Mourad Ouada, cioè da calciatore a enologo il passo è breve, se ti impegni!11 min read

Incontro Mourad per la prima volta pochi giorni fa, per una divertente intervista. Simpatico, affabile, di quelle persone in grado di metterti subito a tuo agio. Sarà che abbiamo molto in comune: un passato nel mondo del calcio, l’amore per il vino e chiacchierando scopriamo anche di essere vicini di casa nella vulcanica campagna viterbese!

Il nome Mourad Ouada ci racconta già la sua origine. Mamma francese e papà algerino, Mourad nasce appunto in Algeria per poi trasferirsi subito in Francia. La sua prima grande passione è il calcio che diventa presto anche una professione.Mourad sa che la carriera di un calciatore non è…longeva, per cui studia e si laurea in agraria per quello che è un’altro grande amore: la terra.

A 23 anni arriva in Italia chiamato dalla Viterbese, squadra di calcio professionistica, che decide di inserirlo in rosa. A Viterbo si iscrive alla facoltà di enologia grazie all’incitamento dell’allora presidente della sua quadra (che è anche un decano dell’Università della Tuscia), continua a giocare a calcio e in pochi anni consegue la sua seconda laurea. Tramite amicizie comuni conosce Riccardo Cotarella che in quel periodo cerca un collaboratore; siamo nel 1998, Mourad non è convinto vorrebbe restare nell’ambito universitario ma poi cambia idea e l’anno seguente inizia a lavorare con il creatore del Montiano.

Appesi gli scarpini al chiodo, l’enologo franco-algerino – ma ormai anche italiano – inizia una fruttuosa collaborazione con l’azienda Falesco, che durerà circa 16 anni e lo porterà in giro per l’Italia ed il mondo a prestare la sua competenza e le sue intuizioni.

Nel 2015 una nuova svolta, l’ennesima: Mourad decide di staccarsi dall’azienda Cotarella e crearsi una propria attività, iniziando a lavorare come consulente per diverse aziende vitivinicole.

Oggi è uno dei nomi noti nel panorama italiano dell’enologia. Oltre ad essere protagonista di diversi eventi, utili a far conoscere le sue creazioni.

Prima il calcio e poi il vino. Cosa ti ha dato lo sport e cosa l’enologia?”

“Il calcio è stato un grande amore e una grande passione, mi ha insegnato molto ad esempio l’importanza del lavoro di squadra per raggiungere certi obiettivi. Ed è un valore ormai sempre presente nella mia vita! Poi mi ha dato la possibilità (economica) di studiare per diventare il professionista che sono oggi. L’enologia mi ha permesso di conoscere tanta gente, di viaggiare, di soddisfare la mia curiosità del mondo e dare spazio alla mia creatività. Non avrei potuto chiedere di meglio per la mia vita.” 

“Cosa ti ha spinto a lasciare la squadra di Riccardo Cotarella?”

“Dopo più di sedici anni di lavoro con Riccardo, ho sentito la necessità di prendere una strada che fosse solo mia e così cinque anni fa ho deciso di crearmi una realtà dove poter esprimere le mie capacità e metterle sul campo. All’inizio ammetto che un leggero senso di incertezza ha accompagnato la mia scelta, ma alla fine sono contento della nuova strada intrapresa.  Ringrazierò sempre Riccardo per la fiducia dimostratami in tutti questi anni di lavoro.”

 

Foto di Carlo Zucchetti, che ringraziamo.

“Come è la vita di un enologo con aziende in varie nazioni?”

“Oggi seguo 21 aziende situate in Italia ed all’estero come Francia, Bulgaria, Romania, Albania ed Israele. Prima della pandemia, almeno una volta alla settimana mi trovavo all’estero. In pratica una vita con il trolley sempre pronto. È un lavoro bellissimo che mi dà molte soddisfazioni ma devo dire che la famiglia paga un bel prezzo. Senza la pazienza e l’intelligenza di mia moglie e di mia figlia, oggi probabilmente non avrei realizzato tutto questo.”

 “Come è cambiato il lavoro in questi 20 anni?”

“Credo che il fattore che abbia inciso di più nel nostro lavoro sia stato il cambiamento climatico. Chi non si occupa di agricoltura forse non riesce a cogliere pienamente l’impatto che questo sta avendo sulle nostre attività e sul territorio. Questo lavoro è una scommessa annuale, nulla è più prevedibile. I vini di oggi, almeno sotto questo aspetto, non si possono più paragonare a quelli di 20 anni fa.Inoltre, fare l’enologo oggi vuole dire avere molte più competenze di prima. Devi essere un agronomo per interpretare il territorio, un esperto di marketing, di comunicazione ed anche un po’ psicologo, saperti relazionare bene con le innovazioni tecnologiche, conoscere i gusti dei mercati di riferimento e tenerti sempre aggiornato sulle nuove tendenze perché non dimentichiamo che il vino è pur sempre un prodotto da vendere e saper raccontare.”

La pandemia ha inciso nella tua giornata lavorativa?”

“Sì molto, soprattutto all’inizio. Essendo un lavoro di contatto e di presenza il fatto di non poter viaggiare ha rappresentato un grande impedimento. Oggi grazie anche ai miei collaboratori ho risolto adottando una organizzazione del lavoro più strutturata e ottimizzando al meglio il tempo delle attività da fare quando sono sul campo.”

“Cosa cerchi in un produttore quando decidi di realizzare un nuovo progetto?”

“Do sempre precedenza alla proprietà, cioè voglio capire quali sono le loro idee e la loro filosofia.Nella prima visita che faccio, però, voglio ascoltare il territorio, parlare con le persone che hanno seguito la vigna. Conoscere la storia di un vigneto negli ultimi decenni è fondamentale per il buon esito di un progetto che guarda al futuro.Se invece si parte da zero, sono io che mi metto a studiare a 360 gradi, dalla composizione dei suoli, alle esposizioni fino a comprendere cosa vuole il mercato e quali possono essere le prospettive future della realtà che vuole la mia consulenza. Non si può “scherzare” con questi investimenti che hanno tempi e costi molto elevati e ritorni economici che si possono realizzare solo dopo diversi anni.”

“Quali sono i progetti che ti hanno maggiormente soddisfatto?”

“Tutti…specie quelli che ora seguo nei paesi cosiddetti “emergenti” dell’Europa dell’Est.Posso dirti però quello che è forse il più delicato che porto avanti, ovvero la produzione di vini Kosher. (Il vino kosher è un vino purificato ovvero “idoneo”, “adatto” ad essere consumato da persone di religione ebraica poiché ottenuto rispettando precisi precetti indicati dalla Torah.  ndg).Sono partito con una prima esperienza già in Francia molti anni fa e ora ne sto realizzando alcuni in Bulgaria, passando per una versione che ho fatto in Italia con il Montiano.Concepire un prodotto per il mercato ebraico è un lavoro molto intenso e delicato che necessita di tantissime certificazioni e analisi dei processi produttivi. I prodotti consentiti sono pochi e non sempre sono tutti idonei per i vini che vogliamo realizzare. La vendemmia, per esempio, va programmata in funzione del calendario delle feste ebraiche, perché solo gli operatori “kosher” possono toccare le uve. Quando queste arrivano in cantina tutto deve essere sigillato fino allo step successivo. Insomma, una bella sfida.”

“Qualcosa che non rifaresti?”

“Nulla direi. Se mi guardo indietro mi rendo conto di aver fatto degli errori o aver sottovalutato gli effetti di certe decisioni. Ma rifarei tutto perché credo fermamente che dalle esperienze negative e dagli sbagli si possa tirare fuori un buon insegnamento. Insomma, per me il bicchiere è sempre mezzo pieno!”

Com’ è lavorare in Italia rispetto alla Francia?”

Lavorare in Italia è bellissimo. Ho aiutato molti produttori a portare avanti dei progetti fantastici. Qui secondo me, siamo i più bravi in cantina rispetto al resto del mondo vinicolo. Dobbiamo migliorare ancora in vigna, mi riferisco soprattutto all’uso di tecniche di potatura più moderne, ad un utilizzo più “sostenibile” del territorio, ad una maggiore diffusione delle zonazioni e dello studio dei suoli per capire cosa piantare e dove. Ma la forza di questo paese sta nel fatto che il suo “made in” e quindi anche il vino, è adorato e molto richiesto all’estero e sempre più spesso grandi gruppi decidono di investire proprio qui da noi. La Francia è la mia seconda casa, seguo diversi Château a Bordeaux e una piccola cantina in Borgogna, ogni volta che metto piede in vigna l’emozione è sempre grande e ritrovare ogni anno l’eleganza dei vini francesi è una magia che si ripete. Sono ancora i migliori in vigna e questo aspetto ancora pesa molto in quello che finisce in bottiglia.”

“E nei paesi dell’Est?”

“Lavorare nei paesi dell’Est è una sfida ma anche un gran piacere. Io al momento faccio consulenze in Bulgaria, Romania ed Albania dove bere il vino è percepito come una nuova moda, un essere al passo con i tempi e si sta diffondendo moltissimo soprattutto nelle nuove generazioni. Tutto è cambiato dopo la caduta del muro di Berlino e anche grazie al percorso che questi paesi hanno fatto verso l’Unione Europea. Oggi fare il produttore in queste zone, da sempre vocate alla viticoltura, vuole dire poter creare ricchezza e benessere. Stanno riscoprendo le radici antiche del loro territorio: prima il 99% della produzione di vino era legato ai vitigni internazionali (ovvero ai francesi) mentre oggi si stanno reimpiantando quelli storici. In Bulgaria, per esempio, oggi è molto facile ritrovare il Gamza e il Pamid a nord, proseguendo ad est il Misket e il Dimyat a sud al confine con la Grecia, il Melnik ovvero tutti quei vitigni tanto cari ai Traci. Senza dimenticare il Rubin, ovviamente (un incrocio realizzato in Bulgaria nel 1944 tra Nebbiolo e Syrah – ndg). Nei prossimi anni queste zone acquisiranno una maggiore considerazione e importanza a livello globale anche per via dei cambiamenti climatici che in questo caso però influiscono in “positivo” consentendo di coltivare la vite in territori ad essa inaccessibili fino a qualche decennio fa per via delle temperature glaciali.”

Merlot

“So che ti piace molto partecipare ed organizzare eventi sul vino. Recentemente sei stato ospite ad uno che hai fortemente voluto, presso la Fondazione Italiana Sommelier.”

“Esatto! Sebbene il momento sia complicato volevo dare voce al racconto di alcune nostre creazioni, in un bellissimo viaggio che ha toccato luoghi a cui sono molto legato professionalmente e umanamente. Siamo partiti da Bordeaux con due tagli bordolesi a prevalenza Merlot molto diversi tra di loro. Uno realizzato vicino al mare e l’altro nell’areale di Saint-Emilion.Non poteva mancare l’Italia con due espressioni di Merlot toscani in purezza (uno di Siena e l’altro di Empoli) seguiti poi dai vitigni autoctoni (fra tutti il Susumaniello pugliese di cui si parlerà molto nei prossimi anni). Abbiamo terminato in Bulgaria che, come dicevamo prima, è un paese affascinante dal punto di vista del territorio dove ho trovato due produttori (uno ad est di fronte al Mar Nero e l’altro a sud verso il confine greco) che hanno creduto molto alla mia idea di Merlot (in blend il primo con Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, in purezza il secondo). È stato davvero interessante confrontarsi con una platea di esperti e appassionati coinvolgendo, come faccio sempre, anche i produttori che sono stati ben lieti di intervenire e portare il loro contributo.”

Mourad giovane calciatore. E’ il secondo accosciato da sinistra.

“Avendoli vissuti entrambi quali ritieni che siano le somiglianze e le differenze tra il mondo del calcio e quello del vino?”

“Credo che si assomiglino parecchio! Nel calcio per essere un professionista devi imparare a conoscere l’ambiente, i tuoi compagni, i tifosi, la città che ti accoglie, che viene a sostenerti la domenica. Devi fare tutto seriamente: allenarti, vivere da sportivo e soprattutto quando stai in campo devi essere sempre molto concentrato e pronto, la tua prestazione dipende da te e anche quella dei tuoi compagni può risentirne se tu non sei al massimo. Anche per lavorare nel vino a certi livelli, bisogna conoscere perfettamente il contesto di riferimento, ovvero il terroir per sintetizzare con una parola ciò che voglio dire, devi studiare ed applicarti moltissimo. Devi ottenere la fiducia dei tuoi collaboratori, della proprietà, ma anche quella dei consumatori e degli appassionati che sono un po’ come i tuoi tifosi. In entrambi questi mondi poi, anche se oggi si vuole raggiungere l’eccellenza in poco tempo, per provare ad ottenere grandi risultati occorre tempo, progettualità, pianificazione e grandi investimenti. Infine, direi che entrambi convivono con una grande alea, un rischio che non puoi azzerare mai del tutto: basta un infortunio in allenamento o una gelata di primavera per mandare all’aria un’intera stagione. Se devo pensare ad una differenza probabilmente è l’impatto e la risonanza mediatica che il calcio ha saputo raggiungere e di conseguenza anche i valori economici che sa muovere. Basti pensare agli stipendi di questi ragazzi e degli allenatori più quotati.Ecco al prossimo proprietario/produttore potrei dirgli: “Ehi guarda che io sono come un coach della serie A!” (sorride).

Il nostro tempo è terminato, ringrazio questo ragazzo franco-algerino, cresciuto in Francia, che si è fatto uomo in Italia, produce vini kosher, ama la tradizione bordolese, il fascino del made in Italy e guarda ad Est accettando la sfida di quelle terre oggi molto ambite, con in mano un bicchiere sempre mezzo pieno…di buon vino!

Andrea Donà
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