Parlare di vino è una cosa, farsi capire un’altra!7 min read

Con questa intervista presentiamo uno studio che non può non interessare al mondo del vino, in particolare a chi vuole e cerca di essere un comunicatore (magari anche esperto della materia), declinato nelle varie forme di giornalista, blogger, influencer etc.  Lo ha portato avanti il Professor Roberto Burro. Nell’intervista vi spiegherà cosa ha studiato e a quali risultati è giunto.

Professor Roberto Burro

“Buongiorno Professor Burro, lei dove insegna?”

“Buongiorno, insegno all’Università di Verona.”

“E cosa insegna?”

“Faccio diversi corsi ma sono inquadrato nel settore definito Psicologia Generale. Diciamo che questo è il mio biglietto da visita, però come le dicevo seguo diversi corsi: Psicologia del pensiero e del ragionamento, psicologia della personalità e delle differenze individuali, psicologia dell’apprendimento.”

“Quindi lei è un professore di psicologia, non uno psicanalista.”

“Verissimo! Questa è una cosa che ci tengo molto a precisare perché chi non conosce bene la psicologia pensa subito alla psicanalisi. In realtà la psicanalisi è bandita dalla psicologia tecnica perché non usa il metodo scientifico sperimentale. Io faccio parte di quelli che usano il metodo scientifico.”

“Una domanda preventiva: lei nel mondo del vino si mette tra gli esperti o tra i non esperti.”

Sicuramente tra i non esperti.”

Come è nata l’idea di studiare la validità comunicativa dei termini usati nel vino?

“Mi sono definito un non esperto ma nel nostro gruppo vi  sono anche degli esperti. Qualche anno fa, rispondendo a un bando della Regione Veneto, proponemmo una ricerca sul mondo del vino. In questa ricerca partecipa dall’inizio anche il Consorzio della Valpolicella. Grazie a questo bando abbiamo iniziato a sondare varie problematiche nel mondo del vino e quella  comunicativa era una delle molte. Abbiamo deciso, nel 2018, di approfondire proprio il tema della comunicazione  linguistica nel settore del vino.”

“Che metodica avete adottato?”

“Abbiamo iniziato facendo un’analisi del linguaggio del vino a partire dai luoghi nei quali questo linguaggio è scritto, cioè i disciplinari di produzione (prendendone in considerazione 31)  e le guide vini più importanti e conosciute. Abbiamo fatto un’analisi dei termini utilizzati per raccontare il vino e una prima cosa che è venuta  fuori e che si usano spessissimo quelli che noi definiamo descrittori sensoriali del vino. Il vino è raccontato attraverso le sue qualità sensoriali: quelle  visive, olfattive e gustative, mentre solo una piccola parte riguarda la globalità del vino.”

“Che intende per globalità del vino?”

Il suo giudizio complessivo, tipo quando si dice che un vino è “importante”.”

“Quindi  se io dico che un vino è “buono” questa è una definizione complessiva?”

“Se non è all’interno delle tre tipologie sensoriali sicuramente si. Per esempio, se uno dice che è buono all’olfatto lo consideriamo non come termine globale ma relativo alla parte olfattiva. Per quanto riguarda le tre famiglie sensoriali  il 40% dei descrittori sono relativi al gusto, il 40% per l’olfatto, il 16% per la vista e  il restante 4% sono globali.”

“Questa suddivisione di termini, secondo voi, non è il giusto modo per arrivare ai non esperti?”

“No, lo può essere perché tutti abbiamo dei sensi e quindi è un buon modo per comunicare. Andando avanti noi abbiamo tirato fuori quelli che sono i 64 descrittori più utilizzati per descrivere il vino e, con una metodica che si usa nelle scienze cognitive, quella dell’analisi della contrarietà, abbiamo visto che non tutti sono compresi, sono  intesi dall’esperto nello stesso modo in cui l’intende il non esperto. Insomma, io esperto dico una cosa ma un non esperto ne capisce un’altra e questo accade per una grandissima parte di questi termini.”

“Questo è molto interessante, ma potrebbe farmi qualche esempio di termini che vengono intesi diversamente?”

“Certo, le dico quelli che mi  hanno colpito di più: termini che risultano non comprensibili sono astringente, abboccato, tannico. Questi tre termini non sono proprio compresi, cioè la persona non esperta che li sente non sa di cosa si stia parlando.”

“Ma i “non esperti” chi sono?”

“Gente comune: abbiamo fatto un campione di quasi un migliaio di persone (600 non esperti e 400 esperti). Abbiamo creato un questionario  e l’abbiamo sottoposto a gente comune .Una delle prime domande era per capire se fossero esperti o meno.”

“Devo dirle che lei mi ha già distrutto  perché mi ha rivelato che il termine tannico, che io uso ad ogni piè sospinto, è praticamente incomprensibile.”

Infatti per l’esperto è normale ed è un termine molto evocativo ma per i non esperti non è comprensibile. Altri  termini, che noi definiamo “non univoci”, sono invece termini che un esperto usa per definire una cosa e un non esperto ne capisce un’altra, oppure tra i non esperti persone diverse intendono cose diverse.”

“Ovviamente tutto questo lavoro è nello studio che voi state per pubblicare.”

“Si, certo.”

“Quindi ricapitolando: avete sottoposto un questionario a circa un migliaio di persone, dove in primo luogo chiedevate il loro livello di esperienza e poi gli avete sottoposto i 64 termini chiedendogli cosa volessero dire.”

“Per farlo abbiamo usato, come ho accennato prima, una metodica particolare, che è quella della contrarietà. Cerco di presentarla in poche parole: solitamente voi esperti per presentare un vino usate termini che si muovono in una dimensione, strutturata tra dimensioni contrarie. Per esempio se dico “Dolce” questo termine si muove su una specie di righello che va dall’amaro al dolce, quindi esiste il dolce,  il più dolce, il  meno dolce, ma c’è un continuum, una dimensione  in cui quella parola si muove. Noi siamo  andati a vedere se le dimensioni  in cui si muovono esperti e non esperti  sono o non sono uguali. Come abbiamo fatto? Vedendo se dello stesso termine esperto e non esperto intendono lo stesso contrario. Se lo intendono vuol dire che stanno lavorando sulla stessa dimensione sensoriale e quindi quantomeno ci capiamo. Se così non fosse vuol dire che siamo su dimensioni, su piani diversi. Per esempio termini come “avvolgente” e “franco” sono termini non univoci, cioè alcuni capiscono una cosa e altri un’altra cosa.”

“E poi quali risultati generali avete avuto?”

“Poi abbiamo messo a confronto i dati ricavati e abbiamo sottoposto i dati ricavati dai non esperti agli esperti  per vedere cosa dicevano questi sui giudizi dei non esperti. Praticamente gli abbiamo detto “I non esperti pensano questo, tu che sei esperto la pensi così oppure no?” e solamente in un terzo dei casi era un “si”. Questa è la dimostrazione  delle dimostrazioni che le due categorie capiscono cose differenti. In sintesi un terzo di quei termini descrittori è compreso abbastanza bene e univocamente  i rimanenti due terzi o sono non compresi o sono compresi in maniera non univoca.”

“Non so se l’avete chiesto nel questionario ma sarei curioso di sapere se questa non comprensione da parte dei non esperti può portare ad un allontanamento dal mondo del vino. In soldoni “Non capisco cosa dice questo, allora prendo una birra e stop”.”

“La domanda esplicita non l’abbiamo fatta ma probabilmente la faremo nel successivo step, perché è molto importante per chi vuole vendere il vino. Pensiamo ad un e-commerce aziendale ,dove per parlare dei vini vengono usati termini che i non esperti non capiscono o intendono in maniera diversa. Difficilmente avrà successo.”

“Indubbiamente.”

Sicuramente non siamo tra i primi a evidenziare un problema comunicativo nel vino, ma forse siamo tra i primi a usare una procedura scientifica per cercare di capire il problema, insomma un vecchio problema approcciato in maniera nuova e scientifica”

“Durante la conferenza online sul Valpolicella ha accennato  ad un altro progetto.”

“Questa seconda ricerca, sempre in collaborazione con il Consorzio della Valpolicella  consiste in uno studio sula relazione tra la personalità del consumatore e il suo comportamento nell’acquisto o nella scelta di un prodotto. In questo studio noi puntiamo a conoscere meglio il cliente finale e per conoscerlo meglio abbiamo pensato di conoscere la sua personalità. Questo ci consente di fare previsioni in contesti specifici circa il suo comportamento. Quindi dovremmo arrivare a, studiando la relazione tra personalità e consumi, costruire un algoritmo che permetta di personalizzare i prodotti. In altre parole, invece di dividere i consumatori in categorie anagrafiche (giovani, meno giovani, millennials), personalizzare con categorie legate al comportamento delle persone. Partendo dalla personalità di un soggetto provare a fare una previsione sul suo comportamento.”

“In altre parole “Dimmi chi sei e ti dirò cosa è meglio bere per te!”

“Esatto, di solito si trova il contrario “Dimmi che vino bevi e ti dirò chi sei” ma a noi interessa l’opposto.”

“Tornando al primo lavoro, quello sui termini del vino, dove lo possiamo trovare?”

“È stato accettato da una rivista scientifica internazionale che lo sta pubblicando. Si potrà trovare a questo link: https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0950329321000422

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE