Chianti Classico 2007 e Riserva 2006: Niente di nuovo sul fronte occidentale?5 min read

Durante gli assaggi dei Chianti Classico 2007 e delle Riserve 2006 (nonchè di molti Supertuscan, che pubblicheremo in una megadegustazione assieme a quelli delle altre zone toscane) ci è venuto in mente il titolo di un famoso libro: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Questo non perché la denominazione sia immobile, al contrario; proprio come nel libro di Remarque quasi ad ogni momento accade qualcosa, ma alla fine quello che si rischia di percepire all’esterno è una specie di continuo pareggio tra, estremizzando molto,  una tradizione che in Chianti vuole sempre dire qualcosa ed una innovazione che ha visto questo territorio sempre all’avanguardia. Per esempio: diverse aziende mettono nei loro vini dosi non omeopatiche (fino al 20% è permesso dal disciplinare) di vitigni “internazionali”, soprattutto Merlot e Cabernet Sauvignon.

Il bello è che parecchie di quelle che lo fanno da molti anni sfornano vini molto più “chiantigiani” di tanti che  usano solo Sangiovese. Ci sono, è vero, quelli che noi definiamo “uvaggi bordolesi” ma ormai sono una specie quasi in via di estinzione come, purtroppo, sono una sparuta minoranza quelli che utilizzano il Sangiovese in purezza in maniera Chiantigiana, cioè senza renderlo giocoforza muscolare e concentratissimo.

Un altro dato ci ha stupito ancora di più perché sembra andare contro ogni logica: specie tra i supertuscan, ma anche tra annate e riserve, non pochi Sangiovese in purezza sono più intensamente colorati ( o comunque sullo stesso livello di intensità colorante) di vini con dentro Merlot e Cabernet Sauvignon. Visto che i sacri testi dicono (giustamente per me) il contrario, chiedo “pacatamente, tranquillamente” come questo possa essere possibile.

Prima ho usato il termine “Chiantigiano” senza spiegarlo: cerco di rimediare. Sarò un nostalgico retrogrado ma per me un prodotto “Chiantigiano” come il Chianti Classico deve essere soprattutto “piacevole e bevibile”. Altolà: non con quella piacevolezza morbidona facile ad ottenere quasi ovunque ma grazie ad una freschezza classica di vitigni come il Sangiovese, che in più ci mettono tannini vivi ma non aggressivi; in altre parole un vino molto giocato sulla finezza. Per inciso un vino del genere, anche a causa del cambiamento climatico in atto è sempre più difficile da ottenere. 

Il mercato richiede però  vini sempre più bevibili   (non sempre nel sensoo che intendo io) e così molti cercano comunque di arrivarci. Chi “di ritorno” , dopo aver proposto per anni monoliti enologici, chi “impiacionando” grazie a dosi di merlot sempre troppo maturo. Per fortuna c’è anche chi ha trovato l’equilibrio tra vitigni riuscendo comunque ad ottenere “in primis”ottimi risultati (cioè vini equilibrati)dal Sangiovese. Forse la grande novità in questo mondo dove sembra che “non accada niente di nuovo” è che, dopo quasi trenta anni, tanti cabernet e diversi merlot hanno ottenuto il passaporto chiantigiano. Ci dobbiamo rendere conto che oramai  “la fuitina con conseguente consumazione” c’è stata e credo sia meglio  unirli in matrimonio che continuare a girare con la lupara in spalla.

Fuori di metafora: il Chianti Classico è stato il primo territorio toscano dove un grande numero di aziende ha piantato vitigni internazionali. Una trentina d’anni di prove e riprove (nonché di vigne abbastanza vecchie e ben adattate)hanno così portato a Cabernet Sauvignon (ed anche  a Merlot…ci vogliamo rovinare!)  che, grazie anche ad un più oculato uso del legno, hanno quasi “tratti chiantigiani”  nel loro DNA. Questo non vuol dire che il sangiovese rischi di essere soppiantato, rischia solo di essere “aiutato” (invece di cercare di potenziarlo e gonfiarlo come la rana della favola) a fare degli ottimi Chianti Classico.

Veniamo adesso a parlare delle due annate degustate: nell’annata 2007 abbiamo trovato anche tanto Sangiovese che non aveva bisogno di aiuti. Le nostre 4 stelle stanno lì a dimostrarlo: di seguito però incontriamo diversi vini dove quel tocco di “altra chiantigianità” (chiamiamola così…) gioca un bel ruolo. Certamente il 2007 è stata una buona vendemmia ed ha proposto vini con il giusto corpo e la giusta bevibilità. Forse non si conserveranno in eterno però sul “fronte” della freschezza e pienezza di beva ci siamo in pieno. Ci siamo un po’ meno per quanto riguarda le Riserve 2006. Continuo a sostenere, andando controcorrente, che quest’annata non sia stata così importante come l’hanno dipinta. Nella migliore delle ipotesi ha dato vita a vini che si apriranno tra diversi anni, ma che adesso mostrano sempre qualche “falla”. O manca ciccia o ci sono tannini troppo ruvidi e squilibrati o il naso è ancora molto lontano dal dare segni di vita. Alla base c’è però questa mancanza quasi generalizzata di “continuità di polpa” che non fa ben sperare per il futuro. Non mi sembra nemmeno il caso di riesumare discorsi già fatti sul ruolo della Riserva (vedi). In vendemmie come questa mi sembrerebbe quasi di sparare sulla Croce Rossa. In definitiva “dal fronte occidentale” del Chianti Classico abbiamo ricevuto buone nuove dall’Annata 2007 mentre La Riserva 2006, almeno per adesso, resta in trincea.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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