Alcune scomode (per chi scrive) riflessioni sul metodo per il riconoscimento di miglior vino dell’anno di Wine Spectator5 min read

Premessa: quando studiavo per MW girava la storia di una degustazione fatta in contemporanea e con gli stessi vini da due panel di degustatori, uno in Europa e l’altro in USA. I risultati, in termini di punteggio, alla fine erano risultati quasi uguali ma con, questa era la morale,  motivazioni e schede di degustazione completamente diverse.

In soldoni, il mondo in cui cresci non plasma solo il tuo carattere ma anche il tuo palato.

Veniamo a noi. Ho gioito come tutti alla notizia che il Brunello di Montalcino 2018 di Argiano è stato giudicato da Wine Spectator come miglior vino dell’anno e adesso sono ancora più felice perché la notizia sta facendo, come è giusto sia, il giro del mondo. Questo porterà grandi vantaggi sia alla cantina che ad un territorio che amo e dove sono (enologicamente) cresciuto.

Non vi nascondo che da un punto di vista puramente professionale la notizia mi ha lasciato sorpreso. Sono anche andato a controllare il nostro giudizio su quel vino,  ma mi sono ripromesso di tacere perché, come direbbero gli antichi “Si parva licet componere magnis” .

Però stamani il caro amico Fernando Pardini, responsabile per la Toscana per la guida Slow Wine, ha scritto alcune cose sui social che mi hanno fatto riflettere e così mi sono messo a fare una piccola inchiesta su come è stato valutato quel vino dalle guide italiane.

Lo dico subito a scanso di equivoci: questo articolo non vuole sminuire il grande risultato ottenuto, ma solo presentare  e provare a far capire che, a livello leggermente più alto del bevitore occasionale che legge una notizia di diffusione (e quindi valore)  mondiale, esistono modi di valutare che devono essere presi per quello che sono, cioè non migliori o peggiori ma semplicemente diversi perché partono da parametri culturali e sociali diversi.

Una piccola inchiesta mi ha portato a questo: il Gambero Rosso ha assegnato a quel vino “Due Bicchieri Neri”, cioè un punteggio nella media, né alto né basso, preferendo altri vini aziendali. Daniele Cernilli nella sua guida ha dato ad Argiano un grande punteggio al Brunello di Montalcino Suolo 2018 ma non ha recensito il Brunello 2018. La Guida AIS, ancora non in commercio, ha fatto conoscere fino ad ora solo le “Quattro viti” , cioè i massimi riconoscimenti e tra questi  (fermo restando che l’azienda abbia inviato i vini per essere degustati)non c’è il Brunello 2018 di Argiano . La guida dell’Espresso ha dato un ottimo riconoscimento al Brunello 2018 Suolo ma non a quello premiato da Wine Spectator. La guida Slow Wine non ha al suo interno Argiano ma da voci di corridoio pare che fossero stati colpiti dall’alta qualità del Brunello 2018 Suolo, ma non dagli altri vini aziendali. Poi ci siamo noi, per quanto possiamo contare, non certo entusiasti del vino.

Torniamo alla premessa: su una cosa non ci sono dubbi e cioè che il clima culturale e sociale in cui si cresce ti plasma anche il palato e quindi è normale che una valutazione d’oltreoceano, fatta da palati culturalmente e storicamente diversi, possa portare a risultati diversi. Non è da oggi che si parla di vini dal “gusto internazionale”. Detto questo  non contano i molti parametri che usa Wine Spectator per “classificare” i migliori vini: se non gli fosse piaciuto quel vino non l’avrebbero premiato.

Quando si degusta professionalmente non si tratta tanto di bravura, concentrazione, gusti personali, affidabilità. Differenze culturali hanno portato a mondi gastronomici diversi, a gusti diversi e quindi portano anche, pur partendo forse da basi comuni, a valutazioni diverse.

Non voglio nemmeno fare il vecchio discorso  della divisione tra chi scrive solo per il lettore finale e chi invece soprattutto per chi deve vendere il vino a quel  lettore: se l’etica professionale è la stessa le cose non cambiano.

A questo punto però sorge un dilemma: il consumatore finale, magari spaesato da queste diversità di valutazioni,  a chi deve dare ascolto? Sicuramente è costretto a  fare una scelta, in qualche caso quasi obbligata: quindi i consumatori statunitensi si fideranno di più dei “palati simili” dei colleghi di Wine Spectator, come i  winelowers di molte altre nazioni: dal Canada, al Giappone passando per l’Europa. In Italia il consumatore ha, in questo caso, una scelta maggiore.

Ma cerchiano per un attimo di spersonalizzare il ragionamento: se X e Y danno sullo stesso vino giudizi diversi come fare a capire qual è quello “giusto”? In realtà non esiste una risposta, ma credo che su un punto si possa essere  d’accordo: non sempre il giudizio che viene più letto e conosciuto è quello più azzeccato, anche perché vi rientrano i parametri sopra menzionati che fanno capire le molte strade che si muovono attorno alla degustazione professionale di un vino.

Dal punto di vista non commerciale (quello che in realtà interessa meno ai produttori…) occorrerebbe separare la degustazione, sempre se fatta con serietà, conoscenza, professionalità e eticità operativa, dalla risonanza che può avere.

Invece, con buona pace di piccole riviste come la nostra e per la fortuna commerciale di diversi bravi produttori, certi punteggi contano molto più di altri e riescono a far vendere più vino e a far conoscere internazionalmente un territorio.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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