Niente iene nella Serra4 min read

“Mai assaggiato niente di simile!” Adorno Settimio non esprimeva mai simili apprezzamenti, non almeno in presenza del contadino. Si limitava a formulare nella mente il pensiero ben sapendo che, se si fosse tradito, Stefano Ferrucci avrebbe alzato il prezzo. E questo non poteva permetterselo, il suo futuro dipendeva dal successo di tutta l’operazione.

Oramai erano anni che la sua fulgida stella aveva intrapreso una pericolosa china discendente. In gioventù era considerato un esperto di uve di rara abilità; riusciva a capire le potenzialità di ogni singolo grappolo, intuiva quali meravigliosi vini se ne sarebbe potuto ricavare. Spingendosi oltre, talvolta era stato in grado persino di predire il giorno in cui, una volta fatto il vino e messo in bottiglia, avrebbe raggiunto il culmine della perfezione. Un palato infallibile,ma oramai erano solo bei ricordi.
La ditta per cui acquistava le uve lo aveva licenziato a seguito di un errore clamoroso. Si era fatto soffiare da un giovane concorrente un contratto di esclusiva ventennale di uno dei vigneti più promettenti di tutta la regione. Aveva tentato di fare il furbo come al solito. Il giochetto non era però più un segreto. Consisteva nello sminuire, con vocaboli misurati e giri di parole, l’uva in questione. “ Non è una zona vocata, le piante non sono adatte, la metà andrebbero sostituite” soleva dire.  A volte rincarava la dose con “Di roba come la tua ce n’è fin troppa, non sarà facile ricavare un buon vino”. Questa funzionava sempre, il contadino si sentiva alla sua mercé e infine cedeva le uve al prezzo che voleva lui.

“Per l’uva della prossima vendemmia -iniziò pacatamente Settimio- posso darle mille lire al quintale se ce la porta in cantina, e per il vigneto le faccio un’offerta vantaggiosa: 300mila lire l’ettaro”.

Stefano Ferrucci sospirò, fece un rapido calcolo mentale e vide sfumare il suo sogno. Era stanco di spaccarsi la schiena sulla terra, sua moglie amava il sole e avrebbe tanto desiderato far nascere la figlia che aspettava da qualche altra parte, in una casa più comoda, magari in città. Ma con mille lire al quintale, ci poteva pagare a malapena un paio di settimane a pensione a Marina di Ravenna e con 300 mila lire l’ettaro poi, sarebbe riuscito si e no a pagare i debiti che aveva contratto per quei trattori. Un acquisto avventato; non riusciva ancora a capire come avesse potuto farsi convincere ad acquistare degli oggetti così inutili. Non avevano forse sempre lavorato la terra con i buoi? E allora, come mai si era persuaso? Del resto, di fare vino non era proprio il caso, tutti lo avevano sconsigliato, ed ora era alle strette, la banca non gli concedeva il prestito ed il fornitore pretendeva il denaro, minacciando azioni legali.

Adorno Settimio, la Iena, percepì la paura di Ferrucci, mentre una piacevole scarica di adrenalina iniziò a scorrergli nelle vene.  “Non le sembra un po’ pochino – iniziò Stefano Ferrucci, lasciando trapelare, inconsapevolmente, una nota di paura nella voce –  Non dico tanto per l’uva della prossima vendemmia, ma con la sua offerta per il fondo, non ci pago nemmeno tutti i debiti”.
“Le lascio un giorno per pensarci – annunciò alzandosi dalla sedia la Iena – ed aggiungo all’offerta una proposta di lavoro: resti con noi a coltivare l’uva e la pagheremo la tariffa bracciantile”.

Era il colmo: non solo non avrebbe ripianato i debiti, ma avrebbe dovuto continuare a lavorare la sua stessa terra senza possederla più. La rabbia crebbe “Caro Signor Settimio, piuttosto che veder la mia terra in mano sua, preferisco rompermi tutte le ossa nella vigna e con le mie uve ci farò il vino da solo, quindi se ne vada!”

Chiamò la moglie e, tra le lacrime imminenti ed il groppo che si formava in gola, riuscì comunque a dire qualche  parola.  “Nostra figlia capirà, quando sarà grande, che la terra deve restare in mano a chi l’ama e la lavora. Venderò i trattori e imparerò a fare il vino da solo, ma la mia terra in mano alle Jene mai!”

La vendemmia di quell’anno fu dura, con la moglie in cinta e pieno di debiti e pensieri non riuscì a raccogliere tutto in tempo: una parte delle uve stavano appassendo in pianta. Primo Tarroni, il giovane mediatore concorrente della Iena, suonò alla porta. Si presentò e disse “Caro Signore, non la conosco ma passando per la sua vigna non ho potuto fare a meno di notare che lei ha delle uve meravigliose e che non è riuscito a vendemmiare completamente. Ma lei lo sa che con un po’ di uva appassite, aggiunte al mosto, in Veneto fanno dei vini costosissimi e molto ricercati? Se vuole posso aiutarla……”.

All’orizzonte della Serra, così si chiama il fondo, in quella mattina brumosa le nebbie lasciarono il posto al sole. Insieme alla rinata speranza stava nascendo il Domus Caia.

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE