Sette Cerasuolo per sette declinazoni4 min read

Conosco Filippo Bartolotta troppo bene e da troppo tempo per non apprezzare, oltre alla conclamata competenza, le sue arcinote capacità affabulatorie. Ma quando, nel giugno scorso, introducendo la masterclass sul Cerasuolo d’Abruzzo (già molto creativamente dedicata all’”air-roir” del medesimo) durante le giornate dell’Abruzzo Wine Experience, si è lanciato in un’ardita dissertazione comparativa tra il vino e il mito di Perseo e Medusa, non credo di essere stato il solo a chiedersi dove volesse andare a parare. Dubbio che si è accresciuto quando, preso dal discorso, ha definito questo straclassico abruzzese – da sempre tra i miei preferiti – “masochistico”.

La nebbia ha cominciato a dissolversi e l’obbiettivo nonché l’aggettivo sono andati a fuoco solo quando, accanto alle Metamorfosi ovidiane, Filippo ha rammentato il ruolo che, a quel mito, aveva affidato Italo Calvino nelle sue “Lezioni Americane”: la rappresentazione di uno dei valori-parola secondo lo scrittore fondamentali nell’esercizio della letteratura, ossia la leggerezza. Una leggerezza da intendersi ovviamente non nel senso di impalpabilità o evanescenza, bensì in quello di levità, agilità, disincantata mutevolezza, contorta coerenza.

Espresso in questi termini, l’accostamento regge e, al contempo, suggestiona.

Perché nelle sue varie (e non sempre riuscite, ammettiamolo) interpretazioni, il Cerasuolo d’Abruzzo ha in effetti la non trascurabile capacità di mantenere un proprio fil rouge, un’impronta identitaria che solo di rado si incrina.

L’ardita ipotesi bartolottiana ha cercato la via della dimostrazione attraverso l’enunciazione di sette tesi, corrispondenti ad altrettanti campioni portati in degustazione. E poi elaborata, anzi metabolizzata dal sottoscritto con copiosi ed ulteriori assaggi compiuti in diretta tra i banchi, proprio sulle ali di quella leggerezza che, come una brezza vigorosa ma gentile, sa sollevarti da terra senza tuttavia spingerti così in alto da farti perdere i punti di riferimento.

Eccole le sette declinazioni del Cerasuolo d’Abruzzo prescelte per il cimento.

Fontecupa 2022, Montori

All’occhio è di un rosa mattonato, mentre al naso è fragrante e gentile, ma con un robusto alito vinoso, mentre il palato è sapido, fresco e lungo, sebbene non particolarmente incisivo.

Baldovino 2002, Tenuta I Fauri

E’ un vino fatto in acciaio e cemento, di color mattone deciso: al naso è pieno e compatto, tipico direi, e anche in bocca rivela il corpo e la pulizia che ci si aspetta da un Cerasuolo classico.

Rosa-ae 2022, Terre dei Beati

Un chiaretto dai riflessi violaceo-purpurei, dal bouquet deciso, acuto e quasi pungente e dal gusto beverino, di corposità un po’ rustica.

Bardace 2022, Tenuta De Melis

Di un rosa intenso un po’ modaiolo, che si riflette nelle note dolciastre e caramellose sia al naso che in bocca.

Tauma 2022, Pettinella

Color mattone appena velato, al naso è un vino ruspante, deciso, “antico” e perfino un po’ brusco, nota che ritrova anche al palato.

Emidio Pepe 2022

Emidio o lo si ama o lo si odia e noi lo amiamo: di classico colore rosato scuro, il bouquet è coerente e riconoscibile, ossia tipico e ostico al tempo stesso, mentre in bocca è profondo, corposo e gastronomico.

Fosso Cancelli 2020, Ciavolich

Il vino ha il colore indefinibile, e indimenticabile, di certi tramonti africani, mentre al naso propone un ventaglio di cangiante eleganza che abbraccia l’erba grassa e quella vetriola, con la menta finale che spunta anche in bocca, nel lungo finale sapido.

A questo punto quasi mi aspettavo un excursus sul Cerasuolo d’Abruzzo e la Legge del Sette di Gurdjieff, alla quale invece, ma probabilmente solo per mancanza di tempo, Filippo ha dovuto rinunciare.

Così, deluso (non dagli assaggi ma dal mancato excursus) e consapevole che non potendo far tutto occorre fare delle scelte, mi sono dedicato a un’assai più prosaica degustazione di Cerasuolo e di Trebbiano d’Abruzzo tra i banchi allestiti negli spazi della bella Tenuta Coppa Zuccari, nelle campagne di Città Sant’Angelo.

Paesaggio fantastico a parte, le cose migliori che ho trovato sono state le seguenti:

A Salire, Cerasuolo d’Abruzzo 2019, Rabottini: i riflessi di mattone antico restituiscono delicate note di ciliegia e un sorso pieno, sapido e gratificante.

Per Iniziare, Trebbiano d’Abruzzo 2015, Rabottini: colore oro acceso, naso appena evoluto e bocca ampia, quasi solenne, profonda, varietale.

Cerasuolo d’Abruzzo 2022, Zappacosta: il colore scarico da velo di cipolla non inganni, il bouquet è intenso,  verace e sincero, al pari del palato

Trebbiano d’Abruzzo 2022, Zappacosta: dorato all’occhio, svela al naso la sua natura bio con una bella screziatura e in bocca è vibrante, con piacevole ritorno amarognolo.

Cerasuolo d’Abruzzo 2021, Strappelli: una piacevole conferma di tipicità e di gradevolezza sia al naso che in bocca, centratissimo.

Trebbiano d’Abruzzo Doc Superiore Torre Migliori 2020, Cerulli Spinozzi: bell’oro brillante e un naso gentilmente complesso che trova equilibrio anche in bocca.

Cerasuolo d’Abruzzo Rosarubra 2022, Torri: rosa scuro all’occhio, naso fragrante e vivo, bocca importante e ampia ma fresca e godibile.

Stefano Tesi

Stefano Tesi, giornalista professionista, scrive per vari giornali italiani di gastronomia e viaggi. Il suo giornale online è Alta Fedeltà.


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