La copertina è per i Languedoc d’altitudine, cioè per i vini delle aree più alte della regione. Poi spazio alle formazioni, all’adattamento della vigna ai cambiamenti climatici, al boom delle vendite su Internet e all’intervista a François-Xavier Demaison, gli altri titoli di questo numero.
Cominciamo dalle degustazioni: oltre a quella principale annunciata in copertina, ve ne sono altre minori per estensione : le “pepite” di Banyuls e quelle della Côte du Couchois in Borgogna, i rossi di Lirac e quelli di Bugey, la verticale del Bandol La Bégude.

Oltre al Dossier sulle formazioni in campo vitivinicolo, tema al quale TdV è molto sensibile, dedicandogli periodicamente un aggiornamento, e alle consuete rubriche di sempre (le notizie dell’ Actu, Côte d’Enfer- focus sulle quotazioni dello Chambertin del Domaine Trapet-, il Tour des cartes dedicato a wine-bar e ristoranti, l’arte …), vanno segnalati gli appuntamenti fissi, con le interviste (a Jean-Marc Touzard, ingegnere-agronomo ed economista, sull’adattamento della vigna ai cambiamenti climatici, e François-Xavier Demaison, attore, umorista e appassionato di vini), con “Sur le Divin” ( incontro con Nicolas Thienpoint, direttore, tra gli altri, degli Chateau Pavie-Macquin e Beauséjour Duffau-Lagarrosse), e la saga (la famiglia Barrot, a Châteauneuf-du Pape), e naturalmente le “escapade” (nella Vaucluse e in Slovenia) e le pagine della gastronomia (il ristorante dello Château Marquis-de-Terme a Margaux).
Tra i vari temi annunciati, mi soffermerò sulla degustazione principale di questo numero, quella dei Languedoc d’altitudine, e due di quelle minori, trattandosi di aree vinicole relativamente poco rappresentate nelle riviste di settore: i Banyuls e la verticale del Bandol dello Château La Bégude.
Chi pensa alla viticultura della Languedoc come appiattita sul suo litorale, sbaglia di grosso, perché , lasciandosi alle spalle il mare, le altitudini , anche importanti, non sono lontane, se si pensa anche solo al massiccio di Caroux nel minervois, che supera i 1000 metri, o gli speroni rocciosi degli Châteaux catari, come il Pech de Bugarach (oltre 1200 metri), fino al monte Agoual, che supera i 1500 metri di altezza. Già la Revue du Vin de France, qualche mese fa, aveva dedicato una delle sue grandi degustazioni ai Languedoc “d’altitudine”, provenienti da praticamente tutte le principali denominazioni vinicole, in quanto quasi tutte hanno propri settori di altitudine, dal Pic Saint-Loup alle Terrasses du Larzac, da Faugères a Saint-Chinian e così via. La RVF raggruppò i vini assaggiati (266) in tre semplici categorie altimetriche (da 250 a 300 metri, da 300 a 350 e oltre 350 metri s.l.m.).

TdV ha utilizzato invece una sola macrocategoria, comprendente circa 200 vini prodotti da vigne che oltrepassano i 200 metri. Perché una degustazione basata solo sul parametro dell’altitudine? Perché, a parte il livello qualitativo, spesso ma non sempre migliore, questi vini si distinguono dai loro confratelli di pianura per la maggiore freschezza e una maggiore tensione. Impossibile ovviamente rendere conto di tutti gli assaggi, qui presentati, come d’abitudine, attraverso delle brevi schede descrittive, comprendenti il nome della cuvée, quella del Domaine, il possesso eventuale di una certificazione ambientale/biologica, il prezzo e un piatto consigliato per il suo “pairing”, e una valutazione in ventesimi “alla francese”. Mi limiterò perciò a citare solo quelle cuvée che abbiano ottenuto un punteggio di almeno 18/20 e il “coup de coeur” della redazione, e, tra i pari punteggio, quelli col prezzo più conveniente, spesso inferiore o di poco superiore ai 15 euro. A Limoux, tra i vini fermi, si distinguono, con i loro 18/20 l’Occitania 2020 dello Château Rives Blanques, certificato CAB, un bianco proveniente da una vecchia parcella di 60-80 anni a 300 m. di altitudine (per averla occorrono solo 13.50 euro), e , per ancor meno (12 euro), il La Ferrande 2020 del Domaine de Treille, un eccellente 100% chardonnay. Lo stesso punteggio ha ottenuto il La Balme 2016, un rosso di Minervois-la-Livinière, dello Château de Fauzan, 15 euro. Un po’ più costoso (19 euro) , ma ugualmente buono é il rosso La Boulière 2019 del Domaine Bertrand-Bergé, biologico (18/20), mentre a Faugères , un syrah proveniente da una vigna a 300-400 m. di altitudine, l’Aksou 2019 del Mas Lou, ha ottenuto lo stesso punteggio (18/20), e può essere acquistato per solo 13 euro. Infine mi sia consentito citare quello che apparentemente è il vino col miglior rapporto qualità/prezzo: Le Parfait Inconnu 2020, un bianco del Domaine Gabinato-Frsquet (cert. HVE), un semolice IGP Pays Cathare, 16/20 dal costo di soli 7 euro e mezzo.

Eccoci allo Château de la Bégude, con Tempier, Pibarnon, Pradeux e pochi altri, uno dei Domaines faro di Bandol. Trenta ettari di vigna in una proprietà di complessivi 500, 22 parcelle nelle quali domina il mourvèdre, situate ad un’altezza media di 410 metri, nei quali si producono vini bianchi e soprattutto rossi di grande personalità, e uno straordinario rosé (L’Irréductible), dotato di lunga resistenza. Nella verticale, presentata da Sylvie Tonnaire , sono stati degustate le annate dal 2005 al 2019 , tutte di ottimo livello: solo il vino della piovosa annata 2012, non ha superato i 16/20. Tra le altre annate spicca, dall’alto del suo 20/20 quello della vendemmia del 2019 (28 euro) , incalzato, con 19/20 dal 2015 e del 2016. Quella del 2019 è davvero una grande bottiglia, opulenta come spesso è il Bandol nelle grandi annate, di una incredibile finezza tannica.

Banyuls è, con Maury, Rivesaltes, Rasteau e Baumes-de-Vénise , uno dei grandi terroirs dei Vins Doux Naturels (VDN). In rosso o, più raramente in bianco, il Banyuls viene declinato in due differenti tipologie: quella di annata ( o rimage), di colore più scuro e dai profumi intensi di frutti neri, e quella tradizionale, in cui il vino è fatto invecchiare molti anni in fusti, nel corso dei quali assume un colore ambrato e un caratteristico rancio. Partendo da poco più di 15 euro, un Banyuls invecchiato di livello può spingersi fino ai 100. Nella selezione presentata per TdV da Marc Venhellemont , ce n’è per tutti i gusti. Non potendo segnalarli tutti, mi limito ad accennare ad alcuni di essi. Comincio da un grande Banyuls grand cru di tipo tradizionale, la Cuvée André Magnères 2009 del Domaine Vial-Magnères, 19,2 gradi di alcol e 112 gr./l. di zucchero residuo, ma di sorprendente freschezza del frutto (mora, cassis , scorza di mandarino) e dalla speziatura esotica (42 euro). Il più costoso della batteria (92 euro) e il più vecchio, è il Le Coeur 1992 del Clos Saint-Sébastien , omaggio al padre di Romuald Péronne: grenache noir con una aggiunta minima di grenache gris , assemblata dopo 25 anni in botte: crema di mela e pera, bergamotto, curcuma e cardamomo, un Banyuls dalla affascinante speziatura, dalle note salate e iodate. Concludo con il Banyuls grand cru 2008 di Coume Dal Mas (70 euro), minimo dieci anni in barrique, che privilegia l’élevage ossidativo , per echeggiare i grandi Porto, un eccellente Banyuls di grande eleganza, suadente e carezzevole, dai toni iodati. Il più accessibile? La Cuvée Camille Descossy 2017 de Le Cellier Dominicain di Couillure, 100% grenache, terra di Siena, gelatina di ribes e mirabelle, di generosa giovinezza (solo 16,80 euro).