Il mio caro amico Angelo Peretti scrive sempre cose interessanti e centrate. L’ultima è un post su Facebook in cui parla di quella che potremmo chiamare “cecità comunicativa” dei produttori di vino, che spesso sembrano essere rimasti al tempo che Berta filava.
Il fatto- sottolinea giustamente Angelo- di mandare comunicati stampa per annunciare urbi et orbi di essere presenti ad una manifestazione che si svolge da oggi in Alto Adige è inutile: come se un fornaio scrivesse a tutti per dire che produce il pane.
Occorrerebbe fare altro e questo altro non so precisamente cosa possa essere ma sicuramente so cosa non dovrebbe essere.

I produttori non dovrebbero inondare i social con foto del loro banchino (senza nessuno attorno, naturalmente) alla fiera X o Y. E’ una cosa, oltre che inutile, di una tristezza assoluta.
Dovrebbero proibire ai loro uffici stampa (che spesso però vivono quasi soltanto di questo) di martellarci gli zebedei con comunicati stampa che nella migliore delle ipotesi finiscono immediatamente nel cestino o in alternativa servono solo per sorridere tristemente a frasi del tipo “Grande successo a… Eccezionale partecipazione… Apoteosi del …”.
Il primo ufficio stampa che mi manderà un comunicato del tipo “Scusa se ti disturbo ma devo campare e il produttore X vorrebbe farti sapere che è presente alla fiera Y” giuro che leggerò tutti i suoi comunicati nei secoli dei secoli.
Inoltre tanti produttori dovrebbero smetterla di moltiplicare le etichette e di cambiare continuamente grafica, naturalmente mandandoti dieci comunicati stampa per fartelo sapere. Fare un vino in più è spesso una fuga in avanti perché il problema rimane quello di:
- Fare vini buoni
- Far conoscere i tuoi vini buoni
- Vendere i tuoi vini buoni e questo non lo fai moltiplicando evangelicamente come pani e pesci le etichette.

Comunque tutto questo ci riporta al dilemma di come comunicare il benedetto vino e a questo proposito un piccolo consiglio mi sento di darlo: forse sarebbe il caso di rendere meno ingessate le presentazioni fatte nelle aziende, nei ristoranti etc. Non è scritto da nessuna parte che i vini presentati siano tutti buoni e, anche se il presentatore è obbligato a farlo, inserire nella chiacchierata qualcuno che faccia l’avvocato del diavolo e provi a mettere in campo eventuali problemi (anche piccoli, per carità…) dei vini forse renderebbe gli assaggi più interessanti e seguiti.
Ma soprattutto, cari produttori, smettete di comunicare come se si fosse al neolitico e provate a innovare qualcosa. Per esempio mettetevi in gioco e parlate con il cuore in mano dei pregi e anche dei difetti, dei problemi che avete avuto, di come li avete risolti o smussati, dei dubbi che vi assillano, delle soddisfazioni che vi fanno andare avanti. Perché suona un po’ strano in un momento pieno di problemi per il vino, incontrare sempre produttori che, singolarmente, non hanno un problema che sia uno. Suona un po’ strano di fronte a vendemmie complicatissime sentire produttori che in quelle annate hanno fatto prodotti di assoluta eccellenza. Avere credibilità come produttore poi porta ad essere letto in un comunicato stampa. Ma per avere credibilità occorre parlare chiaramente dei pro e contro che un viticoltore incontra e non solo presentare un mondo fatato che nella realtà non esiste.

Visto che siamo a dirla tutta occorrerebbe provare ad abbandonare la strada delle parole d’ordine, di non usare tutti la stessa chiave per farsi conoscere. Venti anni fa la prima cosa che un produttore ti diceva (un attimo prima che lo chiedessi tu…) era il nome dell’enologo che aveva fatto il vino. Oggi il nome dell’enologo non serve (anche se naturalmente è ben presente) perché tutti fanno un vino “di territorio” rispettando “il territorio” e naturalmente facendo un vino diverso da tutti gli altri perché il loro è un territorio “particolarmente vocato”.
Poi, sempre per rispettare il territorio usano una bottiglia che pesa un chilo.
Insomma, cari produttori, non usate solo la facciata del negozio ma fate realmente entrare dentro chi può parlare di voi.
