Intervista a Martino Manetti, Montevertine “Il peggior difetto per un produttore è credersi il migliore di tutti”13 min read

“Con un padre importante come il tuo non era facile pensare di prendere il suo posto. Quando hai realmente digerito l’idea di sostituirlo in azienda?

La voglia e il dovere sono stati immediati. Mi era stato chiesto prima che babbo se ne andasse e diciamo che non potevo fare altro che obbedire. Dal punto di vista della voglia, quella c’era da tanto tempo.”

“Questo magari quando Sergio è mancato, ma prima?”

Ripeto che la voglia c’era dato che lavoravo già in azienda e farlo qui voleva dire stare con mio padre senza avere voce in capitolo, perché comandava lui. Quando era in vita lavoravo con lui ma senza pensare al futuro. La malattia è stata abbastanza veloce e così in poco tempo sono passato dal ruolo di cantiniere a quello di direttore. E’ stato un passaggio velocissimo e non facile, anche perché babbo non mi faceva nemmeno entrare in ufficio!”

“Davvero?”

Certo! Quello era territorio suo e suo doveva rimanere. Nello stesso tempo mi ha insegnato tanto, mi ha fatto capire cos’era il vino: da parte mia ho osservato tanto e ho visto come il suo stile di vita, di accogliere, di confrontarsi con le persone, fosse uno stile vincente. Metteva in campo  una certa simpatia elegante, tanta spontaneità, immediatezza e non aveva certo peli sulla lingua.”

“Era una domanda che volevo farti alla fine ma te la faccio adesso perché casca a fagiolo: qual è la cosa più importante che ti ha insegnato tuo padre?”

“A essere onesti e a trattare come si deve i proprio dipendenti. E’ fondamentale avere un buon rapporto con i dipendenti, avere rispetto delle persone che lavorano per te.”

“Rispetto a tuo padre, che era accentratore per definizione, tu hai “allargato” la base della squadra di Montevertine.”

“Ho sbagliato molto all’inizio perché ero un accentratore e mi sono illuso che potevo fare tante cose da solo, ma con l’esperienza e con gli anni, visto che ne sono già passati ventuno, ho imparato che certe cose è bene farle fare a chi le sa fare meglio di te, senza nessuna vergogna. Se ci sono persone che sanno fare le cose meglio di te fagliele fare perché alla fine è un vantaggio per te e soprattutto per l’azienda. Naturalmente nell’azienda ci deve essere un punto di riferimento, non si può parlare del “vino di venti persone” anche se mi piacerebbe molto si potesse fare.”

“Ti ho chiesto cosa ti ha insegnato tuo padre, ora ti chiedo cosa ti ha insegnato Giulio Gambelli.”

“Giulio mi ha insegnato il rigore e il coraggio delle proprie scelte, nel senso di dover cercare la strada giusta per fare del buon vino senza però voler “far” troppo e senza vergognarsi di rimanere un passo indietro. Se quest’anno la vigna può darmi questo, facciamo questo e basta. -Stai tranquillo, verrà meglio l’anno prossimo: quest’anno il vino è buono ma è così perché l’annata gli ha dato queste caratteristiche- Questo diceva Giulio quando c’era qualche annata più difficile.”

In un mondo come quello di oggi che vuole sempre l’annata del secolo suona strano.”

“Sembra incompatibile ma secondo me è il modo più onesto per andare avanti. Se ti rivolgi a dei clienti che vogliono tanto da te vogliono anche chiarezza: il cliente appassionato ti concede anche l’anno di pausa e dopo si fida di più.”

“Quanti ettari e quante bottiglie.”

“Gli ettari oggi sono 19 e le bottiglie più o meno sono 90.000.”

“Di queste 90.000, mi dicevi, il Pian del Ciampolo (il vino “base” della cantina n.d.r.) non è il vino più prodotto.”

“Può esserlo quando c’è l’annata un po’ più scarsa dal punto di vista qualitativo e così abbiamo più vino che non può essere adatto per il Montevertine e per il Pergole Torte ma oggi come oggi abbiamo avuto 3-4 annate buone di fila e così di Pian del Ciampolo ne abbiamo fatto di meno.”

“Cosa ha di differente Radda rispetto alle altre zone del Chianti Classico?”

“Ha delle caratteristiche sue che magari puoi ritrovare anche in certe zone di altri comuni chiantigiani: l’altitudine, un terreno molto povero, più sassoso, un’escursione termica giorno-notte più marcata durante i mesi estivi, una vendemmia più avanti nel tempo, verso ottobre, che può portare ad una migliore maturazione del sangiovese. Ripeto però che queste caratteristiche si possono trovare anche in parti di altri comuni, come nella zona alta di Gaiole, o a Lamole. Mediamente Radda è un comune alto, dove le vigne più basse sono a 370-380 metri e quindi in tempi di aumento delle temperature e di cambiamento climatico  questo aiuta non poco.”

“Le tue vigne, in particolare quelle attorno alla casa e alla cantina,  sono fra le più conosciute e ammirate del Chianti Classico. C’è un vigneto non tuo che faresti carte false per avere?”

“Con i tempi che corrono a me piacerebbe avere i vigneti che ha in alto Albola.”

“Quindi vorresti vigne ancora più in alto.”

“In effetti lì siamo quasi sui 600 metri e devo dire che, parlando di Radda, anche il Castello di Volpaia ha dei bellissimi vigneti e Monteraponi ha fatto un vigneto molto bello in una posizione stupenda. Ce ne sono tanti: c’è sempre chi ha cose più belle delle tue”

“Domanda cattiva: pensi che si sia più ambasciatori di questo territorio con un Chianti Classico o con un Toscana IGT?”

“Con un Chianti Classico, anche se non lo faccio. Poi bisogna precisare, perché i nostri vini nascono nel Chianti Classico e dalle uve classiche del territorio e che di fatto “declasso” ogni mio vino. Ma non faccio Chianti Classico perché secondo me sotto questo nome c’è di tutto e di più e a me piace distinguermi. Per esempio mi piacerebbe che il Chianti Classico si facesse soprattutto con tanto sangiovese e mi piacerebbe ci fosse molta più identità territoriale perché non possono venire a dirmi, per esempio, che un Chianti Classico di Greve in Chianti è come quello di Radda in Chianti. Bisogna imparare da chi fa vino da molto più tempo di noi. Se prendi una bottiglia in Borgogna cosa leggi sull’etichetta scritto bello grosso? Il comune da dove viene il vino, poi più piccolo il nome della vigna e ancor più piccolo il nome del produttore. In Chianti Classico dovremmo fare la stessa cosa. Mio padre a suo tempo fece delle crociate per cercare di mettere in primo piano le differenze di territorio e a lui ho fatto la promessa che i vini di Montevertine si chiameranno di Montevertine e non Chianti Classico, anche perché non vedo le condizioni per poter pensare a cambiare qualcosa.”

“A proposito di Montevertine, che è considerato “un terroir”: quanto credi che conti la vigna e quanto l’uomo nel fare un grande vino?”

“Metà e metà: il vino senza l’uomo non si fa. La vigna, l’esposizione e mille altre cose vengono scelte dall’uomo, ma anche un grande apporto umano in un terreno non adatto non porta a niente, si devono compensare.”

“Ce lo spieghi come nascono  i vini di Montevertine dal momento della raccolta?”

“Prima della raccolta facciamo dei sopralluoghi e decidiamo da dove cominciare…”

“Scusa se ti interrompo ma mi viene in mente quando mi hai raccontato che chiamavi Giulio  “l’Uomo del Monte” perché assaggiava l’uva e solo dopo il suo si poteva partire la vendemmia.”

“Quando eravamo ragazzi e con i miei amici del liceo si veniva a vendemmiare vedevamo arrivare questo signore, che una volta si presentò con un completo di lino chiaro come aveva quello nella vecchia pubblicità, assaggiò l’uva e dall’alto ci gridò di venire via dalla vigna perché l’uva non era ancora matura. Uno dei miei amici disse “Ragazzi, l’uomo del Monte ha detto no!” e questa battuta è rimasta storica.”

“Torniamo alla raccolta.”

“Noi abbiamo bisogno di 10-12 giorni per fare la vendemmia e quando iniziamo vuol dire che l’uva è matura al punto giusto, perché la prima che raccogliamo è quella per il Pergole Torte. L’uva viene raccolta a mano  e la prima selezione viene fatta in vigna da vendemmiatori che vengono qui da molti anni e sanno quello che voglio e che devono fare. L’uva poi arriva in piccoli cestelli qua in cantina e viene messa su un nastro trasportatore dove in quattro persone facciamo la cernita manuale delle uve, poi va in vasca di cemento. In ogni vasca ci vanno 8-9 carrelli perché deve rimanere almeno un metro libero sopra l’uva per poi fare i rimontaggi.”

“Usi lieviti autoctoni e la fermentazione parte quando vuole lei. Vero?”

Certamente. Usiamo da sempre una specie di strattagemma: vendemmiamo sempre per prime le uve delle vigne più vecchie e quindi ci troviamo di fronte a lieviti “allenati” e così le vasche con queste uve partono sempre, anche se ci mettono qualche giorno. Una volta partite quelle basta travasare un secchio di mosto e partono tutte. E’ un segreto di pulcinella. Magari bisogna avere pazienza: ci sono anni che la fermentazione parte dopo tre-quattro giorni ma non bisogna avere paura, l’importante è fargli prendere aria con i rimontaggi.”

“Quindi rimonti anche quando non è partita la fermentazione?”

“Noi si rimonta da subito! Se l’ultimo carrello arriva alle 17, alle 17.30 facciamo partire il primo rimontaggio. Considera che nel primo rimontiamo “mosto” tra il bianco e il giallo che ancora non ha colore.”

“Quanti rimontaggi fai al giorno?”

“Due, uno la mattina e uno la sera di un’ora l’uno. Poi li riduciamo a 40 minuti, 30 minuti e andiamo a diminuire sempre più. Considera che facciamo pochissima pigiatura: la fa in pratica l’uva da sola che, integra, viene aspirata da una pompa che la fa cadere dall’alto nella vasca. Quindi dobbiamo dargli una mano per far rompere il chicco e questo viene fatto con i rimontaggi.”

“Quando durano le fermentazioni?”

“Una ventina di giorni.”

“Cappello sommerso?”

“Cerchiamo sempre di tenerlo alto, quando vediamo che inizia ascendere si svina, quindi il tempo di fermentazione e macerazione coincide. Una volta svinato viene messo in un’altra vasca di cemento pulita, si scalda un po’ la cantina e si aspetta la fine della malolattica.  Dopo si sfeccia nuovamente travasandolo in una vasca di cemento pulita e si mette il vino nel legno. Questo per tutti i vini.”

“Anche per il Pian del Ciampolo?”

“Il Pian del Ciampolo viene fatto con il torchiato e una parte di uve che non riteniamo di prima categoria.”

“Una parola basilare per Giulio e anche per voi è ”tempo”: i vini devono avere del tempo per fare la loro vita, per svilupparsi: in un mondo che vuole sempre prima l’uscita in commercio del vino nuovo come ci convivi?”

“I vini escono quando vogliamo noi e riteniamo siano pronti per il commercio. Non facciamo uscire vini che hanno bisogno, magari ,di un anno ulteriore di bottiglia. I clienti eventualmente aspettano, perché facciamo un mestiere che non è programmabile: ci sono variabili, anno dopo anno, con cui occorre fare i conti.”

“Tuo padre produceva anche altri vini come il Sodaccio o il  “M”: hai mai pensato di fare altri vini?

“Si, ci penso spesso ma non siamo più ragazzini e non si  può più giocare. Se Montevertine mette un vino in vendita deve essere qualcosa di eccezionale. Dato che fino ad oggi non ho avuto modo di avere la certezza di produrre un vino migliore di quelli che già faccio, non ho né voglia né bisogno di farlo. Abbiamo fatto una cosa diversa per i cinquant’anni dell’azienda con il Pergole Torte Riserva 50 ed  è probabile, se la vendemmia sarà buona, che quest’anno si celebrino i 100 anni della nascita del babbo con un vino particolare, però ci fermiamo qui.”

“Dopo Giulio Gambelli Paolo Salvi è il tuo consulente. Lo hai preso perché in qualche modo ricordava e seguiva la strada di Giulio o perché era diverso e seguiva strade diverse?”

“Non ho preso nessuno, ho semplicemente seguito il consiglio di Giulio di lavorare con lui perché lo riteneva una brava persona e molto preparata. Dopo Giulio io cercavo chi potesse lavorare a Montevertine come lavorava Giulio, cioè dando il suo parere su quello che facevamo però lasciando completa interpretazione al proprietario. Non cercavo l’enologo che ti porta il prodotto preconfezionato, quella sarebbe stata la morte di Montevertine, volevo una persona che ci dicesse dove facevamo eventuali sbagli dato che non siamo enologi . Credo che Paolo sia la persona migliore che potessi trovare: preparato, umile, che fa il suo lavoro con tanta passione e che da Giulio ha imparato tanto.”

“Montevertine è considerata un’azienda tradizionale: per te cosa vuol dire tradizione?”

“Significa mantenere molto alto il nome di un territorio e di una cultura, però bisogna capire se questa cultura è giusta o sbagliata, perché tante volte per tradizione si spacciano anche cose per niente buone. Credo nella tradizione di come viene fatto il vino a Montevertine perché sono sicuro che è stato fatto qualcosa di buono che va tramandato.”

“Qual è il maggior pregio di un produttore di vino?”

“Bella domanda! Penso la fiducia che riesce a instaurare con i suoi clienti. Di mettersi nei panni di chi compra il suo prodotto, di essere il suo primo cliente.”

“E per un produttore di grandi vini, simboli di un territorio?”

“Di aver voglia di migliorare quel territorio e di non fermarsi mai, cercando di cambiare in meglio sempre rispettando la tradizione.”

“E il peggior difetto per qualsiasi tipo di produttore?”

“Credere di essere il migliore di tutti e bere solo i suoi vini.”

“Due domande difficilissime: qual è l’annata di Pergole Torte che preferisci? E di Montevertine?”

“Per il Pergole Torte il 1999, l’ultima annata di mio padre. Ma non per questo, perché è veramente buono. Per il Montevertine, se si può chiamare così, l’ultimo Chianti Classico, il 1981: ogni volta che lo apro mi vengono i brividi.”

“Adesso invece ti dico io due vini di Montervertine che metto davanti a tutti. Due annate di fila ma due vini completamente opposti: l’ottantanove di Sergio Manetti e il Pergole Torte Riserva 1990 due vini inarrivabili, cosa mi dici?”

“Ti potevo rispondere pergole Torte 1990 Riserva ma era troppo facile! Il Pergole Torte Riserva 1990 è il miglior vino che sia mai stato fatto a Montevertine, su questo non ci piove, però tu hai chiesto “secondo me” e quindi il discorso cambia. L’Ottantanove di Sergio Manetti è stato un atto di coraggio: è poesia pura anche se è un vino fatto nel fango. Non aveva chances ed è migliorato con gli anni perché, credimi, all’inizio non era buono. Era troppo magro, anche perché veniva nel mezzo a grandi annate e sembrava non avesse futuro. Mi ricordo i dubbi, le discussioni poi babbo disse “Ci metto sopra il mio nome!” e fu un gesto d’amore verso quel vino.”

“E’ famosa la frase di John Dunkley “Quando il Barone de Rothschild pianterà sangiovese io metterò cabernet sauvignon”. Ti è mai venuto  voglia di piantare altre uve o di comprare aziende in altri luoghi?”

“Comprare aziende assolutamente no perché non ho soldi per farlo, piantare altre uve neanche. Chi acquista un vino di Montevertine vuole il sangiovese. Mi è sempre piaciuto quello che stiamo facendo e non ho mai avuto voglia di cambiarlo, se non in meglio, ma senza cambiare strada.”

“Dal lato falsari come stai messo?”

“E’ successo qualcosa un paio di volte ma niente di grave.”

“In che nazione?”

“In Italia.”

“E cosa avevano falsificato?”

“Delle bottiglie di Pergole Torte 1993, col tappo e la capsula ma con l’etichetta già macchiata dal vino, roba da cialtroni.”

“Quindi non sei ancora al livello di interessare ai falsari. Potrebbe essere un futuro obiettivo…”

“Certo! Essere nell’occhio dei falsari sarebbe un bel “riconoscimento”.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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