Sul doggy bag dico la mia3 min read

In questi giorni è tornata a galla l’annosa discussione sui ristoranti italiani che non propongono o non fanno il doggy bag e di conseguenza sugli italiani che non lo chiedono, non approfittano di questo diritto.

Provo a spiegare, da boomer (con almeno 7 o 8 “o”), il perché questa cosa la lascerò sempre fare agli altri.

In primo luogo per il nome, che inficia e rende quasi offensiva la cosa (inoltre non è giusto dare ai cani quello che mangiamo noi, se vogliamo farli stare bene) perché sottintende la vergogna di chiedere per sé quello rimasto in tavola.

La seconda  motivazione è che sono nato nell’epoca delle nonne e delle mamme che ripetevano fino alla noia “Mangia che devi crescere” e se lasciavi qualcosa nel piatto era quasi un’offesa personale. Quindi a ristorante cerco di onorare sempre la mia ordinazione, magari ordinando un solo piatto se penso di non farcela a mangiarne due.

La terza è che per me andare a ristorante è un piacere, quasi una festa e quindi ad una festa non si portano a casa gli avanzi. Inoltre se non riesco a mangiare tutto quello che c’è in tavola i casi sono due: o era cattivo o non avevo fame. Nel primo caso è ovvio che non me lo porto a casa, nel secondo vuol dire che quel piatto non ha stimolato il mio appetito e quindi perché me lo devo riproporre, freddo o riscaldato, a casa?

Un’ altra motivazione viene da lontano ma forse è quella che colpisce più nel segno: sono nato nell’epoca dei pranzi a ristoranti o in trattoria  a base tre, cioè antipasti, 3 primi, 3 secondi, contorni, frutta dolce, caffè . Era un modo di fare ristorazione per un paese che aveva fame o aveva paura di non avere abbastanza da mangiare. Oggi si va a ristorante come si va teatro, aspettandosi un bello spettacolo e quindi che bisogno c’è di portarsi via un po’ dello spettacolo per mangiarlo riscaldato?

Dite che così stimolo lo spreco alimentare? Allora rispondo che forse lo spreco è ordinare tre piatti quando di solito ne mangi uno, lo spreco è non fare i conti con il proprio appetito, lo spreco è gettare obbligatoriamente le migliaia di porzioni che i bambini, magari abituati male con merendine o patatine et similia, non mangiano alla mensa scolastica, lo spreco è gettare al macero un numero infinito di porzioni negli ospedali o nelle case di riposo, non certo gli avanzi di un ristorante.

Detto questo reputo ogni persona che va a ristorante liberissima di portarsi a casa tutti gli avanzi del mondo e sono convinto che i ristoratori debbano attrezzarsi per permetterlo senza problemi, ma io non riuscirò mai a farlo. Dite che sono vecchio? Lo dico anch’io!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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