In questi giorni, che negli scorsi anni erano pieni di anteprime e quindi di informazioni, di conoscenze, di incontri, di viaggi, ho capito quale reale rischio corriamo con la pandemia. Quello di non rinnovare e ampliare il nostro orizzonte culturale e conoscitivo.
Uno può controbattere che un giornalista può (e deve in molti casi) muoversi per lavoro ma, almeno per il mondo del vino non è la stessa cosa. Nel mondo del vino accanto alla notizia c’è sempre una minima deriva piacevole, anche quando si parla di notizie spiacevoli. Per esempio se ci comunicano che una fiera non verrà fatta da una parte ti dispiace ma dall’altra il tuo pensiero corre a quelle trascorse, a alcuni momenti belli, a incontri, a degustazioni, a confronti.
Oggi, almeno a me, manca questo: non tanto la degustazione (che posso fare in ufficio) ma tutto quel mondo, quel contorno che è strettamente legato alla degustazione e ti stimola a conoscere non solo le caratteristiche di un vino ma uno o più produttori, una o più storie, denominazioni, territori, diversità e alla fine ti porta a crescere, non solo professionalmente.
Più vanno avanti i collegamenti online più mi rendo conto di quanto, anche nel migliore dei casi, rappresentino un triste surrogato della realtà e mi viene da pensare ai ragazzi, agli studenti, che si sono visti defraudati per un anno (e speriamo sia finita qui) della loro vita di società, dell’interagire in un ambiente sicuro ma percepito (da giovane) ostile, dell’apprendere modi con cui reagire alle “costrizioni” giornaliere dei professori e alle informazioni non sempre verbali che ricevono. Insomma della palestra di vita che è la scuola.
Anche io oggi sento il bisogno di questa palestra, sento la necessità non solo di leggere libri sul vino ma di incontrare maestri, professori e naturalmente anche qualche alunno svogliato.
Rischiamo di perdere l’allenamento al confronto, di chiuderci dentro paure (anche motivate) che ci allontanano sempre più l’uno dall’altro. Un piccolo esempio: ogni volta che vedo una foto dove vi sono più persone vicine (anche se è di qualche anno fa) mi viene immediatamente da pensare “Ma sono senza mascherina!” e il moto di leggera rabbia che mi prende fa sentire che dentro di me sta nascendo qualcosa di sbagliato, cioè il rifiuto verso un mondo normale, dove è normale parlare e incontrarsi senza paura di farlo. Ma questo è il meno.
Ho finito di rileggere adesso un illuminate testo di Umberto Eco, “Costruire il nemico” e alla fine mi è venuto da pensare che questa pandemia ci ha risvegliato innominabili paure verso l’altro, dove l’altro non è una persona in “teoria diversa” (per colore, religione, etnia) ma è proprio quello che è accanto a te, il tuo vicino di casa, addirittura i tuoi figli che si incontrano con gli amici non utilizzando distanze da tutti consigliati.
Per dare un taglio a queste paure noi comunicatori del mondo del vino cosa dovremmo fare? Sinceramente non lo so ma sono convinto non basti fotografare una bottiglia bevuta e darne due note di degustazione, dovremmo fare qualcosa di più e di diverso, anzi di molto simile a quello che abbiamo fatto fino ad un anno fa: comunicare e commentare notizie .
Ma se le notizie non ci sono cosa possiamo fare? Lo chiedo a me e lo chiedo a voi.