Ed eccoci alla terza parte dei nostri assaggi altoatesini. Dopo i bianchi e le schiave vi presentiamo i risultati dei Lagrein e dei Pinot Nero. In campo una serie di annate che vanno dal 2010 al 2013, che i due vitigni hanno attraversato con risultati qualitativi simili se guardiamo i punteggi ma molto diversi nei fatti.
Partiamo dai Lagrein, vitigno autoctono per eccellenza, di grande struttura e spesso con componenti aromatiche non proprio di spicco, tanto da essere usato per anni (quando pochi lo imbottigliavano) come taglio per vini molto più blasonati di altre zone. Con gli anni e la moda degli autoctoni in Alto Adige si è creduto sempre più in questo vitigno ed oggi non esiste cantina importante che non abbia almeno due Lagrein in produzione, uno giovane e uno maturato in legno.
Chi ci conosce sa a questo punto dove stiamo andando a cascare ed in effetti, anche se i punteggi più alti li hanno ottenuti vini maturati in legno, le sensazioni più piacevoli le abbiamo avuto godendoci dei giovani lagrein del 2013, dove l’equilibrio al palato e la fruttata vinosità al naso ne fanno vini da tutto pasto di grande soddisfazione. Il “problema” del lagrein è che maturando in legno e poi in bottiglia non è detto che diventi più complesso e elegante, ma spesso si trasforma in un vino solo più vecchio ma non più ampio, variegato, profondo. Quelli destinati all’invecchiamento hanno sicuramente corpo e concentrazione da vendere ma spesso la mantengono inalterata, rimanendo dei bei monoliti senza grandi spinte e soprattutto senza freschezza.
Lo abbiamo notato soprattutto con i 2012 e 2011, vini di annate piuttosto calde, ma anche con qualche 2010. Con questo non vogliamo dire che i vini non siano buoni, solo che invecchiando non hanno quei cambiamenti (e miglioramenti) che ci aspetteremmo da un grande vitigno rosso. Per questo crediamo che le versioni più semplici e giovanili siano da preferirsi, perché mostrano corpo e immediatezza. Inoltre ci sembra che i prezzi dei lagrein “di punta” ( al contrario dei base) siano troppo alti, specie per una regione che ha fatto spesso del rapporto qualità prezzo il suo cavallo di battaglia.
Da un vino “un po’ tirchio” che non si concede col tempo e la lunga maturazione ad uno invece che ha fatto dell’invecchiamento il suo fattore di successo internazionale. Stiamo parlando del Pinot Nero, che anche in questa degustazione si è dimostrato perfettamente ambientato in Alto Adige. Forse non ci saranno vini che si avvicinano alle complessità dei grandi Borgogna ma la croccante fragranza, l’indubbia eleganza, la piacevole e fine lunghezza di molti dei vini degustati ci hanno ancora una volta convinto che il vero regno italiano del Pinot Nero è l’Alto Adige.
Questo sia per i vini giovani che per quelli con anni di invecchiamento, anche se alcuni vogliono un po’ strafare nell’uso del legno e della concentrazione. Però la stragrande maggioranza dei Pinot Nero altoatesini hanno una complessa piacevolezza che, quasi all’opposto dei cugini “lagrein importanti”), ti invoglia all’assaggio. E questa complessa piacevolezza la troviamo anche in annate considerate calde o difficili come il 2012 e il 2011.
Parlavamo all’inizio di punteggi simili: in effetti il Lagrein ha avuto una media stelle di 2.68, mentre il Pinot nero di 2.69. Praticamente uguale quindi, ma quello che i numeri non dicono è la differente piacevolezza gustativa dei due vini, dove i Lagrein perdono secco 3 a 0. Sono tutti e due vini ben fatti e assolutamente di qualità ma il Pinot Nero ha quello che si dice “una marcia in più”.
Il bello è che molte cantine li vendono allo stesso prezzo…meditate gente, meditate.