Colli Orientali del Friuli dolci e…Pignoli6 min read

Oramai siamo di casa al Consorzio dei Colli Orientali del Friuli, dove questa volta ci attendevano rossi e vini dolci. Tre giorni di assaggi (grazie mille per la perfetta organizzazione) che ci hanno messo davanti circa  130 rossi e oltre 50 vini dolci.

La prima annotazione è di carattere generale: i produttori friulani sono famosi per riuscire a spezzettare la propria produzione in un’infinità di etichette, messe in commercio spesso  in quantità omeopaticihe Quelli del C.O.F. non fanno eccezione, anzi. Tra i rossi abbiamo trovato tanti vini che difficilmente superano le 3000 bottiglie, assestandosi sovente sul migliaio o addirittura meno, ma è il mondo dei vini dolci che ci ha fornito la prova provata che forse si esagera. Dopo aver infatti assaggiato, tra verduzzo, Ramamdolo e Picolit ben 54 vini ( gran parte della produzione locale)  abbiamo dato un’occhiata al numero delle bottiglie, constatando che superavano a malapena le 80.000, grazie soprattutto a cinque-sei produttori che assieme arrivavano quasi a 30.000! Moltissime etichette non superano il migliaio di pezzi e non poche, a malapena , qualche centinaio.

Siamo tutti d’accordo che le piccole produzioni di qualità vanno tutelate e difese ma in diversi casi qui si rischia di parlare di vini quasi impossibili da reperire (e quindi conoscere, degustare, diffondere) dal 99,999999999 per cento degli appassionati. Inoltre, tanto per fare un esempio, non riusciamo a capire quanto sia economicamente vantaggioso, vista la fatica che richiedono per produrle,  “porre” sul mercato 110 bottiglie di un Picolit, 800 di un Verduzzo o 600 di un Ramandolo.  Ce lo domandiamo plaudendo a chi si impegna giornalmente per farlo, ma forse sarebbe meglio concentrarsi su meno etichette, arrivando così –per ogni vino prodotto- ad un numero di bottiglie almeno sufficiente per dire realisticamente di poter essere sul mercato.

Speriamo che i produttori friulani riescano nell’impresa e passiamo a parlare dei vini in se. Tra i dolci, lasciando da parte alcuni uvaggi o vini da uve particolari, il mondo dei Colli Orientali si divide tra il Verduzzo DOC e le due DOCG per il Picolit ed i Ramandolo.

Come potrete vedere dai punteggi gli assaggi sono andati bene ed abbiamo trovato diversi ottimi vini e tanti buoni prodotti, però ci siamo anche scontrati con un problema non da poco: la grande diversità di tipologie all’interno delle tipologie Verduzzo e Picolit. sotto la stessa DOC targata  Verduzzo convivono infatti vinelli semplici e dolcini prodotti nell’arco di pochi mesi dalla vendemmia, con vini  complessi e strutturati che hanno bisogno di tempo e soprattutto di grandi uve per essere prodotti. Un filo aromatico comune difficilmente esiste, per non dire una somiglianza nel colore o nella struttura di bocca, dove andiamo dal povero andante al (classicamente!) quasi tannico. A tutto questo non da certo una mano il disciplinare che lascia maglie molto larghe di interpretazione. La stessa cosa, forse più grave perché siamo di fronte ad una DOCG, avviene nel Picolit. Anche qui abbiamo siamo andati da vini con poco nerbo e sostanza (facilmente confondibili e scambiabili con dei Verduzzo non eccelsi) a prodotti dove il vitigno si esprime al meglio. Crediamo e speriamo che il consorzio stia pensando a qualche operazione per cercare di creare un comune denominatore all’interno delle due denominazioni.

Questo rischio non lo corre per fortuna il Ramandolo DOCG, vino che è praticamente impossibile scambiare per un  Verduzzo .  Tutti i campioni assaggiati avevano infatti un’acidità di base ben ferma ed una sapidità (anche se siamo in un vino dolce) spiccata che, unite alla classica tannicità del vitigno ed al bel lavoro di appassimento e vinificazione, portava a vini facilmente riconoscibili, buoni e soprattutto mai scontati. Anche se la produzione è minima ed i produttori non superano la ventina, cercare e bere un Ramandolo è un’ operazione che dà sempre soddisfazione. Anche se non hanno ottenuto i punteggi più alti in degustazione la loro omogeneità ANCHE qualitativa ce li fa portare come esempio per un calice di un vino dolce che unisca bontà e terroir. Ci sono si margini di miglioramento ma già adesso Ramandolo ci è sembrato “Un nome, una garanzia”.

Parlando invece di rossi non scontati ci vengono subito in mente i Pignolo (li troverete all’interno della degustazione rossi vari nd.r.). Anche qui numeri esigui ma una riconoscibilità che riesce a prescindere dall’uso più o meno marcante del legno. Buone complessità aromatiche, tannicità austere ma dolci, pienezze e profondità gustative sono alla base di una tipologia che vorremmo mantenesse le belle promesse mostrate nell’assaggio.

Promesse che, purtroppo non sono state mantenute dalle altre due tipologie autoctone: il Refosco dal Peduncolo Rosso e lo Schioppettino. Il primo presenta in diversi casi una tannicità scomposta e spesso verde, non aiutata certo quando si interviene con il legno. Il secondo invece è spesso defraudato del suo caratteristico  e particolare profumo di pepe, anche a  causa di un surdosaggio di legno che riesce inoltre nell’impresa di renderlo scomposto e ruvido al palato. Indubbiamente da questi due vitigni, che la denominazione vuole promuovere e portare avanti, ci saremmo aspettati di più.

Discrete notizie dal fronte dei vitigni bordolesi (Merlot, Cabernet  Franc  e, in misura minore,  Cabernet Sauvignon) , spesso inquadrati in zona come “vini quotidiani”. Questa funzione riescono a svolgerla abbastanza bene, grazie anche a dei prezzi  piuttosto contenuti, mentre quando si vuole salire in qualità qualche problema si trova, soprattutto nelle caratteristiche aromatiche, spesso rimaste monocordi e vegetali e  sul corpo che difficilmente raggiunge pienezza e profondità. Buone interpretazioni ce ne sono comunque diverse anche se (altra faccia della medaglia) alcune bottiglie hanno mostrano chiari problemi di vinificazione Chiudiamo con gli uvaggi che, con un gioco di parole dovrebbero rappresentare i “Superfriuli” della situazione, ma che di super hanno veramente poco, né in complessità aromatica né in corpo, potenza ed eleganza.

E’ super invece la situazione dal punto di vista del peso delle bottiglie. Solo due bottiglie su oltre 130 rossi superavano la soglia e tutte le bottiglie dei vini dolci erano ampiamente nella norma. I nostri complimenti ( e quelli dell’ambiente in cui viviamo) ai produttori per non essersi fatti prendere dallinutile fregola del vetro pesante.

Chiudiamo con un doveroso ringraziamento al consorzio di tutela che, tra l’altro, edita ogni anno un emerito libretto che contiene dati, analisi, grafici ed informazioni  molto, ma molto utili sulla denominazione. Dovrebbero prenderlo ad esempio gli altri consorzi italiani.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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