero “Zero-Point-Five” della Lietz Weingut. Quest’ultimo un caso significativo, visto che Lietz possiede numerosi vigneti in pieno Rheingau con un ventaglio di offerte che va fino ai crus “Grosses Gewächs”.

Ma alla fine mi occupo per mestiere di impressioni sensoriali, per cui a parte le immancabili discussioni sul futuro del vino, sulla guida e in generale sulla salute l’assaggio dei sei campioni presentati ha evidenziato alcune semplici cose. Sotto il naso dunque una pochezza sostanziale, nonostante gli sforzi tecnologici per trattenere o recuperare le sostanze volatili andate perse con lo strippaggio dell’alcol. Profumi anche corretti ma molto, molto evanescenti. Del resto ci deve essere una ragione per cui le boccette in profumeria sono piene di alcol…

In bocca poi c’è una specie di vuoto. Mancano le sensazioni che puo dare quel 10-15% di etanolo in un vino standard: un po’ di pseudo-dolcezza e una sensazione altrettanto sottile di morbidezza tattile. Non c’ è nemmeno la caratteristica se pur leggera impressione pseudo-termica. Tutte cose che fanno gioco, di solito, nel bilanciare i lati più spigolosi del vino.

L’effetto può essere soppesato, volendo isolarlo dal resto, in un approssimato ma efficace esperimento casalingo. Basta confrontare il gusto dell’acqua pura con quello di una miscela di acqua e 15% di alcol (il cosiddetto “buongusto” sui 95%, per il fare nocino o il limoncello). Ecco il contributo dell’alcol al mouthfeel.

Dunque per rimediare a questo vuoto lasciato dall’alcol i vini in questione vengono spesso “rafforzati” con zucchero e magari CO2, al che uno si chiede se non sia ragionevole spendere anche meno per un paio di lattine di soft drink, con risultati organolettici non troppo lontani. O preparare semplicemente uno spritz: dal 2011 quello a base di Prosecco è riconosciuto ufficialmente dall’associazione internazionale dei bartenders (IBA). Se siete in Germania, potete chiedere uno schorle.

Di seguito alla degustazione in oggetto ho caparbiamente insistito in assaggi di vini dealcolizzati, con la prevedibile conferma delle prime impressioni.

In ogni caso ben prima e un po’ stranamente mi era già capitato di provare diverse birre analcoliche, pur senza grande entusiasmo. Tutt’altra musica, va detto: hanno un gusto molto più simile quello delle “sorelle etiliche”. Intanto qui il volume d’alcol medio e ben inferiore a quello vini, per cui scendere verso 0 partendo da un 4-5% è meno scioccante che partire da un 12-14.

Tecnicamente, poi, il carburante iniziale di base, cioè il malto, può venire dosato con una certa discrezione, così da fornire da subito un basso “grado Plato”, che nel gergo brassicolo è una misura di densità degli amidi del mosto e quindi del potenziale alcol svolto. Insomma si può mirare fin dalla partenza a un volume etilico basso o molto basso. Dopo di che la fermentazione delle birre è quasi inevitabilmente parziale, lasciando quel residuo più o meno alto di zuccheri non fermentati che caratterizza la rotondità della bevuta, magari con l’ aiuto di qualche proteina.

L’assurdo più grande sono comunque i “distillati analcolici”, un ossimoro. Seguono l’immagine dei prodotti più calorosi ma quasi sempre l’etanolo non lo hanno visto neanche di lontano. Rimane solo l’idea e il tentativo, magari ben riuscito, di riprodurre le volatili in acqua. Il resto lo fanno i loghi e il packaging di famose marche. Circolano perfino diversi mock-tails, le imitazioni alcohol-free di cocktails più o meno celebri, vendute naturalmente già pronte solo da tenere in frigo.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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