Vino naturale, biodinamico, biologico, senza solfiti? Sono oramai concetti superati e la nuove tendenze puntano decisamente verso l’opposto, ma toccando nuove e inesplorate vie.
Vino innaturale
Ermete Trismegisto, forse il primo chimico al mondo, mago e seguace della Kabbalah, già in epoca preclassica sosteneva che “ Tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una”. Da questo concetto i Fratelli Marx elaborarono la tesi “Non vorrei essere iscritto ad un club che mi abbia come socio” da cui nacque la scuola del “Contorsionismo cosmico”, già ipotizzata da Gianbattista Vico nei suoi Corsi e ricorsi storici.
In questo confuso brodo primordiale di affermazioni umane, quindi naturali, affondano le radici di una scuola enologica che sta agli antipodi del naturale, quella appunto dei vini innaturali.
I suoi dettami base sono molto prossimi a quelli dei vini naturali. Anche loro sostengono che in vigna bisogna intervenire il meno possibile, per questo fanno un solo trattamento a marzo, con decine e decine di chili di zolfo, rame, pesticidi insetticidi e quant’altro e poi vanno in ferie, tornando in vigna a settembre per la vendemmia.

Stranamente, certi anni, le uve che raccolgono sono qualitativamente molto simili a quelle dei produttori naturali e anche in cantina il protocollo di vinificazione è similare: le uve vengono pigiate e poi lasciate a fare i cazzi loro in vasche più o meno grandi. Qualcuno usa anche la piscina di casa, preventivamente svuotata ma rigorosamente non pulita. Non per niente uno dei più famosi vini innaturali è il Terre dei fuochi DOC Federica Pellegrini, che nasce in una mitica e vecchia piscina a Casal di Principe vuota per otto mesi all’anno, dove la grande nuotatrice pare abbia fatto il bagno da piccola.
Vino batteriologico
In opposizione ai produttori biologici la scuola batteriologica non crede nella fermentazione alcolica ma solo nella malolattica, a cui hanno dato il nome di fermentazione batterica.
Questa però non prende in considerazione i batteri che possono trasformare l’acido malico in lattico ma viene innescata grazie a ceppi di batteri evocati del Vudu, cioè Vaiolo Universale Diabolicamente Urticante. La fermentazione, molto tumultuosa, si arresta solo quando la vasca non ne può più e invoca di essere svuotata.

Il vino viene immediatamente trasferito, con mille cautele, in contenitori di ghisa da un litro e messo a maturare in grotte scavate sotto la Fossa delle Marianne. Li viene dimenticato per secoli e si spera che a nessuno venga in mente di tirarlo fuori.
Per questo le poche bottiglie in commercio raggiungono prezzi stratosferici, come la Grand Cuvée Nervinò-Iprit Extra Brut, della cantina belga Chateau de Ypres.
Vino biostatico
La filosofia alla base della scuola biostatica è quella di Wolfang Steiner, cugino da parte di padre del più famoso Rudolf e vede la “ La realtà universale come una manifestazione spirituale in continua evoluzione” però subito specifica che “Dato che ho altro da fare non posso rompermi il cazzo per stare dietro a tutta questa evoluzione, così l’ho bloccata”.
Quindi il mondo dei seguaci di Wolfang è sempre uguale a se stesso e così pioggia, sole, vento, bonaccia, afa, freddo non esistono nella realtà ma solo come concetti esclusivamente teorici.

Per questo un vigneto indottrinato con la teoria biostatica non potrà avere problemi scaturiti da agenti atmosferici e darà sempre e comunque grandi uve, anno dopo anno. Buona parte dei produttori e del vino mondiale si basa su questo principio, solo che fino ad ora non avevano avuto il coraggio di rivelarlo.
Vino full solphites
Un misconosciuto viticoltore elvetico, Nestlé Federer, trisnonno del noto tennista, provò a piantare un vigneto sul ghiacciao dell’ Unteraar, accorgendosi dopo anni e anni di attenzioni e duro lavoro che l’uva non maturava. Facendosi forte nel frattempo della scoperta che l’anidride solforosa si sviluppa naturalmente nel vino, rovesciò genialmente il concetto di vino stesso, definendo quest’ultimo “anidride solforosa che in presenza di liquidi sviluppa alcol”, quindi si mise a produrre So2 a cui aggiungeva acqua e elevate quantità di alcol.
Il vino ottenuto era concentratissimo e bastava poco per dare alla testa. Ignorato e addirittura osteggiato nel paese natale si dette subito all’esportazione, specie nella Germania tra le due Guerre Mondiali. Riuscì a far assaggiare il vino anche ad Adolf Hitler, a cui ovviamente piacque. Piacque soprattutto quel suo modo di prendere alla gola il bevitore, il quale doveva dimostrare enorme forza d’animo per restare in piedi.

Colpito dal vino di Nestlé capì che era un prodotto che solo esemplari puri della razza ariana potevano utilizzare, dimostrando così la loro superiorità: per questo lo impose in tutte le mense delle caserme SS, facendo incazzare brutalmente le truppe che, oltre a sfinirsi solo con la birra, dovevano anche sfogarsi con qualcuno. Alcuni storici fanno partire da qui la persecuzione ebraica e i prodromi della Seconda Guerra Mondiale.
Negli anni del secondo dopoguerra il vino full solphites venne dimenticato ma oggi sta piano piano trovando adepti tra i negazionisti dell’Olocausto.