Quattro salti in Australia (parte prima)3 min read

Non ricordo più con precisione se l’anno in cui tentai di imbarcarmi per l’Australia era il 69 o il 70.

Di li a poco avrei dovuto affrontare il servizio militare ed ero decisamente  terrorizzato dalla prospettiva di indossare una divisa e di regalare un anno e passa della mia giovane vita allo stato.

Erano da poco usciti anche in Italia album memorabili come Tommy degli Who e con il mio gruppo di amici passavamo ore ad ascoltare Morisson Hotel dei Doors e anche Volounteers dei Jefferson Airplane che portava in Italia l’inedito sound della West Coast.

L’aria che respiravamo era a dir poco elettrizzante, alimentata com’era dall’inquietudine giovanile, e con l’aggiunta di un paio di tonnellate di ormoni scalpitanti e perennemente in cerca di un bersaglio, eccovi servita una miscela esplosiva a cui mancava solo l’ innesco.

Non ricordo nemmeno più quale evento specifico fece scattare la molla del mio maldestro tentativo di emigrare in Australia, di certo non mancavano i pretesti; avevo gia’ iniziato a lavorare e si respirava aria di rivolta anche nei luoghi di lavoro, ma all’epoca mancavo di un orientamento politico, così ero più interessato agli Stones che agli scioperi dell’autunno caldo. Avevo una gran voglia di ribellarmi a tutto, ed il gran fermento che vedevamo in giro per il mondo sembrava calzante per le nostre aspirazioni. Anche la lettura di "On the Road" contribuiva a farci sognare e a tenere vivi i desideri di cambiamento.

 

Insomma, a farvela breve, molto ingenuamente mi recai al porto di Ravenna e tentai di salire sull’unica nave ormeggiata. L’idea era di chiedere un passaggio in cambio di un lavoro e, in quella che oggi chiamo la mia giornata dell’idiota, ero convinto chissà poi perchè, che tutte le navi fossero dirette in Australia.

 

 

Beh, qualunque cosa fosse, o di qualunque sogno si trattasse, ora di sicuro non resta più niente. Ma ora basta, mi sono dilungato anche troppo e credo sia più emozionante osservare una lumaca mangiare una foglia di cavolo, che leggere la mia brufolosa e adolescenziale storiella. Non è  che abbia poi molto da raccontare per ora, salvo il fatto che potete venire a vivere a Melbourne se siete disposti a pagare 4,99 dollari per un litro e mezzo di acqua e solo 2,99 per due litri di coca cola. Il che indurrebbe a chiedersi quanta acqua c’è in un litro di cola. 

Oppure se accettate di pagare mele, arance, pomodori e patate oltre 3,99 dollari al kg. Ed e’ tutta merce australiana. Non si può certo dire che Melbourne sia meno che bella, e pulita, moderna, spaziosa ed accogliente, ma a parte qualche edificio Vittoriano (la maggior parte furono distrutti tra il 1950 ed il 1980) ci sono forse più ragioni per viverci che per visitarla da turista.

Girando per il centro, attorno a Federation Square per capirci, si incontra la stessa gente che potresti incontrare in qualunque città del mondo, solo con una percentuale molto alta di asiatici. Una multiforme massa di giovani così sempre intenti allo smartphone che potresti anche crepargli davanti che non uscirebbero da foursquare o da facebook.

I vecchi negozi, immagino dovessero essercene di belli, hanno lasciato il posto alle solite insegne commerciali, catene uguali dappertutto che servono lo stesso cibo spazzatura o vendono gli stessi articoli di abbigliamento. Tutto bello, lindo e rassicurante, eppure non riesco a levarmi dalla testa il pensiero di stare scegliendo i posti da vedere in base alla paura che spariscano per sempre.

La stessa sorte degli aborigeni, spariti dalla città ed anche dai musei cittadini. Nel museo dell’immigrazione trovano spazio solo le storie degli europei dell’ottocento, bambini strappati alle loro famiglie impossibilitate a mantenerli, avventurieri, deportati e gente normale in cerca di fortuna,ma niente sul popolo originario. Stay Tuned per le prossime puntate… (segue)

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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