Arsura e delirio a Chambolle.4 min read

Della serie: due o tre cose sui vini di Borgogna talmente scontate che non le trovate facilmente altrove.

10-15 Marzo, Grands Jours de Bourgogne.

Compiere una full immersion in zona Digione senza essere dei Guru sulla Borgogna può avere i suoi lati positivi. E andarci accompagnati da due valorosi neo sommelier (Alessandro Morichetti e Maurizio Silvestri) talmente candidi da non lasciarsi intimidire nemmeno da uno Chambertin di Rousseau, ne moltiplica gli effetti.
Un po’ come entrare in una stanza da una porta mai (o raramente) utilizzata.
Dunque.
Potremmo stupirvi con effetti speciali, magari parlandovi del produttore – ovviamente biodinamico – che possiede parcelle in 12 premier cru e 8 grand cru per un totale complessivo di 0,8 ettari (tra cui 7 piante di Clos Vougeot, maturato in matrioske di rovere di Troncais).
Senza importatore, ovviamente.
Altrimenti è troppo facile (cazzo ci vuole a parlar bene di Louis Latour?).
Ma non lo faremo.
Visto che, delle 30 persone interessate all’argomento in tutta Italia, la metà stava con noi a rompersi la schiena sputando Richebourg e Montrachet.
E così buttiamo giù, senza nemmeno soppesare le parole al milligrammo, qualche considerazione personalissima.
Chissà, magari anche quelli che di Borgogna ne sanno molto più di noi (e ce ne sono parecchi) potranno rimeditare su considerazioni a volte (troppo?) scontate.
Ecco qui.

– I bianchi di Borgogna sono spesso grandi. Ma i migliori sono quelli buoni. Ovvero sono quelli fruttati. Visto che la         complessità ce l’hanno nel dna, e non è dunque quella la discriminante.
– I rossi di Borgogna non sono spesso grandi. E i migliori sono quelli buoni. Ovvero sono quelli fruttati. Leggi sopra.
– In Borgogna i vini dal gusto internazionale non esistono, o sono una sparuta minoranza. I vini, soprattutto i bianchi, hanno una uniformità stilistica mostruosa.
– A costo di rischiare la maledizione perenne di Bacco, ci siamo abbastanza convinti che non è vero che ogni cru è         identificabile organoletticamente. E quindi è stato delimitato per altre ragioni. Sfidiamo Bettane e Jancis Robinson in         giornatona a distinguere alla cieca i cru di Beaune, ad esempio.
– I più grandi bianchi di Borgogna sono i Grand Cru di Chablis e il Corton Charlemagne (aka Chablis-Montrachet). Montrachet e  satelliti (Chevalier in primis) sono i più grandi bianchi che si fanno in Borgogna.
– I migliori Comuni per i rossi sono Gevrey e Vosne. Sono quelli che hanno i minori problemi di maturazione fenolica.
– La qualità in Borgogna, in particolare nei rossi, è profondamente trasversale. Ci sono produttori che fanno Grand Cru         decisamente modesti. D’altro canto, uno dei migliori vini che abbiamo assaggiato è il Marsannay (rosso) 2005 di Philippe         Charlopin.
– Per questo motivo, la classificazione del vigneto costituisce ancora l’indice di potenziale massimo esprimibile, e non la         qualità reale del vino.
– Esiste ancora la discutibilissima abitudine di confondere eleganza con mancanza di concentrazione, e di confondere il         terroir (a volte, beninteso), con difetti di maturità.
– I negociants migliori (tutti importati in Italia) fanno vini migliori del 70% (almeno) dei produttori. Non è un intervento a         gamba tesa sull’immaginario della winesnobbery, ma una delle convinzioni più chiare che ci siamo fatti.
– Last, but non least, la Borgogna è la regione vinicola al mondo con la più profonda consapevolezza della valenza culturale         del vino. Senza dubbio. Ma, dopo una settimana di Chambertin e caprini freschi, Richebourg e caprini stagionati, Corton e         erborinati, la loro usanza di servire i rossi top con i formaggi ce pare proprio ‘na strunzata*.

*Ne addolciscono i tannini, ma gli danno – per dirla con un linguaggio da sommelier tristellato – un calcio sui coglioni ai profumi. 
 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE