Voi vi domanderete perchè avvicino Ludovico Ariosto al Ruché e io ve lo spiego: nei suoi scritti vi sono decine di possenti cavalieri di maschia levatura e alcune giovini fanciulle, esili e spesso eteree, ma per niente arrendevoli e facilmente conquistabili.
Se l’Orlando Furioso fosse ambientato nel Piemonte enologico odierno sicuramente Barolo, Barbaresco, Ghemme, Gattinara sarebbero i possenti cavalieri Orlando, Ruggiero, Rodomonte e Mandricardo, mentre per la parte di Angelica, figura femminile di incredibile bellezza, circonfusa di un’aura profumata e indefinita, non avrei dubbi e indicherei il Ruché.
Molti di voi magari non conosceranno nemmeno questo vino/vitigno, coltivato oggi in nemmeno 150 ettari nel Monferrato, da cui nasce un vino rosso rubino profumatissimo, morbido, di femminea (appunto!) e elegante struttura, rotondo, che ti ammalia con una gamma aromatica che parte dal pepe, attraversa tutto l’universo floreale per arrivare ai frutti rossi. Una specie di Gewürztraminer in rosso e assolutamente secco.
Un vino particolarissimo, DOCG da una decina d’anni e che abbiamo degustato in pochi esemplari (ma quelli sono) al Consorzio della Barbera d’Asti.
Una quindicina di campioni, soprattutto del 2018, che hanno evidenziato l’incredibile e indimenticabile gamma aromatica che lo caratterizza e lo rende praticamente unico (assieme al Lacrima di Morro d’Alba se vogliamo essere pignoli) nel panorama italiano.

Dal punto di vista gustativo non evidenzia una tannicità importante, non certo rafforzata da vinificazioni che cercano di prediligere, riuscendovi, la piacevolezza. Qualche produttore sta provando la strada dell’invecchiamento: questa scelta non ci trova molto d’accordo anche se dobbiamo ammettere che i campioni assaggiati del 2015 e 2013 ci sono piaciuti abbastanza. Quello che non capiamo è il perché si debba ricercare una nuova via al Ruché quando ancora la prima non è stata minimamente tracciata.
Infatti le bottiglie prodotte sono molto meno di un milione e forse sarebbe bene concentrarsi sul farlo conoscere (riconoscerlo è facilissimo) e soprattutto sullo studiare abbinamenti adatti, perché questo è forse il vero Tallone d’Achille del vino, in quanto la sua grande gamma aromatica tende molto a coprire mentre la mancanza di acidità (qualcuno ci aggiunge infatti un niente di barbera) non riesce a pulire bene la bocca da cibi a componente grassa. Più che alla cucina piemontese penserei a quella indiana o comunque a piatti molto speziati.
In definitiva il nostro “vino-Angelica” è senza dubbio un prodotto da provare e tra i nostri assaggi ne consigliamo alcuni che sicuramente vi rimarranno ben impressi in testa, forse anche più di un “rodomontesco” e possente Barolo.