Note di degustazione e punteggi: uno sfogo da vecchio10 min read

L’interessante botta e risposta (vista la lunghezza “bottona e rispostona”) tra Nelson Pari e Alessandro Morichetti sulle note di degustazione e i successivi sviluppi sui social con interventi di vari amici giornalisti mi ha fatto prima di tutto venire in mente, a caldo, una serie di precisazioni. Però avrebbero richiesto ancor più spazio “social” quindi ho cercato di condensarle mentalmente per farle diventare quello che riporto sotto e cioè il  parlare un po’ fuori dai denti di un mondo che sembra quasi accartocciarsi su se stesso.

La premessa a tutto è che il lavoro del giornalista o del comunicatore del vino, se fatto seriamente e senza interessi privati verso enti o produttori (almeno in Italia) è degnissimo e serve a far crescere tutto il settore, anche culturalmente.

Ho messo fra parentesi  “almeno in Italia” perché occorre distinguere tra un mondo mediatico per certi versi più maturo e comunque diverso come quello inglese, statunitense o del sud est asiatico e quello italiano, che non è riuscito ad allargarsi, mantenendo alcune caratteristiche peculiari. Cercherò di spiegare meglio più avanti queste differenze. Detto questo partiamo.

Punteggi.

Eterno dilemma che rimarrà tale fino a che esisterà la critica enologica. Ne ho già parlato più volte e il mio punto di vista potrebbe definirsi “storico” rispetto a un Galloni e compagnia scrivente, i cui 88 fanno gridare allo scandalo, i 94 sono presi come una risicata sufficienza e si comincia a parlare di ottimi voti a partire da 98.

Storico perchè all’inizio di tutto, quando ci fu l’esplosione del mondo del vino, quando arrivò Parker, quando iniziarono a svilupparsi le guide al vino in Italia e all’estero, i voti erano diversi, molto più bassi. Ci si basava su una scala facilmente comprensibile e accettabile che partiva dal concetto scolastico (almeno in Italia) di sufficienza (cioè 6) per poi salire. I primi anni (diciamo fino al 1995)  per entrare nella guida del Gambero Rosso e di Arcigola (ora Slow food) bastava avere un vino sopra a 70 (quindi sopra al 7 scolastico) punti. Capisco che la qualità media dei vini è aumentata da allora ma non quanto la voglia e il bisogno di  una notevole fetta del giornalismo enoico di farsi vedere, costringendo e spesso costringendosi a dare voti sempre più alti. L’aumento esponenziale dei voti è per me la dimostrazione lampante della poca autorevolezza del settore (in Italia e all’estero!), costretto sempre più ad alzare l’asticella per farsi vedere dai produttori, per molti unico mercato di riferimento.

In realtà il “mercato” del giornalista dovrebbe essere il lettore finale, a cui però vengono proposti voti sempre più pompati spesso per meri scambi commerciali, che permettono a X o Y almeno di sopravvivere. Noi e pochi altri crediamo che un voto abbia valore (nel bene e nel male)  se è in una scala ampia, dove un consumatore finale possa muoversi con facilità. Per questo 88 per noi è un ottimo voto e non lo prendono molti vini. A chi ci dice che all’estero questi voti non vengono capiti rispondo che bastano pochi clic per andare a vedere le nostre graduatorie, dove 88 è in alto e 70 è in basso. Se non vogliono farlo e non gliene importa nulla rispetto il loro punto di vista ma non per questo, come ha fatto poco tempo fa La Revue du Vin de France, stravolgo il lavoro di decenni, negando quando scritto e detto in precedenza.

Note di degustazione

Sono semplicemente fondamentali perché sono le motivazioni del voto e soprattutto chiariscono e spiegano quel vino. All’inizio erano “solo” questo ma si sono evolute e adesso possono essere delle vere e proprie “story telling”, degli approfondimenti, a cui un appassionato attinge e sono foriere di ulteriori discussioni e approfondimenti. Per me, a monte, ne esistono soprattutto tre tipi: quella “tecnica” dove si spiega con poche e chiare parole le caratteristiche di un vino, quella “aulica” dove si cerca di comunicare le sensazioni che quel vino ha dato al degustatore e quella “totale” dove le due tipologie si incontrano e si incrociano. Qui iniziano i problemi e le eventuali incomprensioni perché spesso si cade nell’equivoco che un degustatore debba esternare in maniera più o meno chiara il suo favore o sfavore per un vino. Fermo restando che la scrittura debba essere fluida e possibilmente coinvolgente, un degustatore deve prima di tutto informare e spiegare in maniera chiara le caratteristiche del vino, poi può anche mostrare tutta la sua passione o amore per il prodotto ma credo che una certa posizione “super partes” serva sempre. Un medico normalmente non cura  meglio quelli che gli stanno più simpatici.

Sbaglierò ma per me  più la nota di degustazione è lunga più il pubblico che può utilizzarla e recepirla si restringe. Non dico che alla fine ci parliamo addosso ma il rischio di parlare a poche persone, sempre quelle, e di scambiarle per un pubblico globale dovrebbe in qualche caso farci pensare e magari porci in maniera più umile verso i nostri lettori.

Le guide

Le guide oggi sono superate! Le guide non servono più! Nessuno consulta le guide!” Indubbiamente c’è molto di vero in queste affermazioni ma detto questo mi domando perché il metodo delle guide (raccogliere vini magari andando a prenderli in azienda, assaggiarli, valutarli, dargli un punteggio anche  in forma diversa dal numerico, pubblicarlo) continui ad essere usato praticamente da tutti. Certo, molti fanno un lavoro più certosino, di approfondimento ma anche il solo parlare di X invece che di Y non è alla fine dare un “voto” alto ad una cantina  o a un vino?

A questo punto voglio spiegarvi il mio concetto di guida vini o quello che noi di Winesurf crediamo serva una guida, specie online. Una guida vini oggi (e anche in passato, se è per questo) ha senso solo per dare un indirizzo di base,:è una carta geografica “attiva” dove sono segnate le cantine e i loro vini, con un sistema semplice di preferenze che permette ai neofiti e anche agli appassionati più esperti di avere indicazioni chiare o riscontri. Questo è! Non deve ergersi a giudice insindacabile, non a luogo di approfondimento, non a Vangelo ma a mappa enoica aggiornata annualmente. Il problema della caduta nel limbo dell’indifferenza del sistema guide, oltre ad accuse più o meno provate di “andare a braccetto” con le aziende per me è proprio dovuto ad un errore di interpretazione del ruolo: una guida informa e non approfondisce, riporta notizie precise e non presenta quadri onnicomprensivi. Una guida è la base della piramide informativa del vino, non certo la vetta: quella è occupata da altri tipi di pubblicazioni: riviste specializzate (anche online)  mille blog di approfondimento (quelli seri), da chi scrive libri per presentare territori, storia, produttori. Questo è l’errore in cui sono caduti sia i lettori sia i facitori delle guide: credere che uno strumento serva anche (e soprattutto) a fare un lavoro diverso da quello per cui è nato.

Fuoco!

Scusate ma devo dirlo: se c’è una cosa sbagliata che il sistema guide (in Italia e credo all’estero) ha creato e stratificato negli anni è l’aver formato  un bel numero di persone che scambiano un giudizio sul vino con un presa di posizione filosofica sui massimi sistemi, con il fare parte di una religione che deve imporsi sulle altre.  Gianni Brera diceva sempre che alla fine il calcio è fatto da 22 giovanotti in mutante che si rincorrono all’aperto e parlare di vino dovrebbe alla fine essere visto come un modo per raccontare qualcosa di piacevole ( o di meno piacevole se esistesse la critica enologica) e non per sentirsi circonfusi di verità. Scagli la prima pietra chi, di fronte a una una valutazione di un vino non condivisa, invece di cercare di capire il perché magari riassaggiando quel vino non abbia pensato o esclamato “Ma questo/a che cazzo dice!”

Qualche rigo sopra ho accennato alla critica enologica: adesso dirò un’altra cosa che farà discutere: vista la situazione della critica enologia, tutta portata verso il positivo e mai verso un quadro generale di pregi e difetti, una guida vini onesta e seria è l’unico modo vero e tangibile per fare critica, per informare a 360° mettendo in luce, in maniera semplice, il buono, il meno buono e il non buono. Questo dovrebbe essere il compito, veramente rivoluzionario se vogliamo di una guida vini: non di esaltare sempre più, arrivando a range di punteggi assurdi e quindi inutili, ma allargare la visuale, presentando un panorama che in Toscana definiamo “poggi e buche”.

Questo naturalmente se ci si rivolge al consumatore finale e non al produttore, all’importatore o al distributore.

Estero e Italia

In paesi come l’Inghilterra, nel  Sud Est Asiatico e, per certi versi e zone,  anche negli Stati Uniti, da sempre terre dove il vino viene soprattutto commercializzato e non prodotto, era ed è naturale la figura dell’importatore e del distributore che “affiancano” la stampa e diventano proponenti/ garanti della qualità di un vino. Per questo non è visto come uno scandalo che chi acquista il vino all’estero e/o lo commercializza ne proponga anche una valutazione. Non per niente gli assaggi seriali delle annate di grandi vini italiani fatti prima che i vini escano in commercio fanno notizia (e fanno anche incazzare, diciamocelo) ma alla fine sono semplicemente un canale di informazione dedicato a chi il vino lo commercializza, non al consumatore finale.

E’ giusto o sbagliato? Diciamo che è un sistema più possibilista e aperto rispetto al mondo del giornalismo enoico italiano, dove le figure intermedie della filiera comunicativa (vedi PR e compagnia) sono entrate in gioco da non molto tempo  e quindi si è assistito per anni (e si assiste anche adesso) ad un rapporto diretto produttore-giornalista. Fino a qui niente di male, però la produzione ha sempre visto, sbagliando, i giornalisti come le persone a cui affidare la propria comunicazione e i giornalisti hanno spesso inquadrato il loro lavoro come un modo per presentare al meglio un produttore,  lasciando il lettore finale (che poi ci ha giustamente abbandonati) come ultima ruota del carro. Un esempio classico, (“a parte” il fatto che le guide ormai le comprano solo i produttori…)  sono le premiazione delle guide a cui partecipano solo e soltanto produttori e familiari e che possono esser fatte solo grazie ai contributi che le aziende versano alle varie guide.

Tornando a bomba e finendo

Quindi ben vengano le note di degustazione, le discussioni sui vini accorate e vivide, sui social e (preferibilmente) durante serate di degustazione, ma far questo non vuol dire negare il resto, non significa che si debba seguire una sola strada o un solo sistema di valutazione, perché più ci rinchiudiamo nella turris eburnea del nostro sapere enoico (vero o presunto) e più i consumatori finali, i giovani che si avvicinano al vino, cercheranno altrove, magari tra tette e cosce in evidenza, le loro “informazioni”.


Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE