Ho ricevuto da qualche giorno il “Numero Unico” di Porthos (grazie Sandro!) e ancora mi devo “riprendere”.
Forse potrò sembrare eccessivo ma per me Porthos sta al vino come Hegel al pensiero filosofico occidentale: un complesso e spesso scomodissimo punto fermo che non ti presenta la realtà ma quello che sta a monte della realtà.
In altre parole l’opera di Sandro Sangiorgi e dei suoi colleghi parla non tanto e non solo di vino ma delle motivazioni, delle spinte e anche delle regole che stanno a monte del produrre e del bere il vino. Il tutto con un linguaggio adeguato al tema, che non vuol dire difficile ma semplicemente adatto agli argomenti trattati.
Non per niente Sandro parla di aura del vino nell’editoriale dedicato al vino naturale, che in realtà è una scusa per parlare di cambiamenti nel mondo del vino dalla fine degli anni ’70 ad oggi e del concetto di tempo.
Un’altra cosa che mi è sempre piaciuta in Porthos è l’uso della poesia, che neanche tanto stranamente riesce a rilassare la lettura e il lettore, atteso da dense pagine di prosa, dove le cose più “scontate” sono interviste e punti di vista di produttori naturali .
Al termine di questo viaggio tra produttori, che ripercorre anche nel tempo il viaggio di Porthos, c’è ad aspettarci Spinoza e il suo pensiero per poi passare a parlare di antroposofia, omeopatia, viaggi, scienza e molto altro.
Porthos potrebbe essere visto come una visione diversa del mondo ma per me è una visione diversa del tempo, perché in realtà questo “ultimo” numero, che esce ben nove anni dopo il precedente, mostra volutamente il lento scorrere del tempo in contrapposizione al veloce approccio di ognuno di noi al vino e alla vita.
Ma questa “opera finale” va oltre e raccoglie pezzi di passato (come i brani della memoria difensiva del processo con Slow Food e Gambero Rosso del 2006) per dimostrare che si può vivere, veramente, solo se si è in pace con se stessi e si guarda al futuro.
Stamani leggevo un brano di Enzo Bianchi sulla necessità della speranza “Sperare significa aspettare con fiducia ciò che ancora non si vede. L’arte della speranza è resistenza e apertura al futuro”. Questa frase mi ha fatto capire che Porthos in realtà non parla tanto del presente o del passato ma del modo con cui il vino e gli uomini si sono parlati, si parlano e si parleranno nel futuro. Per questo è unico.
Chiudendo cerco di sdrammatizzare frasi così lapidarie e impegnative con un’osservazione: avete mai visto una pubblicazione sul vino senza una foto di calici e bottiglie e dove le uniche immagini sono opere pittoriche, presentate con una cadenza da museo d’arte moderna? Solo per questo andrebbe data a Porthos l’opportunità di continuare.