Bianchi campani: ecco i migliori dei nostri assaggi!4 min read

E’ abbastanza facile parlare bene dei bianchi campani, specie dopo l’ennesima degustazione che ha ulteriormente dimostrato il loro alto livello. Quello che cercherò di fare in queste righe è di provare ad andare più in profondità in quello che può essere tranquillamente definito il territorio italiano con i migliori bianchi autoctoni.

 

Ho aggiunto questo termine non a caso e voglio proprio partire da lì. La Campania negli anni del grande boom del vino italiani ha corso il rischio di vedere il proprio territorio invaso dai vitigni bianchi che tutti piantavano e che i consumatori cercavano: chardonnay, pinot grigio, sauvignon e compagnia (con tutto il rispetto per loro e per chi li ha piantati in tutta Italia) potevano in poco tempo ridurre ai minimi termini una serie di vitigni che oggi il mondo ci invidia. Per fortuna questo non è successo e credo in buona parte sia dipeso da una “sana arretratezza enoica”, che non ha permesso alla stragrande maggioranza dei produttori di capire che salire sul treno di questo vitigni sarebbe stato abbastanza semplice e remunerativo.

 

In altre parole la moda dei bianchi alloctoni è passata sopra al mondo campano dei bianchi riuscendo forse solo a far capire che produrre dei buoni bianchi poteva (vedi il Friuli o l’Alto Adige)  finalmente essere remunerativo.

 

"Passata la nottata” nemmeno tanto dura il mondo dei bianchi irpini ha avuto un’altra grande fortuna, quella di ritrovarsi un ottimo vitigno rosso in casa, l’Aglianico. Su questo, predestinato ad essere un grande vitigno per grandi rossi di invecchiamento “a prescindere”,  si sono scatenate tutte le attenzioni dei produttori e degli enologi rampanti o meno. Quindi le bassissime rese per ettaro, le estreme concentrazioni, l’utilizzo di legni piccoli o grandi ma comunque coprenti : tutte queste “attenzioni” sono state dedicate solo al quel povero figliol prodigo in rosso, che spesso non le ha sopportate (ma questo è un altro discorso), lasciando però liberi i figliastri in bianco di essere vinificati con semplicità, senza tanti fronzoli,  sfruttando solo il miglioramento di mentalità enologica che il voler fare un grande rosso deve portare per forza con se.

 

Quindi Greco di Tufo e Fiano di Avellino hanno potuto avere un’ infanzia tranquilla , che a partire dagli anni novanta gli ha permesso di entrare in commercio “semplicemente” come i bianchi da proporre e vendere subito, quasi di pronta beva, freschi, immediati, piacevoli…forse un po’ troppo strutturati e vibranti per quel ruolo in “pantaloni corti”, ma non era certo un problema.

 

Piano piano si è però capito che quei corpulenti giovanotti in pantaloni corti avevano corpo, struttura, freschezza, profondità aromatiche da vitigno adulto e così si è compiuto il destino di questi vitigni che oggi, lo ripeto per chiarezza, sono tra quei 3-4  grandi vitigni autoctoni in bianco che l’Italia presenta. Dietro al successo del Fiano e del Greco sono arrivate le Falanghine, i bianchi della costiera amalfitana e delle isole, ultimamente il Pallagrello e, mi voglio rovinare, il Caprettone sul Vesuvio.

Infatti quello che esce dai nostri assaggi, effettuati nemmeno 20 giorni fà durante Campania Stories, è che oltre ai due fuoriclasse irpini il mondo dei bianchi campani può presentare tante belle sorprese in ogni zona. Come potrete vedere abbiamo dato voti importanti anche a vitigni considerati minori, ma solo perché con minore storia vissuta attuale rispetto ai due primi della classe.

E veniamo agli assaggi. Non abbiamo recensito neanche un 2014: in realtà non ce n’erano molti ma abbiamo scientemente evitato di pubblicare questi risultati per non cadere nella trappola di voler vendere il futuro pulcino dentro l’uovo mentre è ancora nel culo della gallina.

Infatto se i bianchi campani ed in particolar modo gli irpini hanno bisogno di tempo per esprimersi al meglio, che senso ha recensire qualche Greco di Tufo o Fiano di Avellino ancora rintronato dall’imbottigliamento precoce giusto per dire “Siamo arrivati primi?” Avremmo solo fatto un dispetto ai produttori e ai vini.

 

Comunque due parole sull’annata 2014 le spendo volentieri: molto molto difficile, in certi casi quasi impossibile portare a casa delle buone uve, ma, grazie ad una quasi autolesionistica riduzione delle rese, sono sicuro che alcuni picchi di alto valore li avremo anche in questa vendemmia.

 

Come del resto li abbiamo avuti nel 2013, che certamente non è stata quella che si può definire una vendemmia perfetta. Questo non le ha impedito di proporci un Greco di Tufo che ha ottenuto uno dei pochi 4.5 stelle degli ultimi 6 mesi ed una serie di altri vini (dal Fiano di Avellino in poi) da 4 e 3.5 stelle di assoluto valore, visto anche il prezzo assolutamente conveniente a cui molti vengono venduti.

 

Anche questo è uno dei pregi di questi vini, il prezzo! Accanto infatti ad un miglioramento qualitativo generalizzato i prezzi (per fortuna) continuano ad essere estremamente convenienti, specie per bianchi che vanno assolutamente bevuti almeno uno-due anni dopo l’annata di produzione.

 

A questo punto non vi resta altro che aprire i file delle tre degustazioni, consultarli e poi andare in enoteca o dal produttore…siete sempre lì????

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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