C.O.F. Un biscione bellissimo ma un po’ statico5 min read

Sarà che noi interisti vediamo biscioni da tutte le parti ma il confine dei Colli Orientali del Friuli sembra proprio disegnare un biscione  con la coda a punta. Gli occhi sono a Tarcento, la bocca a Nimis, mentre nel codone appuntito troviamo Buttrio, Manzano, Rosazzo, Corno di Rosazzo. In tutto il resto del corpo ecco “disseminati”  altri luoghi vinosi come Prepotto, Spessa, Faedis  e compagnia cantante.

La prima cosa da rimarcare su questo biscione fatto di terra, boschi e vigne è la sua bellezza. Raramente campagna unisce assieme la verde austerità della montagna, la morbida dolcezza della collina e la semplice piacevolezza della (poca) pianura. Pur se con un certo ritardo rispetto a zone molte meno intriganti, se ne sono accorti anche i friulani stessi e adesso gli agriturismi fioriscono come margherite in primavera.

Ma fuori dai valori estetici ed entrando nel modo del vino la prima cosa da dire sul nostro biscione è che, dal punto di vista del clima,  ha “la testa fresca e umida e la coda calda e asciutta”. Fuor di metafora: il C.O.F. ha delle differenze climatiche non da poco, anche se le distanze maggiori sono, in linea d’aria, di nemmeno 30 chilometri. Si passa da precipitazioni annuali più che doppie tra la zona di Ramadolo (Tarcento etc) e quella di Rosazzo a temperature medie annue superiori di almeno 3-3.5 ° della coda (Rosazzo, Buttrio, Manzano, etc)rispetto alla testa.  Differenze non da poco che dovrebbero portare a diversità anche tra vini dallo stesso vitigno, che però non abbiamo trovato così marcate.

Altra cosa importante da prendere in considerazione parlando di COF sono i dati sugli ettari di vigneto: un numero su tutti: nel periodo dal 2005 al 2008 la superficie vitata a DOC dei Colli è diminuita del 7% ( da 2104 a 2036 ettari). Questa diminuzione ha colpito soprattutto le uva a bacca rossa, ma anche vitigni come il Friulano (bandiera del territorio con oltre 300 ettari vitati) o come il Pinot Grigio, molto di moda, sono rimasti fermi o hanno perso qualche ettaro. Capiamo che la crisi è crisi per tutti ma una stasi del genere dalle mie parti viene spiegata con un detto: “O bene bene o male male” .

“Bene bene” potrebbe voler dire che gli avveduti produttori locali si sono ben guardati dall’andare a piantare o a modificare il loro assetto vitato in momenti grami come questi, mentre “male male” proporrebbe un quadro non proprio da fuga dalla campagna ma di forte stasi sicuramente si . A naso si potrebbe propendere (anche se la situazione è comunque difficile) più per la prima ipotesi. Una certa avvedutezza la ritroviamo anche nel settore prezzi,  con la stragrande maggioranza dei vini bianchi (qualsiasi vitigno si prenda in esame) che si presenta in una stretta forbice che verso l’alto supera difficilmente i 13€. Questo per noi vuol dire che una certa “politica di territorio” esiste. Ora non fatemi dire che i produttori del C.O.F. fanno quadrato e squadra comune (sarebbe forse troppo…) ma almeno hanno le antenne ben dritte.

In una situazione del genere è stato molto interessante venire qui ad assaggiare e per questo i nostri ringraziamenti vanno al Consorzio dei Colli Orientali del Friuli ed ai suoi dirigenti. Simona Migliore(vedi qui) ha già tracciato un primo quadro della situazione, per la verità piuttosto esaustivo. Io cercherò, facendomi forte dei risultati degli assaggi (vedi schede a fine articolo) di dare qualche informazione in più.

Se, degustazioni alla mano, dovessimo fare una graduatoria qualitativa dei vitigni del C.O.F  dovremmo mettere al primo posto il Friulano (ex Tocai) seguito a breve dal Sauvignon. Scendendo in classifica troveremmo lo la Ribolla Gialla e, a chiudere, il Pinot Grigio.

Fuori da questa scaletta si piazzano vitigni come Pinot Bianco, Chardonnay, Malvasia Istriana e Traminer, che non possiamo giudicare visto lo scarso numero di campioni assaggiati ma di cui ci sentiamo comunque in grado di fornire delle impressioni, molto positive per il Pinot Bianco (e piantiamone un po’ di più, benedetta gente!) , non molto positive per lo Chardonnay (anche se qui viene meglio che da altre parti) e facendo rividibili gli altri due vitigni (2 campioni sono troppo pochi).

 

 Friulano

La qualità media e abbastanza buona, anche se non eccelsa . Buon corpo, discreta freschezza affiancata da note sapide. Sicuramente è il vitigno che risente meno della “contaminazione” con altre uve, Sauvignon in primis. Voto 7+

 

Sauvignon

Oltre a “contaminare” è sicuramente un vitigno su cui puntare (notate la rima…). In effetti siamo di fronte a sauvignon piuttosto marcati dal punto di vista del vegetale, ma iniziano ad affacciarsi anche quelli con note più moderne e godibili di pompelmo e frutto della passione. Voto 7

 

Ribolla Gialla

La struttura non è certo il punto di forza (e si sapeva) però la sua freschezza ed i suoi profumi (a parte le poche volte che viene colpita da “sauvignonazione”) floreali sono molto piacevoli. Non mostra quasi mai un grande carattere (rese per pianta….mi sentite?) e questo è forse il difetto maggiore. Voto 6.5

 

Pinot Grigio

Molto intrigante il discorso della vinificazione con colorazioni ramate, peccato che poi quella parvenza di corpo e struttura rimanga tale. Chi preferisce presentare tonalità sul paglierino non è certo che mostri vini più freschi ed accattivanti. Il caritatevole aiuto del Sauvignon serve solo a rimescolare le carte. Insomma, qui come in Alto Adige, in Trentino (e mi verrebbe voglia di dire in tutti i luoghi) il vitigno non mostra caratteristiche da VERA uva di qualità. Voto 5.5

 

Uvaggi

Chiudiamo con questo mare magnum di possibilità dove però abbiamo trovato vini di ottima fattura. Una strada certamente da seguire (specie in annate non eccezionali),  magari utilizzando di più e meglio vitigni come il Pinot Bianco, Il Friulano,  la Ribolla Gialla e, perché no, il Riesling. Voto 6.5

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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