Amarone 2008: buono ma…5 min read

Oramai siamo abbastanza affidabili. All’anteprima dell’Amarone 2008 avevamo presentato questa come un annata non certo grande e assaggiandoli dopo 9 mesi di affinamento in bottiglia non possiamo che confermare quanto scritto.

Ciò non vuol dire che gli amaroni 2008 non siano di ottimo livello (media stelle 2.78, piutosto alta) o  che i diversi 2007, 2006, 2005, 2004 e addirittura 2003 usciti e presentati in quest’anno non siano egualmente buoni. Mediamente da diversi anni ogni annata di Amarone è di buono/ottimo livello e questo grazie anche e sopratuttto al "must" di questa zona, l’appassimento delle uve.

Posso essere d’accordo che se si mettono ad appassire uve con muffe o con altri problemi ottieni vini con problemi ma oramai sia la possibilità di produrre eventualmente meno, sia i miglioramenti in vigna sia la completa presa di possesso delle tecniche di appassimento portano immancabilmente , anno dopo anno a buoni/ottimi risultati.

Questo è sicuramente una grande vantaggio per il territorio ma forse anche il limite futuro su cui doversi confrontare.
Infatti, sarà per l’innalzamento medio delle temperature, sarà per il cosiddetto cambiamento climatico ( e ancora devono uscire quelli del 2011 e 2012..) ma oramai in Amaronicella si fanno sempre più amaroni strutturati, estremamente potenti, sempre più giovanili e giovani, che hanno quindi (in teoria) sempre più bisogno di legno per ammorbidirsi e di tempo per distendersi e diventare piacevoli.

Insomma, già l’Amarone è un vino “Rambo” e quando a Rambo vengono dati anche dei superpoteri da madre natura il rischio di fare “troppo” è ben presente. Mi ha aperto gli occhi un produttore giovane ma molto addentro alla Valpolicella dicendomi una sola parola, “esteri”.  In tanti amaroni dei primi tempi erano ben presenti (in qualche caso pure troppo…) ma riuscivano a dare finezza e complessità aromatica, portavano in alto alcuni profumi, li esaltavano, rendevano il bere un amarone un’esperienza particolare.

Oggi, sarà perché tutti vogliono il frutto giovane e sparato, sarà perché le uve sono cambiate, sarà che vengono raccolte più mature, sarà perché rischiare l’esterizzazione di un vino può portare problemi e soprattutto tempi lunghi, sarà quel che sarà ma quelle belle note profonde e allettanti si sentono sempre meno e spesso vengono quasi definite come difetti.

Perché ho parlato degli esteri? Solo per arrivare a riflettere su quanto venne fatto lo scorso anno all’Anteprima e cioè una prima suddivisione in “vallate crù” della Valpolicella. La cosa è indubbiamente positiva ma mi viene un dubbio: non è che con l’appassimento le varie caratteristiche territoriali vanno ad appiattirsi? Non è che con l’uso del legno piccolo in quantità sempre maggiori la situazione vada ancora di più ad omogeneizzarsi verso un comunque ottimo vino ma poco distinguibile se non “grazie” alla mano dell’uomo?

L’annata 2008 è stata un’annata piuttosto fresca e quindi ci saremmo aspettati componenti aromatiche abbastanza spiccate e soprattutto diverse, mentre ci siamo trovati spesso di fronte a ottimi vini dove il frutto rosso maturo si sposava in maniera più o meno palpabile col legno. Magari tra 5-6 anni arriveranno le gamme aromatiche diverse ma allora ci sarà sempre (per fortuna dei produttori) Amarone di quell’annata in commercio?

Insomma, quello che vorrei arrivare a dire e che forse sarebbe arrivato il momento di spingere più sull’eleganza dell’Amarone che non sul grado alcolico e sull’estratto secco. Con la scusa che il mercato vuole un  Amarone fruttato e “moderno” si rischia di appiattirsi sulla triade “potenza-frutto-legno” che solo tra qualche anno (forse diversi) potrà evolversi e portare a risultati aromatici molto diversi tra loro.

Se invece si cominciasse a pensare ad amaroni dove  anche aromi terziari dopo 3-4 anni (che si conservino e diventino più complessi per molti anni)  non siano la fine del mondo, si potrebbe iniziare a creare quella reale diversificazione territoriale che si stava cercando.

Per  riuscire a dare un valore mediatico a questa diversificazione  (prendetela almeno adesso come una boutade e interpretatela pure come una battaglia di retroguardia) credo sarebbe il caso, sciommottando brutalmente la Langa, di iniziare a dividere i produttori di amarone tra tradizionali e innovatori, dove i secondi sono la stragrande maggioranza rispetto ai primi. Non si tratterebbe solo di uso di legno piccolo o grande ma di approccio all’amarone.  Insomma: cosa differenzia un Bertani da un Dal Forno, un Quintarelli da un Allegrini? Non credete  sia il caso di domandarsi, una volta per tutte, se effettivamente, nell’alta qualità ci possano essere più strade per pensare, fare e proporre l’Amarone?

Sicuramente tornerò su questo argomento ma adesso almeno due parole sull’annata 2008 devo dirle. Forse me l’aspettavo più pronta ma sono convinto che evolverà bene, specie per i prossimi 4-5 anni, per poi stabilizzarsi con possibilità di durata ai massimi livelli fino almeno al 2020-2022.

Ultima nota fortemente polemica: magari il vino durerà ai massimi livelli per 12-15 anni, ma le bottiglie (sempre più pesanti anche se sembra impossibile) dureranno moooooolto di più.  A nessuno fregherà ma se qualcuno, che magari produce in biologico o biodinamico, provasse a scrivere in versi nella retroetichetta “Ti vendo un buon Amarone/e non un pesante bottiglione” usando bottiglie moooooooolto più leggere, magari potrebbe essere veramente biologico e/o biodinamico anche oltre la porta di casa.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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