Il tiepido solo primaverile accentua la tendenza degli appassionati verso i bianchi e i rosati. Purchè, aggiungo, abbiate dato il tempo a queste bottiglie di maturare e di riequilibrarsi.
Oggi agli amici di questa rubrica storica ho deciso di proporre una delle mie ultime fisse: i rosati evoluti per qualche anno sul modello Lopez de Heredia che in Italia, almeno per quel che conosco, non esistono ancora. Ci sono però degli esperimenti, non so se voluti o casuali come avveniva sino a qualche anno fa con i bianchi che vanno in questa direzione.
Il rosato che allunga il passo nel tempo diventa qualcosa di etereo, elegante, fine e al tempo stesso accentua la sua predisposizione ad abbinamenti molteplici e, anche, ad una accoglienza più ecumenica in una tavola dove non ci sono solo appassionati.
Facevo queste riflessioni di fronte a questo bicchiere prodotto da Tenuta San Francesco. Piccola azienda di Tramonti, l’anima contadina della Costiera amalfitana dove sino agli anni ’70 la gente scappava per non morire di fame, che ha avuto il grande merito di recuperare una viticoltura eroica grazie alla testardaggine del suo fondatore, Gaetano Bove, medico veterinario e grande appassionato.

La sua collaborazione con Carmine Valentino, enologo irpino di grandissima esperienza e poco mediatico, ha regalato in questi anni una batterie di vini indimenticabili, da E Iss, un tintore da viti giganti a piede franco, al Per Eva, una vigna di falanghina, pepella e ginestra a 600 metri che regala un bianco immortale. I suoi rosati per alcuni anni si sono adeguati allo storico delle aziende della Costiera Amalfitana, territorio che vantava una certa tradizione grazie ai Vini Gran Caruso degli anni ’60 adorati dal jet set che frequentava le rocce bagnate dal mare navigando sui Riva in legno.
Lo stile di questo rosato di quattro anni fa è diverso, il colore vira sul colore cipolla, il naso premia le note balsamiche e mediterranee lasciando il fruttato in sottofondo, ma soprattutto colpiscono l’eleganza al palato, la finezza, il tono sapido, senza concessioni piacione, con un finale amarognolo che ripulisce bene la bocca.
Viene da uve Tintore e Piedirosso coltivate fra i 300 e i 600 metri di altezza vinificate in acciaio dove sostano circa otto mesi prima di essere messe in bottiglia altri due mesi.
La bevuta di questa bottiglia così gratificante dimostra una grande evoluzione e soprattutto un tono giovanile, vigoroso, che non ha alcun cedimento ossidativo e neanche segnala stanchezza sul colore. Il vino, così equilibrato dalla giusta quanto inaspettata attesa nella mia cantina, ha sposato una aragosta di Palinuro accompagnata da verdure dell’orto di Maria Rina, la patron del ristorate il Ghiottone, dal 1978 riferimento sicuro nel Golfo di Policastro, lì dove si incontrano l’ultima Campania, la Basilicata e la Calabria con montagne a picco sul mare.
C’è tanto da lavorare, ma siamo sicuri che i risultati saranno pazzeschi.