Ma chi lo ha detto che le guide vini non servono più?6 min read

Spesso sento commenti sul fatto che le guide ai vini italiani non servirebbero più a far crescere visibilità e mercato delle aziende.  Anche in questo campo, negli ultimi decenni, c’è stata una forte evoluzione come in tutto il settore del vino. Siamo partiti con le prime guide (nel 1988 con Gambero Rosso/Arcigola  e  Veronelli, anche se per quest’ultimo c’erano già i cataloghi Bolaffi  ) ed erano le sole due sul mercato italiano. Mano a mano se ne sono aggiunte altre finché ormai siamo a una decina dedicate all’intero settore più quelle che affrontano solo tipologie specifiche: solo spumanti, solo bio, solo rosè e via di questo passo. All’inizio erano ovviamente solo cartacee, poi si sono sdoppiate diventando sia cartacee sia online e infine varie sono diventate solo online.

Ad oggi solo alcune adottano il sistema del punteggio in centesimi, mentre la maggior parte ha scelto un simbolo per indicare il livello dei prodotti. Poi c’è anche chi non recensisce i singoli vini, ma solo l’azienda nel suo complesso. Per esempio noi di Winesurf attribuivamo solo stelle ma adesso segnaliamo  in primis il punteggio cui corrisponde la valutazione in stelle. Può essere definito metodo ibrido: senza descrizione dell’azienda, ma solo dei vini.

Ho un mio parere sulla validità di punteggi o simboli, ma sarebbe troppo lungo a spiegare e non è questo l’articolo giusto. Per quanto riguarda invece le più o meno lunghe descrizioni delle aziende e dei vini, il problema vero mi sembra quello di raccontare qualcosa di più o di diverso ogni anno per evitare che la guida sia sempre uguale a sé stessa, eccetto la valutazione delle diverse annate.

E qui entra in gioco, secondo me, uno dei principali problemi: a parte la simpatia o antipatia, la supponenza o l’umiltà di chi redige le schede e/o assaggia i vini, la necessità di tutte le guide è quella di individuare collaboratori preparati nella conoscenza delle zone a loro affidate e nella pratica di degustazione.

Oltre a questo c’è un problema forse ancora maggiore e cioè qual è la possibilità degli stessi collaboratori di investire in termini di tempo, energie e costi, nell’andare a visitare le aziende conosciute per tenersi aggiornati sulla loro evoluzione, ma soprattutto a scoprire quelle nuove che rappresentano, secondo me, uno dei plus che i veri appassionati vogliono avere grazie alla/e propria guida di riferimento.

Ciò credo dipenda molto anche da se e quanto le guide pagano i collaboratori o dal ritorno che essi hanno in termini professionali in quanto partner della guida stessa.

Passiamo poi all’opinione quasi comune che le aziende paghino per entrare nelle guide. Non so se, come qualcuno afferma, ci siano pagamenti di tipo diverso perché a me nessuna guida ha mai chiesto niente e sono qui da quando hanno iniziato ad esserci (magari pensano sia molto tirchia, oppure troppo onesta, non so), ritengo però che tutto quanto è alla luce del sole faccia parte della reciprocità tra due imprese. Da una parte abbiamo una cantina che ritiene la presenza o il premio di una o più guide, importante per la propria credibilità e visibilità e dall’altra c’è una guida che non paga i collaboratori in bottiglie di vino o in raddoppi di stipendio con base zero (come Winesurf)  e quindi per dare il suddetto servizio che all’azienda serve ha bisogno di fondi. 

Da qui la necessità di sostenere gli editori con pubblicità o eventi (che comunque servono). La credibilità di una guida è data dalla selezione di aziende e premi: per mantenersi al top devono essere serie e non possono parlare o premiare solo chi paga se pur alla luce del sole. In un mondo (quasi) perfetto tutte le guide sarebbero come quella di Winesurf i cui collaboratori a proprie spese girano l’Italia per le degustazioni e il giornale si regge solo sugli abbonamenti. Ma anche qui finché ci saranno Consorzi di promozione  che chiamano il nostro direttore chiedendo se a seguito dell’abbonamento (40 €!) possono inviare a tutti i soci i loro risultati senza che questi si abbonino, mi pare che non si possa andare molto lontano.

A proposito di Consorzi, ultimamente vedo che molti tendono a condensare negli stessi giorni le degustazioni di varie guide. Non ne ho capito il motivo, se cioè vogliono risparmiare bottiglie o utilizzare meno giorni di lavoro e quindi risparmiare sul costo del personale. Però se sei un Consorzio, anche di promozione, mi pare non sia una scelta condivisibile dato che parliamo di 10-15 realtà al massimo che alla fine hanno bisogno solo di un sommelier per il servizio e magari di una persona che raccoglie e seleziona i vini.

Ma forse il far lavorare guide diverse nella stessa sala con un metodo comune obbligato (velocità di degustazione, numero dei campioni, tipologia dei prodotti)porta a non mettere a proprio agio i degustatori, con risultati finali non soddisfacenti per gli uni (degustatori) e quindi  per gli altri (consorzi e produttori) . Mi rivolgo ai Consorzi: se proprio vi sembra necessario fare questo accorpamento obbligato, almeno metteteli in sale diverse con un sommelier a disposizione che possa seguire ogni guida con il suo metodo.

Alcuni Consorzi o enti  non offrono nemmeno più l’accoglienza e questo mette in difficoltà coloro che, come dicevo sopra, non hanno sufficienti risorse. Ma se i fondi di un consorzio di promozione non sono investiti nelle guide, quali sono le priorità? Per favore non rispondetemi “l’accoglienza e la collaborazione degli influencer” che vanno pure bene, ma non possono essere i soli e nemmeno i principali divulgatori di un territorio!

Eccomi qua ad aver fatto un giro a 360° per tornare al quesito iniziale: le guide italiane servono o no? Io credo che se un’azienda è presente solo in una guida o due il ritorno sia modesto, perché l’impressione potrebbe essere che hanno pagato per esserci. Invece una presenza positiva e una scheda che mostri l’azienda dalla peculiare angolazione di più guide (non un testo copiato dal sito) fa arrivare il messaggio ad un maggior numero di appassionati e contribuisce in modo esponenziale alla visibilità dell’azienda. Certo se poi l’azienda riesce anche a comunicare i risultati ottenuti nelle varie guide l’effetto finale è sorprendentemente amplificato. Ma questa è la parte che riguarda comunicazione, marketing e pubbliche relazioni!

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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