Dal Telegiornale del Friuli di venerdì 19 arriva la notizia che le perizie effettuate sui campioni di mosto (o di vino?) sauvignon che dovevano essere un’importante prova per dimostrare l’utilizzo di sostanze non ammesse (lieviti, aromi naturali, altro…ah saperlo)non hanno dato fino ad oggi risultati concreti a favore delle ipotesi di reato.
In altre parole la “pistola fumante” in mano ai magistrati pare si stia trasformando in un’arma giocattolo caricata non con acqua ma, naturalmente, con vino.
Occorrerà aspettare comunque la metà di dicembre, con la fine delle analisi e la consegna dei risultati ai magistrati che conducono l’inchiesta, per saperne di più.
Ad oggi però, da assoluto ignorante in fatto di chimica, posso commentare dicendo che cercare certe sostanze “colpevoli” in mosti in fermentazione, che per definizione sono in veloce cambiamento e modificazione, è come voler da un uovo fresco fare l’analisi del sangue del futuro pollo.
Se i PM basavano la loro inchiesta su questo, aldilà di colpevoli o innocenti, credo sia il caso di parlare solo di assoluta ignoranza in materia enologica.
Mi meraviglio solo di una cosa: che si possa imbastire un’inchiesta e darle rilevanza nazionale senza che nessuno abbia suggerito la difficoltà di dimostrare certe cose. Non siamo di fronte a vini x con dentro uve y, se vogliamo abbastanza facili da trovare con le moderne tecniche, ma a sostanze che hanno il compito di unirsi ad altre e cambiare assieme aspetto e forma (scusate la spiegazione terra terra).
Adesso rimane solo l’amarezza per produttori additati a destra e a manca come sofisticatori quando invece stavano cercando di fare il loro lavoro e questo aldilà che certi vini possano piacere o meno o aldilà che certi aromi si possano ritrovare in centinaia di vini bianchi italiani, non solo sauvignon.
In definitiva quello che sembra venire fuori dalle indagini è ciò che ho pensato sin dal primo momento, un assurdo e catastrofico buco nel vino, pardon, nell’acqua.