Quattro salti in Australia: Barossa e saluti8 min read

Siamo giunti infine all’ultima tappa e dunque alla fine del nostro viaggio nel mondo del vino australiano, la Barossa Valley. A bocce ferme, è senza alcun dubbio la regione più promettente e più interessante, sia da un punto di vista della ricchezza espressiva sia del livello di complessità raggiunto da alcuni suoi vini.

Inscatolata nei Lofty Ranges, la Barossa Valley si raggiunge in mezz’ora di auto guidando da Adelaide verso Nord –Est in direzione di Lyndoch, la piccola cittadina ritenuta la porta d’accesso per chi viene da sud.  Lunga più o meno 25 km e larga la metà, protesa in direzione Sud-Ovest/Nord-Est, gode del classico clima mediterraneo, estati secche e calde e inverni freschi. L’apporto idrico è assicurato da una piovosità simile a quella della nostra Maremma, (ma concentrata nei mesi si Giugno,Luglio,Agosto) e dal North Para River che scende con i suoi affluenti dai ranges circostanti. 

Nel corso del tempo le numerose esondazioni,fenomeno tipico della zona, rilasciando sedimenti di natura disomogenea, hanno finito con il determinare il formarsi di una rilevante varietà di suoli: sabbia, argilla-sabbia, argilla,terreno ghiaioso, terreni rosso-marrone, grigio chiari, che in combinazione con i tanti micro-climi permette ai viticoltori di godere di ottimali condizioni di base per realizzare vini dalle caratteristiche composite. Condizioni che hanno permesso tra l’altro di conservare la Barossa “fillossera free” e di far superare il traguardo del secolo a un gran numero di viti.

Fatta eccezione per i nomi delle persone, la storia dei primi insediamenti viticoli della Barossa Valley non è molto diversa da quella del Coonawarra o della McLaren Vale, o di altre aree. I primi vigneti,messi a dimora da gente del tutto inesperta,  risalgono al 1840 e le prime vendemmie a pochi anni dopo. La svolta la diedero i primi immigranti tedeschi che non solo erano esperti, ma avevano al seguito un mucchio di attrezzature  per la viticoltura. Inutile dire che presto divennero i punti di riferimento della neo-nata comunità vitivinicola dell’intera area.

La Barossa vitata conta su circa 13.000 ettari, nei quali domina largamente lo Shiraz (6.000 ha), tuttavia sono presenti in forze altre varietà come il Cabernet Sauvignon(1.400ha) il Grenache (700ha) ed il Mourvedre (200ha). Sul versante delle uve bianche quasi 1700 ha sono occupati da Chardonnay,Semillon e Riesling. Tornando ai rossi in forte espansione troviamo poi Tempranillo e Sangiovese che negli ultimi due anni, pur partendo da numeri esigui, hanno comunque raddoppiato la superficie.

Tuttavia, per chi fosse interessato ai numeri, è bene tenere presente un fatto importante, e cioè che per effetto degli acquisti di uve fatti fuori dalla denominazione di origine (G.I), l’immediata correlazione tra superficie vitata, varietà presenti,uve prodotte e vini realizzati e venduti non è possibile in quanto servirà sapere quante uve e di quali varietà sono state acquistate dalle aziende in altre regioni.

Dati questi,comunque, facilmente reperibili. Tra le oltre 150 aziende vitivinicole della Barossa Valley, che si approvvigiono di uve fornite da una solida base di circa 700 viticoltori, figurano alcuni tra i più rinomati nomi a livello mondiale: Penfolds, Henschke, Peter Lehmann, Wolf Blass, Jacob’s Creek  e Yalumba: questo per un viaggiatore del vino in Australia, costituisce l’idea più vicina a quella di Paradiso che si possa immaginare. Un’idea che trova elementi di rinforzo grazie alle numerose aziende piccole e medio piccole, le quali hanno il pregio di proporsi al pubblico con un’accoglienza molto più informale ed amichevole.

Nel caso dell’aziende Two Hands e Schild Estate, grazie all’amico Jacopo (importatore che ringrazio) di Quality Wines, ho potuto fare affidamento su  un assistenza veramente fuori dalla norma ed assaggiare tutti i loro vini, incluso il costosissimo Shiraz Ares da 165 aud, che per la verità ho trovato eccessivamente ricco e molto scenografico. Un bicchiere ti basta, per fortuna! Tutti i vini di Two-Hands, che si trova nell’area di Marananga, hanno prezzi elevati e salvo un Gewurztraminer non si scende sotto ai 25 aud. Può aiutare a mettere mano al portafoglio più volentieri il fatto che l’azienda è fortemente impegnata in progetti sociali in Uganda. Dovendo scegliere un paio di loro vini suggerisco di pescare tra la serie Gardens: il Bella che è un Barossa, ed il Lily che invece proviene da McLaren Vale. Due Shiraz molto differenti e che interpretano bene le caratteristiche dei territori di provenienza:  il Bella’s Garden 2010 ha la ricchezza e la maturità del frutto nero, una struttura corporea possente con un dopo bocca molto lungo, che sfuma sulla nota di pepe, mentre il Lily’s Garden 2009 ti annuncia già al naso la dote della McLaren Vale, frutto si, ma più ricco di sfumature speziate e con un finale reso più leggero da ritorni di eucaliptolo. Entrambi sui 60 aud.

Scendendo a sud, a Tanunda, che poi sarebbe il cuore della Barossa, si trova Rockford Estate, il suo Basket Press (un’ironia?) Barossa Shiraz 2008 ha molte frecce al suo arco per piacere: colore profondo, bouquet di impatto misurato giocato tra mora,susina e caffè, struttura possente, levigato, morbido e con una verve fresca che lo rende equilibrato. Non molto distante si trova St.Hallet, l’azienda è grandicella(700ha) e ciononostante i suoi vini non ti danno affatto l’idea di essere “industriali” e secondo il mio standard sono tra i migliori dell’area. Il loro Flagship Wine, l’Old Block Barossa Shiraz 2008 va oltre i 100 aud: a mio avviso un po’ troppo carnoso e con un legno invadente che impedisce di percepire le sfumature, probabilmente necessita di un lungo affinamento.

Meglio puntare sul Blackwell 2009 Shiraz, godendosi il bel mix di pepe, menta, liquirizia e caffè (quest’ultimo sospetto sia dovuto a legni americani) e approfittando della sua parte strutturale più snella e bilanciata per giovarsi di un assaggio che si rivela insospettabilmente  fresco e sapido.

Un’altra realtà degna di nota è quella di Schild Estate, che esporta in Italia tramite l’amico Jacopo. Si trova a Lyndoch, la porta sud della Barossa, ed è di proprietà di un’allegra e rubiconda famiglia di antiche origini germaniche. Portatori sani di un retaggio europeo che un pochino si percepisce anche nell’impostazione dei loro vini, a iniziare dal Riesling nel quale si nota la presenza di acidità spinta e vibrante, tipicamente nordica, all’assenza di caratteri agrumati e minerali in favore di sentori che rimandano ai frutti gialli (mela e banana) maturi. Nel loro Shiraz Reserve Ben Schild 2007 ci si ritrova un profilo tannico più marcato che,se da un lato tende ad asciugare, dall’altro ti affranca il palato da quelle note “sciroppose” molto frequenti nei vini rossi del South Australia. Nel loro listino è degno di nota il GSM, che non è un telefonino tri-band, ma il tipico blend barossiano, Grenache,Shiraz e Mourvedre. Il millesimo 2011 attrae con le sue note speziate e di erbe provenzali, qui combinate con un profilo gustativo generoso senza essere invadente e succoso senza apparire denso.

A questo punto credo sia opportuno rinunciare ad allungare la lista dei vini, che pure sarebbero ancora tanti, in favore di qualche annotazione di carattere più generale, iniziando dalla constatazione più elementare e cioè che i vini da vitigni di origine italiana sono sempre più diffusi ed apprezzati, segno evidente che anche il gusto australiano, ammesso che lo si possa definire in questo modo, è alla ricerca di nuovi elementi di confronto. Vuoi per necessità di incentivare le vendite grazie all’effetto novità, o perché si sta realmente modificando il gusto, ma il fatto certo è che sempre più aziende hanno in listino Vermentini, Sangiovesi, Nebbioli, Lagrein,Lambruschi, Gewurtztraminer e Moscati, segno evidente che i vitigni italiani, assieme alla cucina italiana, esercitano un fortissimo potere di attrazione.

Peccato che i risultati siano spesso al di sotto dei nostri standard di riferimento, cionondimeno questa voglia di misurarsi e di confrontarsi viene frenata. Anche a noi farebbe bene allargare l’area del confronto, nel quale esercizio c’è sempre da imparare. A me è venuto spontaneo, quando sono atterrato all’aeroporto di Melbourne, il paragone con Fiumicino o Malpensa: se sei un turista e cerchi di fare un tour enologico, ti basta andare al Visitor Center dell’aeroporto e trovi ogni ben di Dio, ogni sorta di materiale informativo, pensato e realizzato per essere fruibile oltre che per farsi guardare con piacere.

Senza contare che il personale ti prenota le visite, le sistemazioni e tutto quello che ti serve. Le cartine sono ben fatte, la segnaletica nelle aree vitivinicole è chiara ma, soprattutto, c’è sempre. Nelle cantine che fanno accoglienza, le Cellar Door, c’è sempre personale: appena entri la prima cosa che fanno è quella di darti un  bicchiere per gli assaggi, la seconda di mostrarti la lista dei vini e la terza ti chiedono da dove voi iniziare. Assaggi ciò che vuoi, in genere tutto quanto è in listino è anche disponibile per l’assaggio, e se ti piace qualche vino lo acquisti, altrimenti vai via. Non senza esserti preso un bel grazie per la visita. Beh,che dire, dopo un mese di assaggi, visite in cantina, un sacco di vini bevuti qua e là, azzardo un suggerimento a chi lavora nel mondo del vino: anche se è un paese che beve birra, e la vigna non è così diffusa come in Italia, andare in Australia  vi allargherà l’orizzonte. L’approccio al vino è sicuramente meno carico di significati storici e culturali, ma in cambio è più creativo, innovativo e profittevole. Non è cosa da poco.  Don’t Stay Tuned, the pain is ended….(FINE n.d.r.)

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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  1. Grazie per questo bell’excursus, divertente e non scontato. Già  avevo voglia di visitare l’Australia,o ra è aumentata. L’unica consolazione al fatto che questa sia l’ultima puntata è il piacere di riaverti in Italia. L’ufficio turistico australiano ti dovrebbe premiare.

  2. Allora l’ufficio turistico australiano dovrebbe premiare anche l’editore.

  3. Ricordo sei o sette ani fa la conferenza tenuta al Consorzio del Brunello dall’autore del famoso piano “Australia 2000” che é stato alla base di tutto lo sviluppo della loro vitivinicoltura. Il signore non sapeva assolutamente nulla di vini italiani e confondeva continuamente Montalcino con Montapulciano, e ci illustrà³ le straordinarie innovazioni che stavano proiettando il continente australe nel nuovo millennio. Sono quelle indicate nell’articolo, le cantine aperte, le strade del vino e la valorizzazione delle zone per arrivare a delle simil DOC. Quando gli dissi (in inglese, of course) che noi questa roba a Montalcino si fa da una cifra di decenni mi guardà³ come si guarda lo Zulù che per non far vedere quanto è primitivo si vanta di conoscere i motori a reazione. Ma vedo dalla conclusione dell’articolo che anche l’autore si é scordato che da noi queste cose si fanno da oltre sessant’anni (con il sorriso sulla bocca e senza pretendere acquisti), per cui ora mi meraviglio meno dell’illustre docente degli antipodi.

  4. PS il Montapulciano nel testo é assolutamente voluto, perché lui lo chiamava proprio cosà¬. Ed era in più importante docente universitario di vini d’Australia. Prosit!

  5. Carissimo Stefano,
    il turismo del vino da noi si è sviluppato molto negli ulltimi anni ma ti garantisco che l’organizzazione australiana è diversa. in qualsiasi paese o zona vinicola arrivi trovi sempre all’ufficio turistico l’elenco delle cantine dove puoi andare, con l’orario e la mappa. Sicuramente da te a Montalcino da anni si farà  cosà¬, ma ti garantisco che in mooooooooooolte altre cantine italiane non è sempre detto di trovare qualcuno che ti accolga, ti faccia assaggiare i vini e poi ti ringrazi se vai via senza comprare nulla (anche se compri). Dal punto di vista del puro appassionato girare per cantine australiane è sicuramente molto più semplice che in Italia, dove devi almeno telefonare per prenotare la visita.

  6. Stimatissimo Dr.Colombini, ha perfettamente ragione nell’appuntarmi sul nostro passato. Vede, non è che io abbia dimenticato, è che ho ritenuto più utile evidenziare le differenti condizioni che un turista del vino si trova ad affrontare. Ben conscio che la Toscana sia un isola felice da questo punto di vista, non si può ignorare che un addetto ai lavori, giornalista, sommelier, ristoratore o importatore che sia è sempre in grado di districarsi. Nelle varie zone, tra le varie aziende e via di questo passo, ma un semplice turista del vino? Ho indossato questi panni l’anno scorso in Sicilia e posso assicurarle che girare per le contrade etnee alla ricerca di cantine e degustazioni è impresa assai ardua. Spiace dirlo ma ho vissuto di persona la totale disorganizzazione degli enti preposti; leggasi Strada dei Vini, ed è solo grazie alla buona volontà  del presidente del consorzio se ho potuto avvicinarmi alla viticoltura etnea. E di queste realtà  temo che in Italia ce ne sia più d’una.

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