Rosati pugliesi: la qualità è buona ma attenti all’omologazione4 min read

La degustazione di quasi 100 rosati pugliesi ci permette di formulare alcune osservazioni sulla tipologia regionale che ha acquisito sempre maggior peso sia nell’offerta aziendale che nel gradimento dei consumatori. Inoltre, cosa certo non meno importante, il più moderato contenuto alcolico lo rende un vino moderno e versatile.

Un dato che balza subito all’occhio ed è che sembrerebbe ormai attenuata “l’ondata provenzale”. Dopo anni in cui il colore aveva assunto dal punto di vista cromatico sfumature tra le più varie, andando dal ramato scarico al cerasuolo intenso e privando questa tipologia di una reale riconoscibilità territoriale, si sta ritornando a colori molto più intensi e vicini a quelli a cui la tradizione ci aveva abituato. Non sono poche però le aziende, le più grandi, che hanno diversificato la loro produzione offrendo anche rosati molto chiari per andare incontro ad un mercato internazionale tuttora dominato da intensità pallide. In futuro ci si augura che i vari disciplinari, almeno per le DOC, rivedano i parametri fissando un range più stretto dei punti colore entro cui rientrare.

Purtroppo questo discorso, se ha una certa attualità ed importanza per alcune regioni, leggi Abruzzo per il Cerasuolo, diventa di difficile praticabilità per la Puglia, in cui la quasi totalità di questa tipologia è affidata alle IGT.  Un’ ulteriore complicazione, arriva dalla diversità ampelografica da cui si ottiene il rosato: dal Negroamaro, al Bombino Nero, passando per Nero di Troia e Primitivo, per arrivare al Susumaniello.

A proposito di vitigni: la diversità ampelografica dovrebbe costituire una maggior risorsa, un plus per questa tipologia, ma spesso e volentieri diventa qualcosa di impalpabile, difficilmente riscontrabile. Cogliere la diversità, riconoscendone il vitigno prevalente, diventa molto difficile, il più delle volte impossibile. Forse è nella natura stessa della tipologia che basa tutto sui profumi derivanti dalla fermentazione, sollecitati da pratiche enologiche precise. All’olfatto le sensazioni di fragola, lampone sono una costante, talvolta esasperate da quelle che comunemente vengono chiamate “note di big bubble”.

Vigna di primitivo

Si può ottenere qualcosa di diverso? E’possibile seguire percorsi che portino ad una maggiore e diversa espressività e quindi ad una loro specifica riconoscibilità?

Domande a cui molti produttori stanno cercando di rispondere con la produzioni di vini sempre meno “banali”, sottraendoli all’omologazione dominante e, per quanto riguarda l’annata 2024, con un buon risultato.

La Puglia dei rosati conta molto sulla “reputazione storica”come se questa fosse immutabile nel tempo, data per sempre. La reputazione però può essere una zavorra e un alibi per continuare a pensare di essere tra i migliori. In tempi neanche lontani quando si parlava di rosati i riferimenti erano: Cerasuolo d’Abruzzo, Chiaretto del Garda, Puglia (Salento e Castel del Monte). Oggi non è più così. Ci sono molte regioni, da nord a sud, che possono contare rosati di grande qualità, forse con una qualità media non così diffusa, ma sono segnali che vanno colti. Non che non ci siano tentativi diversificare cercando percorsi diversi,  come quella dell’affinamento, a volte parziale, in legno o in anfora o quello di seguire la strada dell’invecchiamento. Sono scelte coraggiose, non sempre  coronate da successo, ma che vanno perseguite non dimenticando che la principale e fondamentale scelta avviene sempre in campagna, con vigneti a “coltivazione dedicata”.

Parlavamo prima di qualità media diffusa non a caso, perché dopo aver preso in esame quasi 100 rosati 2024 non è un dato da poco constatare che il 65% dei vini ha raggiunto e superato gli 80 punti (lo precisiamo sempre: per noi 80 punti non sono pochi perché non spariamo voti inutilmente alti come petardi alla festa del patrono!). Questo è un dato importante specie se confrontato con i rosati di altre zone d’Italia. Inoltre ben 6 Vino Top stanno a dimostrare che anche i rosati possono arrivare a profondità aromatiche e complessità gustative di altissimo profilo.

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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