Recentemente la rivista Wine Spectator ha finalmente rivelato il nome dell’acquirente, rimasto lungamente sconosciuto, della straordinaria biblioteca, interamente dedicata al vino e alla viticoltura, di Sean Thackrey. Thackrey, un winemaker californiano conosciuto soprattutto per aver promosso la diffusione della syrah di quella regione, aveva raccolto, nel corso della sua vita, un considerevole numero di volumi e documenti sul vino, fino a farne una delle collezioni private più importanti al mondo: più di 700 libri e manoscritti, di cui diversi risalenti al XVI secolo e il più antico addirittura al VI, un papiro egiziano scritto da cristiani copti. Poco prima della sua morte, avvenuta lo scorso anno all’età di 79 anni, la sua collezione era stata battuta all’asta da Ben Kinmont, uno specialista nella vendita di libri rari di Sonoma, ma fino ad oggi erano rimasti sconosciuti il nome del compratore e il prezzo finale di aggiudicazione. Si è quindi finalmente saputo che Il misterioso compratore (per un prezzo finale di 2 milioni di dollari) é il Principe Roberto di Lussemburgo, proprietario e CEO, dal 2008, del Domaine Clarence Dillon, comprendente lostorico Château Haut-Brion, Premier Cru di Bordeaux a Pessac-Léognan, lo Château La Mission-Haut Brion nello stesso territorio, e lo Château Quintus a Saint-Émilion.
L’acquisto, abbastanza insolito, da parte di un’azienda vinicola, pur se notevolmente prestigiosa come lo Château Haut-Brion, non rappresenta però una novità assoluta per la famiglia Dillon . Anche il nonno del Principe, Douglas Dillon, grande amante d’arte cinese, che fu Presidente del Metropolitan Museum of Art negli anni ’70, e il bisnonno Clarence, che acquistò il prestigioso Château nel 1935, erano appassionati di libri e di oggetti d’arte e grandi “collectors”. Né esso rappresenta una novità anche nella storia di questo straordinario Château -il primo tra i 5 Premiers crus di Bordeaux ad aver acquisito rinomanza internazionale, presente nel libro di cantina del re d’Inghilterra, Carlo II-, dal momento che già la famiglia che lo rese famoso, quella dei Pontac, quattro secoli prima, aveva creato presso di esso una biblioteca di grande rinomanza : era stato soprattutto Arnaud de Pontac, vescovo di Bazas, a raccogliere una enorme quantità di libri, che trasmise al suo bisnipote Arnaud III, proprietario di Haut-Brion, con i quali quest’ultimo costituì presso lo Château una delle collezioni private più importanti in assoluto della sua epoca.
Il catalogo della biblioteca, redatto nel 1662, comprendeva più di 5.000 volumi e manoscritti su tutto lo scibile umano. Andata dispersa agli inizi del ‘700, la grande Biblioteca dei Pontac, è fu proprio il Principe di Lussemburgo a far rinascere questa grande tradizione. L’idea gli fu data dall’acquisto in un’asta, nel 2009, del libro di Antonin Carême, “Le Maitre d’Hotel français”. Carême, “il re degli chef e lo chef dei re”, come venne chiamato, fu per 12 anni chef del famoso ministro degli esteri di Napoleone I, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, che possedette lo Château Haut-Brion tra il 1801 e il 1804, ospitandovi sovrani e capi di stato francesi e d’Europa, a cui fece assaggiare la sua cucina e i vini della proprietà. Negoziatore abilissimo, Talleyrand soleva dire che il suo successo nella diplomazia risiedeva nelle sue pentole e nella sua cucina.
La grande biblioteca riprese vita così nel 2014 (nel 2009, intanto, il Principe aveva già costituito una preziosa collezione di oggetti della vigna e del vino dei secoli passati): in una grande sala circolare, nella quale il legno della struttura risale addirittura al XVII secolo, e il cui interno fu progettato con la collaborazione del famoso designer inglese James Hunter,
La collezione di Thackrey (alcune opere della quale sono già consultabili online) fa ora parte, da gennaio di quest’anno, di quella magnifica Biblioteca dedicata alla storia della cultura del vino e alla gastronomia, , aggiungendo nuovo spessore e profondità ad una collezione già ragguardevole: più di 2.800 volumi, 310 menus di pranzi di stato del grande Antonin Carême, 100 carte dei vini del XIX secolo di ristoranti iconici, come Maxim e l’Hotel de Crillon, 40 lettere manoscritte da personalità come il Presidente americano Thomas Jefferson, grande ammiratore dello Chateau Haut-Brion, che visitò nel suo viaggio in Francia, e dei suoi vini, Claude Monet e lo stesso Carême, e, ancora, pergamene giapponesi e otto archivi di documenti originali ricoprenti la storia Haut-Brion e La Mission Haut-Brion, tra i quali i registri delle vendemmie tra il XVIII e il XIX secolo. Tra i documenti più singolari, la lettera autografa del Conte Joseph de Fumel, la cui famiglia aveva preso possesso dello Château Haut-Brion agli inizi del XVIII secolo, scritta poche settimane prima di essere ghigliottinato, nel 1794, durante la Rivoluzione dell’89, con la quale dava istruzioni a tal Sieur Giraud, balivo dello Château Haut-Brion per la conduzione delle vigne, le date per la vendemmia e la manodopera e ogni altro dettaglio su quanto pagare, quando potare, insomma ogni cosa da fare durante la sua assenza che il pover’uomo sperava solo momentanea.
In questo momento, a Haut-Brion, è in corso una vasta opera di rinnovamento, sotto la direzione dell’Architetto Annabelle Selldorf, già artefice di altre opere famose come l’ampliamento della Frick Collection di New York e il Parc des Ateliers della Luma Foundation ad Arles: tra i nuovi edifici, interamente “carbon neutral”, è prevista la costruzione di una seconda biblioteca, che va ad aggiungersi a quella circolare attuale, e che sarà accessibile (dal 2026, alla conclusione dei lavori ) dietro appuntamento agli studiosi.
I vini dei nazisti
Ha suscitato molte discussioni e critiche un po’ risentite (ad es. quella di Sebastien Lepaque su La Revue du Vin de France), la recente pubblicazione del libro di Christophe Lucand, sindaco di Gevrey-Chambertin, dal titolo “Le vin des nazis” (Grasset, marzo 2023), nel quale viene presentato un quadro assai meno eroico del mondo del vino francese negli anni dell’occupazione tedesca, di quello proposto vent’anni fa da Donald e Petie Kladstrup, giornalisti di “Wine Spectator” ne “La Guerre et le Vin”(Perrin, 2002).
L’imbarazzante etichetta delle bottiglie di Nuits-Saint-Georges , con l’aquila nazista , la svastica e il sigillo col teschio delle SS , offerte da Jean de Mayol , membro e cappellano della Legione dei volontari francesi filo-nazisti all’epoca di Vichy, a Otto Abetz, ambasciatore del Terzo Reich a Parigi, contrasta fortemente con l’episodio dell’arresto da parte della Gestapo , nel novembre 1943, di Robert-Jean de Voguë. Dal 1930 direttore di Moët e creatore della cuvée Dom Perignon, prima condannato a morte per la sua attività nella resistenza francese ( e non l’unico a militarvi, nella Maison di Épernay) e poi deportato in Germania.
Nonostante i molti decenni trascorsi da quel periodo, le sensibilità sono ancora molto vive e l’argomento è ancora in parte tabù, come dimostra il silenzio irremovibile del responsabile della comunicazione di Moët & Chandon alle domande sulle attività della Maison negli anni della dominazione nazista, rivoltegli dal giornalista Antoine Dreyfus, autore dell’inchiesta “Les raisins du Reich” (Flammarion 2021). Certo la storia di quegli anni ha molti volti diversi e non può sfuggire l’ambiguità (probabilmente anche dolorosa) delle relazioni che dovettero stabilirsi tra i Weinfűiihrer tedeschi, incaricati di rastrellare la maggior quantità possibile di vini di pregio dei migliori territori della vitivinicoltura francese: molti di essi appartenevano a famiglie che avevano avuto, prima della guerra, legami, anche profondi, con la Francia . Ad es. il padre di Heinz Bomers, weinfűhrer a Bordeaux, era stato proprietario dello Château Smith-Haut Lafitte, poi acquisito dallo Stato francese nel 1914, e Otto Klaebisch, cognato di Joachim von Ribbentrop, inviato nella Champagne, era stato rappresentante della Maison Lanson.