Al Mondiale Sommelier ASI cinque italiani, ma nessuno lavora in Italia. Perché?4 min read

Mentre scrivo questo articolo a Parigi vengono decretati finalisti e vincitori per il concorso del miglior sommelier del mondo per ASI (Association de la Sommellerie Internationale), l’unica associazione al mondo della Sommellerie ad avere 61 nazioni associate.

Evento che quasi quasi sta passando, almeno a livello social, decisamente in sordina, ma è un’edizione storica quella che si sta svolgendo a Parigi, con 67 partecipanti (un record!) di cui 5 italiani: anche questo un altro record cioè il 7% di tutti i concorrenti.

I cinque italiani in gara

Ma non finisce qui perché durante il concorso a Giuseppe Vaccarini (gia’ Miglior Sommelier del mondo nel 1978, ma sarebbe riduttivo parlare di Vaccarini riferendosi solo a quel titolo) è stato conferito l’ASI Lifetime Achievement Award, premio istituito nel 2019 in memoria di uno dei più grandi sommelier di tutti i tempi, Gerard Basset (chi sa chi era in Italia…) unico al mondo all’epoca ad essere MW (Master of Wine), MS (Master of Sommelier), MSc in Wine Management e miglior Sommelier al Mondo (titolo ottenuto nel 2010 dopo essere arrivato per ben 3 volte secondo) oltre ad aver ottenuto il titolo di OBE (Officer of the Most Excellent Order of the British Empire).

Voi direte “Ma come mai non ho visto e  letto nulla…” forse perché poco interessa a livello mediatico (in Italia) o forse perché i sommelier non spostano montagne e non hanno potere economico.

Ma andiamo con ordine: come si fa per partecipare al concorso:

  • Bisogna partecipare e vincere la competizione nazionale di un delle nazioni facenti parte dell’ASI. In Italia l’unica è ASPI, fondata da G.Vaccarini quando si staccò definitivamente dall’AIS.
  • I finalisti dell’edizione precedente hanno l’opportunità di poter partecipare ancora.
  • Vincere una competizione internazionale come il miglior Sommelier D’Europa & Africa o Oceania o Americhe.

Altro modo non c’è, quindi si tratta di una selezione molto accurata ed è molto dififcile farne parte. Ma allora vediamo chi sono i cinque italiani:

  • Salvatore Castano: vincitore del Miglior sommelier D’Europa ed Africa 2021, On Trade Advisor & Assistant Wine Buyer per Friarwood Fine Wines. Vive a  Londra
  • Mattia Cianca: Miglior Sommelier d’Italia 2019, ha una sua azienda che si occupa di Wine export a Bordeaux.
  • Andrea Martinisi: Miglior Sommelier per la Nuova Zelanda, vive a Auckland e lavora come Beverage Director di The Grove.
  • Paolo Saccone: Miglior Sommelier d’Australia 2021, vive a Sidney ed è Director Of Wine di Etymon.
  • Francesco Marzola: Miglior Sommelier di Norvegia 2020, vive ad Oslo ed e’ Wine Director al Park Hotel Vossevangen.

Come si capisce da questo elenco, di questi cinque “supersommelier” nessuno vive in terra Italica, come mai?

Mi ricollego ad un intervista apparsa fine anno fatta ad uno dei candidati intitola così “Mille pretese e stipendi da ridere: ecco perché non tornerò in Italia”.

Un frase che esprime chiaramente il concetto di quello che succede nel nostro paese.

Paese eccezionale a livello culturale, paesaggistico, vitivinicolo e gastronomico, ma dove, proprio in questi due ultimi settori, risulta estremamente difficile emergere per i professionisti e dove le esigenze delle aziende vengono sempre (o quasi) prima della persone. Si pretende molto a livello di tempo, conoscenze e risultati sul campo, ma il bilancio è spesso a sfavore del professionista che deve accettare uno stipendio (spesso non chiaro o da contrattare ogni volta) non adeguato alla mansione proposta. Questo accanto a  promesse verbali, benefits immaginari o da costruire nel tempo per raggiungere obiettivi richiesti, come minimo  improbabili e difficili.

Il risultato sarebbe sempre lo stesso: lunghi ed interminabili giorni di lavoro, bilancio life-work inesistenti, remunerazione non adeguata alla professionalità richiesta, possibilità di studio/aggiornamento professionale impossibili e se il candidato volesse partecipare ad un convegno/corso formativo deve farlo a sue spese, nei giorni di ferie o lontano da momenti ‘caldi’. Le aziende  tendono perciò a ripiegare nella scelta di un candidato ‘Junior’ da formare non capendo come invece questi valori aggiunti siano banalmente dei punti di forza che un candidato, soprattutto se professionalmente già affermato, andrà a mettere in bilancio prima di accettare una mansione.

Ora esistono entità in Italia che permettono una crescita  professionale costante ma sono rare e alla fine chi professionalmente è già formato deve necessariamente cercare altri lidi dove potersi esprimersi, sentirsi accettato, essere soddisfatto economicamente e professionalmente. Ecco spiegato il perché della fuga di quelli che potrei definire “cervelli e palati”, figure di professionisti tra cui i nostri campioni di questa edizione del Mondiale.

Davide Buongiorno
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