Lugana 2010: un bel mix tra piacevolezza e potenza4 min read

I nostri assaggi annuali di Lugana non erano certo iniziati sotto una buona stella. Da una parte il Consorzio del Lugana che aveva problemi nell’ospitarci in loco, dall’altra il numero di campioni che arrivano in sede per gli assaggi,  con alcune assenze che non siamo proprio riusciti a capire né a motivare, ci avevano fatto approcciare a questa degustazione senza quella “curiosa voglia di conoscere” che dovrebbe essere alla base di ogni assaggio.

In campo c’era poi la vituperata annata 2010 che, pur avendo avuto forti smentite in positivo, non ti stimolava più di tanto.
Invece i risultati hanno sorpreso noi per primi: praticamente il miglior assaggio da quando parliamo di Lugana. Su 68 vini assaggiati ben 11 ( il 16.1%) sono da 3.5 stelle e se a questi aggiungiamo i 18 campioni con tre stelle (26.4%) si arriva al più che soddisfacente dato che oltre il 40% dei vini assaggiati è almeno di ottimo livello.

Questo livello viene raggiunto sia grazie ai Lugana d’annata sia per merito di alcuni vini con 3-4 anni di maturazione. Il bello è che in entrambi i casi le motivazioni per i punteggi alti sono state praticamente le stesse. Infatti sia i 2010 sia quelli di annate precedenti mostrano  grassezza unita a notevole freschezza. Si nota solo una maggiore complessità aromatica in questi ultimi ma il corpo è da vino estremamente giovane. Questa è forse la principale caratteristica del Lugana, quella di unire immediata piacevolezza a potenza e possibilità di invecchiamento.

Ma lasciamo da parte gli “zii” per parlare dei nipoti, cioè della vendemmia 2010, contraddistinta comunque ancora da una certa reticenza al naso:  caratteristica riscontrata anche in altre zone d’Italia, per esempio nelle Marche con i Verdicchio o in Piemonte con i Gavi (tra qualche giorno pubblicheremo i risultati anche di questa degustazione, n.d.r.). In queste zone ci siamo trovati davanti, in diversi  casi,  a vini dove gli aromi sembrava passassero da un filtro prima di arrivare al naso. Questo filtro può chiamarsi solforosa, imbottigliamento recente  o tutti e due,  ma probabilmente è proprio una caratteristica dell’annata che  tende ad esprimersi con un certo ritardo, specie dal punto di vista aromatico.

In bocca invece, la situazione è diversa: una buona freschezza si associa spessissimo a potenza e bella grassezza, con una conduzione di boccache ti fanno entrare fin da subito in confidenza con questi vini. A dare una mano talvolta ci sono alcuni grammi di zucchero residuo, ma neanche più di tanto. Li abbiamo percepiti molto di più nei vini base dell’annate 2008 e 2009.

Alla luce comunque di tre annate di assaggi non si può  negare che  il Trebbiano di Lugana sia un’ uva abbastanza diversa dalla sua omonima piantata in lungo ed in largo per lo stivale. Il volerla chiamare Turbiana non è solo un sintomo della voglia di diversificazione ma un rendere giustizia ad un vitigno dal nome, altrimenti, piuttosto inflazionato. Sul fatto poi che derivi o non derivi dal Verdicchio più che dal Tocai la discussione è ancora in alto mare, ma l’importante è che il Turbiana è “nei” fatti (alias nei vini) diverso  dal Trebbiano. Per questo ci sembra ancora più assurdo “corroborarlo” (si fa per dire…), in alcuni non sporadici casi, con percentuali nemmeno piccole di  uve semi-aromatiche o addirittura aromatiche, che servono solo a fare confusione tra i consumatori. Magari porteranno a breve vantaggi all’azienda x o y ma nel lungo periodo il rischio è quello di degradare il Turbiana da uva regina ad uva vassalla.

Chiudiamo con la solita nota sul peso delle bottiglie che in alcuni casi, specie per un vino bianco, ci sembrano assolutamente sovradimensionate. Oramai il Lugana dovrebbe essere abbastanza famoso per le sue caratteristiche organolettiche e quindi non si capisce perché si senta il  bisogno di farlo viaggiare in bottiglie adatte a clienti palestrati.  Fossi un produttore cercherei di prestare maggiore attenzione ad altri particolari, tipo i tappi, che ci hanno dato non pochi problemi, tanto da dover escludere alcuni vini perché entrambe le bottiglie erano degne di un “tappone” dolomitico.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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