Ultimamente mi trovo a lavorarare soprattutto su argomenti come la sostenibilità ambientale, le produzioni a residuo zero, il biologico e il biodinamico.
Non tanto per un motivo commerciale (anche se molto importante) ma perchè credo in una agricoltura che definirei ragionevolmente sostenibile. Fatta di personalità e di convinzione tecnica.
I viticoltori e gli agricoltori in generale, hanno una grossa responsabilità nei confronti nell’ambiente e molti di essi lo percepiscono perfettamente, usando attenzione e cura.
Confrontando il modo attuale di gestire i vigneti con quello che veniva fatto in precedenza tutto sembra molto più fluido, ma quasi meccanico: potatura, trinciatura, legatura del capo a frutto, lavorazione del terreno, diserbo, difesa anticrittogamica, legatura della vegetazione, diradamenti, vendemmia, concimazione e poi si riprende il ciclo dall’inizio. Ma alcuni principi, visto che comunque calpestiamo la terra per lavorare attorno alle viti, entrano a far parte dell’essere delle persone, e diventa difficile gestire un vigneto senza averli chiari.
Eppure fino a poco tempo non si faceva molto caso a tutto questo, il lavoro procedeva ugualmente affrontando e risolvendo i problemi che via via si presentavano.
In un momento particolare per il mondo del vino, la passione e la cura della terra mostrano i loro risultati qualitativi, quelli veri. Si parla di come e quando lavorare il terreno, di rispettarlo per mantenere la sostanza organica e favorire l’umificazione dei residui colturali, di favorire lo sgrondo delle acque ed altro ancora.
Riflettendo e condividendo queste sensazioni, gli agricoltori mi hanno posto delle domande su alcune pratiche agronomiche che ormai sono diventate di routine.
Le risposte si trovano riprendendo la tecnica agronomica, utilizzando le modernità e la meccanizzazione possibile ma senza stravolgere l’ambiente di coltivazione.
Da qualche tempo le ho definite buone pratiche agricole, perché prendono in considerazione più aspetti, non solo agronomici, ma anche economici e di relazione con le persone che devono metterle in pratica.
Il terreno è il motore delle nostre piante e va trattato in modo accurato. Bisogna cercare di integrare la dotazione della sostanza organica attraverso l’impiego di sistemi opportuni come il letame, i sovesci e i cosiddetti bioattivatori. Se poi si lavora il terreno, bisogna farlo nelle condizioni di “tempera”, cioè quando non è né troppo bagnato e né troppo asciutto.
Occorre favorire, per quanto e dove possibile l’inerbimento dei filari e usare attrezzature che non deturpino la struttura del terreno. Bisogna incentivare l’attività microbica del suolo e la formazione delle radici, in particolare quelle più piccole che perlustrano il terreno in modo capillare alla ricerca degli elementi qualitativi del luogo. In questi modi le piante potranno essere più forti e qualitativamente migliori.
La tecnica e la tecnologia, vanno usati con consapevolezza.
E’ ottima cosa poter disporre di tante soluzioni ai problemi che dobbiamo affrontare, diverso è quando queste alternative al processo naturale diventano indispensabili. Occorre allora rivedere il sistema per scoprire dove sono gli errori. La tecnica e la tecnologia rappresentano sempre una buona tattica, mai una strategia di buona pratica agricola.