Devo ammetterlo; non sono a mio agio nel parlare dei vini bianchi della Puglia, nonostante ormai la produzione sembra avviarsi verso una più meditata consapevolezza. Terminata, per fortuna, l’infelice scelta di piantare Chardonnay e Sauvignon, i produttori hanno riscoperto vitigni più vicini alle tradizioni territoriali. Il Fiano in particolare , ma anche Falanghina e Greco, sembrano essere i nuovi vitigni con cui misurarsi, anche se a ben vedere si tratta più di un ritorno al passato che di vere innovazioni. Notizie sulla loro diffusione storica in Puglia si trovano nel bel volume “Storia regionale della vite e del vino” dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino. Il volume curato da Antonio Calò e Liana Bertoldi Lenoci é quanto di più completo ed interessante si possa oggi trovare sulla storia del vino in Puglia. Sulle fonti storiche che riportano la diffusione di questi vitigni ed in particolare del Fiano ci sono ormai pochi dubbi. Si sa per certo che fu Carlo II D’Angiò (XIII sec.) ad ordinare la spedizione di circa 16000 viti da Cava dei Tirreni a Manfredonia di Puglia affinché venissero piantate nelle vigne reali. Conosciuto anche con il nome di Latino, il Fiano si diffuse poi rapidamente in tutta la provincia di Foggia e di Bari. Con l’arrivo della fillossera scomparve per dare spazio ai vitigni da taglio. Bisogna poi attendere sino al 1980 con i primi impianti sperimentali perché alcune aziende riallaccino quel filo interrotto più di un secolo prima. Oggi il vitigno sembra essere privilegiato nelle scelte di molti produttori anche grazie ad un supporto scientifico, come poche volte in Puglia.
In questo senso l’apporto dei vari istituti di ricerca potrà essere ancora più determinante, come è facilmente intuibile già scorrendo le relazioni prodotte durante la Tornata dell’Accademia della Vite e del Vino tenutasi nel 2009 ed interamente dedicata al “Fiano nelle Puglie”. Poche altre volte credo si siano verificate simili occasioni. Sapranno i viticoltori approfittare della ricerca scientifica, sostenerla ed incentivarla? Non c’è dato saperlo, anche se guardando al passato non c’è da stare allegri. Mai essere pessimisti però!
I vigneti messi a dimora in questi ultimi anni iniziano ad entrare in pieno ciclo produttivo e forse bisognerà aspettare ancora qualche anno e seguire i risultati delle ricerche per avere vini che offrano complessità e profondità sensoriale
Ma già qualche indicazione si può trarre ad esempio dal lavoro di Antonio Dalla Vedova ed altri del CRA, Centro di Ricerca per la Viticoltura, che mette a confronto quattro Fiano pugliesi ed un “testimone” di Avellino. Il risultato della valutazione organolettica globale è confortante mettendo in risalto una maggior armonia ed eleganza dei Fiano pugliesi, mostrando note fruttate, floreali e di miele più intense. Trattasi ovviamente, come dice lo stesso autore, di “…uno studio preliminare che avrebbe bisogno di un maggior numero di campioni ed esteso a più annate, considerando le variabili viticoli e le pratiche enologiche impiegate”.
Aggiungiamo anche che oltre al Fiano, che va diffondendosi dalla Capitanata al Salento, si possono contare buoni risultati anche per il Greco e la sua variante “Mascolino” ed altrettanto dicasi per la Falanghina che sembra aver trovato in Capitanata un habitat congeniale. Come si vede i presupposti per produrre vini bianchi in Puglia ci sono tutti: certo la regione resta storicamente ed inevitabilmente legata ai vini rossi, ma anche i vini bianchi finalmente potranno, forse, scrollarsi quel complesso di inferiorità che li ha sempre contraddistinti .
INsud
Bianchi della Puglia. ogni scarrafone è bello a mamma soia?3 min read
